Dall'NBA alle Olimpiadi: boicottaggi e proteste nella storia dello sport. FOTO
Il boicottaggio di Milwaukee nella gara-5 dei playoff di Nba con Orlando per il caso Jacob Blake rievoca alcune delle proteste più clamorose nella storia dello sport, dai Mondiali di calcio a varie edizioni dei Giochi Olimpici. Ma anche nel tennis, nel nuoto e nella scherma
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Tra i primi casi di boicottaggio nella storia dello sport quello dell'Uruguay ai Mondiali italiani del 1934: la Celeste non partecipò per un senso di rivalsa nei confronti delle squadre europee (tra cui l'Italia) che, per diverse ragioni - soprattutto logistiche - avevano disertato la precedente edizione della Coppa Rimet, ospitata proprio dagli uruguaiani.
Mentre l'Inghilterra rifiutò per principio di giocare fino ai Mondiali del 1950 in Brasile, perché gli inglesi - da inventori del calcio - si sentivano campioni del mondo "a prescindere".
Ancora gli inglesi protagonisti, stavolta alle Olimpiadi di Londra 1948, nel post Seconda Guerra Mondiale, quando il Cio decise di non invitare i Paesi "aggressori" Germania e Giappone (ufficialmente per l'assenza di un Comitato olimpico); mentre l'Unione Sovietica rifiutò di inviare i propri atleti.
Nel 1956, ai Giochi di Melbourne, i boicottaggi furono due: Egitto, Libano e Iraq per protestare contro l'invasione della Penisola del Sinai da parte di Israele, che innescò la crisi di Suez; Olanda, Spagna e Svizzera non parteciparono per l'occupazione dell'Ungheria ad opera dell'esercito sovietico.
Partecipò eccome invece l'Ungheria e la finale di pallanuoto proprio contro i russi sarà una vera e propria mattanza, ribattezzata "Il bagno di sangue di Melbourne" per l'agonismo estremo della gara, vinta dai magiari, che si confermarono campioni olimpici.
Ai Giochi di Città del Messico 1968 - preceduti dal "Massacro di Tlatelolco" - durante la cerimonia di premiazione dei 200 metri i velocisti afroamericani Tommie Smith e John Carlos alzarono il pugno chiuso con un guanto nero in segno di protesta contro il razzismo e il trattamento riservato ai cittadini di colore del loro Paese. Per solidarietà ai colleghi l'australiano Peter Norman indossò una spilla in favore dei diritti umani.
Dopo la strage di Monaco '72 (l'attacco terroristico palestinese che portò all'uccisione di 11 atleti israeliani) arrivarono i Giochi di Montréal 1976, boicottati da 27 paesi africani, dalla Guyana e dall'Iraq per protestare contro la squadra di rugby della Nuova Zelanda, che si era recata in tour nel Sudafrica, Paese bandito dalle Olimpiadi dal 1964 per le sue politiche di apartheid.
L'altro boicottaggio alle Olimpiadi canadesi è di Taiwan, che non prese parte ai Giochi perché non gli fu permesso di presentarsi col nome di "Republic of China", come era avvenuto finalmente nel 1972 dopo anni di proteste per la denominazione "Formosa" (vedi Roma 1960, nella foto). Una questione complessa, ancora oggi, che ciclicamente si riperquote anche nello sport (Taiwan non è riconosciuto dalla Repubblica Popolare Cinese, considerato una "provincia" da Pechino nonostante sia indipendente dal 1949).
Sempre nel 1976 - nonostante l'iniziale volontà del governo di boicottare il match - l'Italia del tennis vola in Cile per la finale di Coppa Davis. A Santiago, in casa del dittatore Augusto Pinochet, gli azzurri conquistano il trofeo, ma trovano comunque la maniera di protestare: il 18 dicembre, nel doppio decisivo, Adriano Panatta e Paolo Bertolucci indossano una maglia rossa, la stessa che le donne vestivano nelle piazze cilene per rivendicare la scomparsa dei propri cari, i desaparecidos.
Con l'acuirsi della Guerra Fredda scambio di "favori" tra Usa e Urss ai Giochi del 1980 e 1984: gli americani (e altri alleati) non volarono a Mosca in segno di protesta per l'invasione sovietica dell'Afghanistan; i russi (e altri Paesi Comunisti) non presero parte alle Olimpiadi di Los Angeles perché non ritenevano adeguate le garanzie di incolumità dei propri atleti.
Il "caso" Corea del Nord. La dittatura di Pyongyang ha boicottato diverse volte le manifestazioni sportive più prestigiose. Ai Mondiali di calcio di Messico '70 si rifiutò di giocare contro Israele e non si presentò nel 1978, nell'Argentina del generale Jorge Rafael Videla. Non partecipò a Seul '88 - seguita da Cuba, Nicaragua ed Etiopia - perché esclusa dall'organizzazione dei Giochi, affidati "soltanto" alla Corea del Sud, con cui sfilerà poi - sotto la stessa bandiera - alle Olimpiadi casalinghe del 2018.
Ci sono stati anche dei casi individuali di boicottaggio ai Giochi: come nel 2008 a Pechino ("scena" ripetuta anche ai Mondiali di Roma) quando il nuotatore iraniano Mohammed Alirezaei si rifiutò di gareggiare contro un collega israeliano; oppure nel 2011, ai Mondiali di scherma di Catania, con la tunisina Sarra Besbes salita sì in pedana - per evitare la squalifica - scegliendo però di rimanere ferma davanti alle cinque stoccate (vincenti) dell'avversaria Noam Mills. Anche lei israeliana.