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NBA, la protesta da parte dei giocatori è stata boicottaggio, sciopero o altro?

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Il New York Times - stimolato dalla riflessione social fatta da Alexandria Ocasio-Cortes - si è chiesto quale fosse il termine più giusto da usare (dopo le critiche ricevute per il titolo in copertina). E la risposta è che la parola proposta dagli stessi giocatori dei Milwaukee Bucks è quella sbagliata, come sottolineato anche da Flavio Tranquillo nell'estratto video preso da Basketball Conversation

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“Boicottaggio”. Non ci sono stati dubbi, sin dai primi istanti in cui i giocatori dei Milwaukee Bucks hanno scelto di rintanarsi nello spogliatoio e non prendere parte alla gara-5 di primo turno playoff contro i Magic. Ne hanno parlato in quei termini i diretti interessati ed è venuto naturale a tutti proseguire lungo quella scia. Ma “boicottare” è davvero il termine giusto per definire il gesto, l’azione compiuta dai giocatori NBA? Non secondo Alexandria Ocasio-Cortez - deputata democratica di New York e una delle donne più in vista della sinistra statunitense degli ultimi anni - che ha rimproverano il New York Times per aver scelto quel termine per firmare una copertina a suo modo storica. “Boycott”, con il parquet rimasto vuoto. “La vostra copertina è sbagliata. Dovete cambiarla e scrivere SCIOPERO”. Quella la parola giusta. Un rimprovero subito allargato al sistema dei media a cui la deputata chiede conto: “Voglio sapere perché avete usato quel termine”. La ragione di una lamentela del genere? Semplice: “Le parole contano, sono più importanti che mai soprattutto in un momento delicato come questo e non possiamo passare il tempo a ripeterle senza dare il giusto peso e a capire cosa vogliano dire”. E in effetti, a ben vedere, la deputata non ha tutti i torti.

Chiamarlo sciopero sarebbe stato un problema, almeno per i giocatori NBA

Lo sciopero infatti si definisce come una “interruzione non autorizzata del proprio lavoro”, uno stop volontario e organizzato delle prestazioni lavorative, fatto con l’intenzione di avanzare una serie di domande - spesso legate alla retribuzione e a chiedere diritti economici e non, ottenere benefici e condizioni di lavoro più sicure. Al netto delle rimostranze - che nel caso NBA non erano certo rivolte alle condizioni salariali - la logica è proprio quella: “Se i giocatori hanno una partita in programma per quel giorno e non si presentano in campo perché hanno dei problemi e vogliono protestare, quello non può che definirsi sciopero”, sottolineano gli esperti interpellati dal New York Times. Per i giocatori NBA però sarebbe potuto diventare un problema chiamarlo sciopero, perché avrebbe avuto delle implicazioni economiche e legali ben diverse: “Chiamarlo così, soprattutto vista l’unità di intenti tra giocatori, proprietari e dirigenti NBA, è stata un modo per evitare complicazioni nella gestione delle cose”, continua a spiegare il NY Times. In realtà, andando a leggere quanto previsto dal CBA che regola i contratti dei giocatori NBA (immagine riportata in basso), lo sciopero è vietato, così come ogni altra interruzione o interferenza con le operazioni della lega o di ognuna delle squadre. La domanda però resta: chi fa informazione, perché non si è posto il problema? Il boicottaggio infatti ha delle implicazioni economiche ben diverse , vuol dire mettere in difficoltà un business, piegarne le logiche commerciali. Attirare l’attenzione del pubblico con l’obiettivo di influenzare il modo di fare soldi della propria azienda. “Mettersi insieme per rifiutare di fare affari con, in maniera tale da punirlo sotto l’aspetto economico”. Insomma, tutta un’altra cosa.

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I dipendenti non possono “boicottare”, e i giocatori NBA lo sono

C’è anche un problema terminologico più sottile, dovuto all’essere sport di squadra, che racconta quale può essere un altro errore concettuale terminologico: i giocatori NBA sono dipendenti a tutti gli effetti della lega, non giocare vuol dire dunque per loro scioperare. Nel caso dei giocatori di tennis ad esempio il discorso potrebbe essere diverso: se loro infatti decidessero di unirsi e agire collettivamente, da liberi professionisti quali sono, potrebbero mettere in piedi un boicottaggio - il quale però dovrebbe sempre avere finalità punitive a livello economico. Insomma, è importante capire che quello NBA è stato uno sciopero: “I giocatori hanno coraggiosamente preso parte a uno sciopero, non hanno boicottato nulla. La differenza è importante perché mette in mostra il potere delle persone in quanto lavoratori”, per dirlo sempre con le parole della Ocasio-Cortez. Uno sciopero selvaggio? Quello forse no, visto che può esserlo se si considera il fatto che fino a pochi minuti prima dell’azione nessuno sapeva che ci sarebbe stato. Al tempo stesso però, quando si è deciso di agire, anche la struttura NBA lo ha assecondato, a partire da dirigenti e proprietari. Di selvaggio anche in questo caso quindi c’è stato ben poco. Se non l'utilizzo del termine - inappropriato - di boicottaggio.

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