La modalità con cui, all'arrivo dei playoff, si ritirava dai social e "spegneva" temporaneamente i canali con cui interagisce quotidianamente con decine di milioni di tifosi aveva un nome: "Zero Dark Thirty-23". "Ma quest'anno non posso permettermelo: i social mi servono per restare in contatto ogni giorno con la mia famiglia", spiega la superstar gialloviola
Il nome da lui coniato — adattandolo dal film di Kathryn Bigelow sull’uccisione di Osama Bin Laden — era diventato ormai leggendario: “Zero Dark Thirty-23”. Così LeBron James negli ultimi anni ha sempre etichettato la sua decisione di “spegnere” i suoi canali social durante i playoff per concentrarsi al 100% sul campo e sulla sua missione sportiva, senza distrazioni. Non quest’anno però. “Non posso permettermelo — ha spiegato — perché mi consentiranno di restare in contatto con la mia famiglia su base quotidiana”, ha spiegato il n°23 dei Lakers dalla bolla di Orlando. “Specialmente con tutto quello che è successo nel 2020, non posso perdere contatto con mia madre e con i miei cari”. La motivazione può anche essere legata al ruolo sempre più prominente di James come leader nel dibattito sulle tematiche sociali e razziali che vede coinvolti molti giocatori NBA: 13 degli ultimi 27 post pubblicati dal n°23 dei Lakers su Instagram (che raggiungono quasi 70 milioni di follower) hanno avuto per oggetto temi di giustizia sociale. A sentire lui, però, è più il LeBron figlio/marito/padre che quello attivista a dettare la decisione di non interrompere la sua presenza sui social a partire dal prossimo 17 agosto: “Leadership e altri tipi comunicazione possono essere portati avanti anche attraverso i social, e ho sempre avuto grande controllo su queste aree — ha spiegato — ma quello che non si può replicare, neppure con i social, è la presenza fisica e il tempo passato assieme in famiglia, coi tuoi figli, giocando ai videogame o allenandoti con loro. Questo non può essere replicato, e io per i prossimi mesi non ci sarò, non sarò a casa con loro”.
Un grazie alla moglie e uno a Steve Jobs
Certo, “gli smartphone aiutano a restare connessi”, ammette LeBron, “e per questo voglio ringraziare Steve Jobs e quelli alla Apple per aver inventato FaceTime, strumento fantastico”. Ma il grazie più grande va alla moglie, “Savannah, l’autentica roccia attorno alla quale è ancorata la nostra vita familiare. Lei è la migliore a occuparsi dei ragazzi e a gestire la vita in casa, per questo non sono assolutamente preoccupato. Anche così, però — conclude James — ti rimane addosso quella sensazione che ti stai perdendo qualcosa, il tempo trascorso con le persone a cui vuoi bene, coi tuoi figli”. A cui magari, anche per questo, LeBron James vuole portare a casa come regalo un altro anello NBA.