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NBA, Bill Russell: "Ho boicottato, so cosa vuol dire: sono orgoglioso di questi ragazzi"

NBA
©Getty

L'ex leggendario centro dei Celtics ha voluto ricordare su Twitter un episodio del lontano 1961, quando decise (insieme a quattro suoi compagni dei Celtics e due giocatori di St. Louis Hawks) di non scendere in campo nell'esibizione delle due squadre per aver ricevuto un trattamento razzista a Lexington, in Kentucky, sede della gara. Un esempio che ha ispirato i campioni di oggi, apertamente lodati dallo stesso Russell

Il nome di Bill Russell è stato citato spesso, in questi giorni. Riconosciuto della medaglia presidenziale della libertà da Barack Obama ai tempi della sua presidenza (la Medal of Freedom viene assegnata a chi ha contribuito “alla lotta per la pace nel mondo, per la cultura o per altre significative iniziative”), il leggendario ex centro dei Celtics è sempre stato un esempio di giocatore dal grande impegno sociale. Sua l’idea di mettere al voto — come più volte ricordato in queste ore — la decisione di scendere in campo il giorno dopo l’assassinio di Martin Luther King nell'aprile 1968, con la NBA che dava il via alla serie di finale a Est tra i suoi Celtics e i 76ers di Wilt Chamberlain. La partita si giocò, non ci fu la maggioranza necessaria tra i giocatori per fermare il campionato — come fatto invece dai Milwaukee Bucks e poi dalle altre squadre in queste ore — ma è lo stesso Bill Russell che ha voluto ricordare su Twitter un episodio ancora precedente a quel 1968. “Nel 1961 mi sono rifiutato di scendere in campo durante una partita amichevole esattamente come hanno fatto ieri i giocatori NBA. Sono una delle poche persone che sa cosa significa prendere una decisione così importante. E sono così orgoglioso di questi giovani ragazzi”, ha scritto l’ex n°6 di Boston.

Cosa successe nel 1961

I Boston Celtics erano in trasferta a Lexington, nel Kentucky, per giocare una gara di esibizione contro gli allora St. Louis Hawks. Nell’albergo dov’erano alloggiati, però, a Russell, Sam Jones e Tom “Satch” Sanders — tutti afroamericani — venne rifiutato il servizio prima al bar (per un caffè) e poi al ristorante, per pranzo. I tre, insieme a K.C. Jones (poi anche allenatore di Boston), andarono immediatamente nella stanza di Red Auerbach, il grande campo bianconere, per annunciargli la loro intenzione di andarsene. Li seguì anche il rookie dei Celtics Al Butler e due giocatori di colore degli Hawks, uno dei quali — Cleo Hill — dall’anno seguente non riuscì più a trovare una squadra nella lega, ostracizzato per via della sua decisione.

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Nel ricordare il fatto, Russell ha voluto anche pubblicare la foto di un giornale dell’epoca, dove è possibile leggere l’attacco del pezzo che riporta un’affermazione di indubbia potenza: “Il genio difensivo Bill Russell ha affermato di essere pronto a lasciare i Boston Celtics ‘senza la minima esitazione’ per aiutare il movimento dei diritti civili se questa decisione possa portare un concreto aiuto verso la comunità afroamericana, per risolvere le tensioni razziali”. Esattamente la stessa sensazione che più di un giocatore NBA ha probabilmente provato in questi giorni: “Non avrei altra scelta: è nei doveri di ogni americano di fare qualsiasi cosa possibile per lottare per una causa in cui crede fortemente”. Una lezione che a quasi 60 anni di distanza risuona oggi più forte che mai.

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