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Coronavirus in Florida: l’aumento dei positivi preoccupa tutti, anche la NBA

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©Getty

Con le 22 squadre NBA ospitate e isolate all’interno di Disney World a Orlando, la lega osserva con grande attenzione quanto sta accadendo in Florida e l’evoluzione di un contagio da record che ha già messo in allerta le autorità sanitarie negli ultimi giorni

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Ormai si fa fatica a stare dietro al contatore dei contagi, continuamente aggiornato dai record che negli Stati Uniti hanno pericolosamente portato la cifra dei nuovi positivi in 24 ore ben al di sopra dei 60.000 casi. Numeri enormi, che concentrano la loro pericolosità soprattutto in Florida - uno degli stati federali più colpiti da questa seconda ondata che in realtà è sempre la prima e che non ha mai smesso di colpire gli USA. Le cifre per dare il contesto sono preoccupanti: su una popolazione di poco più di 21 milioni di abitanti che abitano nella penisola a sud-est degli Stati Uniti,  i casi nella sola giornata di ieri sono stati 15.300 - valori mai raggiunti in un singolo giorno in nessun stato americano. “Il simbolo del fallimento nel contenimento di una malattia arrivata più di sei mesi fa nel nostro territorio”, sottolinea il Washington Post. Un numero enorme, più del doppio del picco toccato in tutta Italia, con un’incidenza moltiplicata per sei, dato che il nostro Paese è tre volte più numeroso della Florida. Una situazione monitorata con grande attenzione anche da chi, come il presidente USA Donald Trump, ha minimizzato il pericolo per settimane, prima di essere costretto a fare marcia indietro - indossando nelle scorse ore per la prima volta dopo mesi una mascherina in pubblico (“Negli ospedali credo sia strettamente necessaria”, la sua parziale giustificazione). Un dato quello del contagio che preoccupa molto anche la NBA, che da qualche giorno è sbarcata a Disney World e osserva con grande ansia e attenzione l’evoluzione della situazione. Adam Silver mesi fa era stato chiaro nell’indicare le criticità sanitarie come prioritarie rispetto all’eventuale svolgimento e conclusione della stagione NBA. Di fronte alle difficoltà ospedaliere, a problemi nel reperire kit sanitari o persone in grado di gestire l’assistenza della popolazione, la NBA avrebbe deciso di fare un passo indietro per evitare di sottrarre risorse mediche utile alla comunità.

La riapertura di Disney World e la paura che il contagio si allarghi

La professoressa e biostatista dell’università della Florida Natilie E. Dean, così come riuscirebbe facilmente a immaginare qualsiasi persona di buon senso, ha sottolineato: “Con lo stato federale sempre più avviato verso le riaperture dei negozi e di ogni tipo di attività, difficilmente possiamo aspettarci che il contagio si riduca”. Uno dei controsensi più stridenti e delle immagini che hanno fatto porre degli interrogativi riguardano proprio Disney World - l’immenso parco giochi all’interno del quale sono ospitate le franchigie NBA. Una parte del parco di Orlando è stata riaperta due giorni fa, a quattro mesi di distanza dalla chiusura e senza tenere conto in alcun modo della nuova esplosione dei contagi. Al momento il numero dei ricoveri e soprattutto dei decessi non sta seguendo la vertiginosa risalita segnata dalla curva dei positivi, ma il numero delle morti dovute al coronavirus è in aumento, così come quello delle persone ospitate in terapia intensiva - di cui in alcuni stati si fa anche fatica a rintracciare il dato aggiornato. Il numero di morti al momento ha toccato un massimo di 120 in un solo giorno la scorsa settimana e ormai è chiaro che ci vorranno mesi per far rientrare il contagio. “La preoccupazione c’è ed è giusto che ci sia: a San Antonio abbiamo trascorso settimane complicate all’inizio, poi c’è stato il calo, prima delle nuova risalita”, raccontava qualche giorno fa Marco Belinelli durante un’intervista con i media italiani. “I casi a livello numerico sono in crescita e siamo preoccupati per questo: in Texas siamo passati dall’aver lentamente recuperato un po’ di libertà, all’essere stati nuovamente costretti a richiudere. Penso che vivere nella bolla di Orlando garantisca enormi standard di sicurezza. Sono più tranquillo di quanto non fossi stato in altre situazioni, però è giusto dire che la paura resta. Qui in hotel non abbiamo contatti con nessuno, la distanza è tantissima tra i giocatori e gli addetti. Nessuno entra in camera, ci lasciano il cibo fuori durante la quarantena. Ci sono intere zone dell’albergo dedicate soltanto a noi giocatori: è difficile immaginare di poter fare meglio a livello di sicurezza”.