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Finali NBA, CJ McCollum: "Gara-3 mi ha ricordato gara-1 della serie tra noi e i Lakers"

NBA

Dario Vismara

In esclusiva per Sky Sport, la guardia dei Blazers analizza la finale NBA in corso ("Attenzione al ruolo delle palle perse"), racconta dei suoi inizi nella lega (due anni da riserva prima di vincere il premio di giocatore più migliorato) e parla delle ambizioni future dei suoi Blazers e del rapporto con Damian Lillard

CJ McCollum i Lakers li conosce bene, avendoli dovuti affrontare con i suoi Trail Blazers al primo turno di questi playoff. Nel mezzo della serie finale che vede L.A. di fronte a Miami, la guardia di Portland ha trovato il tempo di concedersi ai microfoni di Sky Sport in esclusiva per rispondere ad alcune domande. Dagli inizi nella lega al rapporto con Damian Lillard, dalle ambizioni dei Portland Trail Blazers fino alle finali NBA attualmente in corso, la guardia proveniente dal piccolo college di Lehigh — votato ancora nel 2016 giocatore più migliorato della NBA e oggi ormai vicinissimo al livello di All-Star — ha accettato di rispondere a ogni domanda. Ecco cosa ci ha detto.

 

Ci sono volute due stagioni per entrare in quintetto a Portland: quando hai capito di poter dire la tua nella NBA?

 

“Sapevo fin da subito di poter giocare in questa lega, ma le circostanze, le opportunità, gli infortuni e il resto non mi hanno permesso di giocare subito come volevo. Mi son fatto male subito, e quando son guarito la squadra stava girando alla grande, grazie anche al contributo di alcuni giocatori di esperienza [Arron Afflalo, Steve Blake, lo stesso Wesley Matthews, ndr], che erano nella lega da parecchi anni. Ma allenandomi ogni giorno con loro, giocando contro di loro quotidianamente e sapendo il lavoro che avevo fatto ero certo di poter appartenere a questa lega. Così mi sono detto: ‘Appena avrai l’opportunità di giocare, devi coglierla al volo e non guardarti più indietro’, ed è quello che ho cercato di fare da allora fino a oggi”.

Sei uno dei giocatori con il miglior movimento di piedi di tutta la lega. Da dove arriva?

 

“Credo sia dovuto a tutti gli sport che ho praticato fin da ragazzino: facevo atletica, sono sempre stato fluido nei miei movimenti, per cui nel corso della mia carriera ho solo cercato di capire come potevo rendere questa dote un vantaggio a mio favore. Oggi penso di esserci riuscito: è importante il lavoro di piedi, la capacità di separarsi dagli avversari e creare spazio, la comprensione di quello che può succedere in campo, prima ancora che accada. Con queste armi cerco di sopravvivere nella lega e affermarmi ogni anno di più”.

 

Sono ormai 5 anni che giochi al fianco di Damian Lillard: cosa hai imparato da lui?

 

“Ho imparato moltissimo in questi 5 anni da Damian. La cosa più importante credo sia la mentalità: devi credere in te stesso, ma a volte devi proprio avere una fiducia irrazionale nelle tue capacità — e io l’ho sempre avuta. Questo rende tutto più facile quando le cose in campo non vanno come vorresti, perché io continuo a credere nel lavoro che ho fatto e continua a credere in me stesso, e Damian ha sempre avuto anche lui questo tipo di fiducia, insieme a un certo desiderio di rivalsa per essere stato a lungo sottovalutato. L’altro aspetto riguarda l’etica del lavoro: noi giocatori di mid-major [i college non di primo piano nel panorama di Division I NCAA, ndr] sentiamo di dover sempre dimostrare di potercela fare ma allo stesso tempo abbiamo anche la responsabilità di tenere una porta aperta per quei giocatori che possono essere i prossimi Damian Lillard, CJ McCollum o Ja Morant. Per via della strada che abbiamo dovuto percorrere per arrivare fino a qui, forse noi apprezziamo ancora di più il gioco rispetto a tanti altri giocatori”.

 

Dove Portland deve ancora migliorare per poter tornare tra le pretendenti al titolo NBA?

 

Restare tutti sani, come prima cosa. Riavremo Rodney Hood, di ritorno da un infortunio; dovremo vedere se tutti i ragazzi torneranno a Portland l’anno prossimo; io stesso devo tornare al top della mia forma fisica. Una volta fatto tutto questo, con il roster a disposizione dovremo trovare il modo di puntare al titolo”.

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Siamo nel mezzo delle finali NBA: cosa pensi della sfida tra Lakers e Heat?

 

“Entrambe le squadre stanno giocando davvero duro, mettendocela tutta — soprattutto i Miami Heat — e il conto delle palle perse finora ha avuto un ruolo importante a mio avviso. I Lakers ne hanno collezionato molte, e se la sono dovuta vedere anche con problemi di falli, oltre ad avere alcune delle loro star, come Kentavious Caldwell-Pope e Danny Green, che non hanno tirato come sanno. Markieff Morris ha giocato bene, Kuzma ha giocato bene, ma per battere una squadra come i Miami Heat hai bisogno che entrambe le tue superstar — LeBron e AD — giochino alla grande e che i giocatori di ruolo collettivamente facciano la loro parte. L’ultima gara probabilmente è stata la prima — dalla gara-1 che hanno giocato contro di noi, al primo turno — in cui il loro supporting cast non ha giocato all’altezza e anche Anthony Davis non ha segnato come suo solito”.

 

I rating tv di queste finali sono in calo, e sappiamo che tu sei molto interessato al mondo dei media e del giornalismo: hai un’opinione al riguardo?

 

“Credo che per la specificità di quello che oggi sta accadendo nel nostro mondo, ci sia meno gente chiusa in casa e più gente fuori, o che comunque faccia altro. Va tenuto in conto anche il momento dell’anno in cui abbiamo ripreso a giocare, nel pieno dell’estate e anche di una pandemia senza precedenti. Ci sono tanti fattori che vanno a determinare i rating televisivi, ma in generale credo che la gente ami ancora seguire lo sport e in particolare la NBA, facendo il tifo per la propria squadra come ha sempre fatto”.

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