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NBA, sciopero dei Milwaukee Bucks: Kyle Korver racconta cosa è successo nello spogliatoio

le parole
©Getty

Il giocatore di Milwaukee, durante un discorso all’università di Creighton, ha commosso la platea spiegando cosa accaduto prima della palla a due della gara-5 tra Bucks e Magic lo scorso 26 agosto: “Cosa devo dire, cosa devo fare? Poi, tra le lacrime, ho trovato la risposta: stare al fianco dei marginalizzati, degli ultimi, e mostrare il mio supporto”

La stagione dei Bucks è finita nel peggiore dei modi - battuti dai Miami Heat in semifinale di Conference, ben lontani da quelli che erano i risultati che la squadra del Wisconsin sperava di raggiungere. Un’annata complicata dalla sospensione, dall’isolamento nella bolla e che passerà alla storia anche per il boicottaggio (termine improprio per raccontare la scelta di non giocare) da parte di Milwaukee prima della palla a due di gara-5 contro Orlando. Una decisione che nel giro di poche ore ha portato al blocco dello sport negli Stati Uniti per 24 ore, un effetto a catena mai ottenuto prima e partito dallo spogliatoio in cui sedeva anche Kyle Korver - testimone oculare che ha deciso di raccontare nel dettaglio la dinamica degli eventi in un lungo discorso tenuto all’università di Creighton; la squadra con cui ha giocato, prima di intraprendere la sua lunga carriera NBA: “Nella bolla e nelle settimane trascorse a Orlando abbiamo parlato spesso del Black Lives Matter. Un paio di giorni prima che la polizia sparasse a Jacob Blake - quando si parlava di un ragazzo bianco che aveva iniziato a colpire a casaccio gli afroamericani con una pistola o roba simile - tutta la squadra, tutto lo spogliatoio dei Bucks è sempre stato coinvolto da queste storie. In molti lo erano, ma alcuni dei miei compagni in particolare sentivano come loro quelle atrocità, ne capivano profondamente il senso. Sentivano il dolore”.

La situazione poi è inevitabilmente cambiata quando la protesta, fuori dalla bolla di Disney World, è riesplosa nelle strade di Milwaukee a seguito dell’ennesimo caso di violenza da parte della polizia: “Siamo arrivati quindi alla partita con Orlando, eravamo in spogliatoio ma non pronti mentalmente a una sfida playoff - avevamo la testa da un’altra parte. C’era ad esempio uno dei nostri vice allenatori, Darvin Ham, che ha due figli ventenni a Milwaukee, che potevano essere negli scontri di strada o vittime come Blake. Lui stava pensando a loro, era in lacrime, commosso, la partita era finita nel dimenticatoio in quel frangente. È entrato in spogliatoio e ha iniziato a ripetere: “I ragazzi sono in strada”, facendo un discorso davvero toccante. E poi nei commenti tra allenatori, tra noi giocatori, è venuta fuori l’idea: “Beh, lasciamo perdere e oggi non giochiamo”. Abbiamo iniziato tutti a fremere, ad agitarci, mentre io non sono riuscito a trattenere le lacrime. Ho guardato la maglia su cui avevo deciso di scrivere “Black Lives Matter”, e mi sono detto: “Cosa stiamo facendo?”.

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Una domanda a cui hanno dato risposta i suoi compagni afroamericani: "A quel punto prima George Hill, e subito insieme a lui Sterling Brown, hanno sottolineato che se non volevamo non eravamo costretti a scendere in campo. Hill ha concluso il suo discorso dicendo: “Io sono fuori, non gioco” e a tutti è venuto naturale dire in coro: “Noi siamo con te”. Sono stati trenta minuti di enorme confusione, è successo tutto a ridosso della partita, con il cronometro che a quel punto è andato a zero e noi siamo rimasti dentro lo spogliatoio. Io in particolare mi sono ritrovato in una situazione delicata, mi sono chiesto: “Come posso dare una mano, essendo un uomo bianco? Cosa devo dire in uno spazio del genere?”. E mi sono convinto del fatto che dovevo supportare e stare al fianco di chi viene marginalizzato nella nostra società. Quando puoi amplificare la voce di chi è in difficoltà, puoi ascoltarne i pensieri e le lamentele, le loro idee per cambiare le cose, trovando un modo per dare una mano, beh… in quel momento non fai altro che pensare: “Io sono con te”. Dopo la partita siamo rimasti a lungo in spogliatoio, a ragionare, a riflettere. Abbiamo parlato con il governatore del Wisconsin, rendendoci conto di quanto sia difficile cambiare le cose, e poi con la famiglia di Jacob Blake - tenendo il telefono al centro della stanza, in modo che tutti potessero sentire. Loro sono stati fantastici, hanno manifestato la loro gratitudine per quanto accaduto sul parquet. In quegli istanti ci siamo resi conto che non avevamo un piano per il futuro, non sapevamo cosa sarebbe successo, ma ascoltare quelle voci ci ha fatto capire che avevamo fatto la scelta giusta”.

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