Vengono da due sconfitte in casa, hanno perso 7 delle ultime 10, continuano a non convincere e stanno scivolando pericolosamente in classifica. "La responsabilità è di tutti, anche mia e di Brad [Stevens]", dice il general manager Danny Ainge. Che poi però mette sotto accusa soprattutto i giocatori: "Devono volere di più la vittoria"
La stampa di Boston non ci va giù leggera: c’è uno “scollamento” tra squadra e allenatore, forse tra gli stessi giocatori; messi sotto accusa per iniziare sempre male le partite; per protestare troppo con gli arbitri; per rifugiarsi troppo spesso negli isolamenti delle loro superstar (“Con gli altri 4 che sembrano i Jackson 5 in ammirazione di Michael Jackson”, la pungente osservazione del Boston Globe). E i Celtics — che vengono da due sconfitte in fila (contro Pelicans e Mavs) e che hanno perso 7 delle ultime 10 gare disputate — sembrano una squadra che ha perso la bussola, oltre a parecchie posizioni nella classifica della Eastern Conference, dove Boston è scivolata in ottava posizione, con un record negativo (23 vinte, 25 perse). Brad Stevens non si nasconde: “Ho allenato squadre buone e squadre pessime. Oggi siamo una squadra mediocre” — e forse per la prima volta (giunto alla sua ottava stagione a Boston) il suo ruolo non appare più così sicuro. “Non mi importa del futuro — dice lui — così come non mi importa neppure del passato, delle prime 48 partite. La domanda per me è una sola: cosa facciamo ora? Se vogliamo fare qualcosa, il momento è questo”. Jaylen Brown, leader vocale di questi Celtics, non sa dire cosa non va tra i biancoverdi, ma solo perché ci sono troppo cose che non vanno: “Manca orgoglio, manca, manca aggressività, manca l’identità difensiva di questa squadra, e a volte siamo troppo compiaciuti. In più ora c’è un clima di pessimismo, si vogliono vedere solo i lati negativi: e questo non aiuta”.
Ainge: “Tutti responsabili, ma i giocatori devono guardarsi dentro”
A riassumere il momentaccio allora ci prova il general manager Danny Ainge, a sua volta finito nel mirino dei critici per un’eccessiva timidezza sia alla trade deadline (arrivato solo Fournier, e perso Theis) che sul mercato dei buyout (sfuggiti sia Drummond che Aldridge che, si dice, Cousins). “Siamo tutti responsabili — tanto io quanto Brad. Poi però Brad non può essere responsabile se i ragazzi tirano 5/34 da tre punti, su tiri tutti smarcati, o quando giocano senza la minima emozione, neppure dopo aver sbagliato tiri su tiri. Può prendersela con loro, urlargli contro e toglierli dal campo, ma non può fare molto altro. Anche perché non è un giocatore o un altro che non funziona: a turno sono tutti, e così come il successo di una squadra è di tutti, è colpa di tutti anche quando le cose non funzionano”. Ma su una cosa Ainge non transige: “Lo sforzo da mettere in campo, quello dev’esserci, ogni sera”. E allora la lente di ingrandimento del gm torna a posarsi sui giocatori: “Credo debbano guardarsi dentro. Devono desiderare di più la vittoria, devono essere in grado di lottare contro le avversità”. Ora o mai più, perché il calendario dei Celtics da qui alla fine non è certo impossibile (15° su 30 nello “strenght of schedule”) ma Knicks, Hornets, Heat, Hawks e Pacers hanno tutti un cammino più facile. E allora le cose potrebbero complicarsi anche in ottica playoff.