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NBA, Horace Grant, ex Magic: "Banchero una bestia. E Boston può tornare in finale"

NBA

Mauro Bevacqua

In un'intervista esclusiva ai microfoni di Sky Sport, il 4 volte campione NBA (tre anelli con i Chicago Bulls di Jordan e Pippen, uno con i Lakers di Kobe e Shaq) parla di Paolo Banchero e degli Orlando Magic, una franchigia che conosce bene per averci giocato per 5 stagioni (raggiungendo anche un'altra finale NBA). E poi rivela, a sorpresa, chi è il giocatore della NBA di oggi che più gli assomiglia

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Dopo aver vinto tre titoli NBA con i Chicago Bulls di Jordan a inizio anni '90, Horace Grant è passato agli Orlando Magic - quelli di Shaq e Penny, quelli capace di raggiungere le finali NBA nel 1995 e liminando proprio i Bulls che riaccoglievano in squadra Michael Jordan (dopo la parentesi nel baseball). Ai microfoni di Sky Sport Grant oggi accetta di parlare della sua ex squadra, del talento di Paolo Banchero e della gioventù dei Magic, ma anche degli avversari di Orlando in questo NBA Sundays (i Boston Celtics). Ecco cosa ci ha detto.

I suoi Orlando Magic erano una squadra giovane ma già capace di essere vincente: cosa la rendeva tale?

"Penso che ciò che ha reso quella squadra una squadra vincente sia stata la maturità di Shaq [O'Neal], nonostante fosse così giovane - e lo stesso vale per Penny Hardaway, Nick Anderson e Dennis Scott. L'anno prima che io mi unissi a loro avevano raggiunto i playoff ma erano stati eliminati dagli Indiana Pacers [3-0 al primo turno, ndr]. Credo che il mio arrivo, grazie alla mia esperienza vincente - vista la mia passata esperienza a Chicago, al fianco di campioni come Michael Jordan, Scottie Pippen e tutti gli altri - penso di aver portato quel piccolo ingrediente di cui avevano bisogno per poter far strada anche nei playoff".

Anche gli Orlando Magic di oggi - proprio come quella squadra - sono molto giovani, roster alla mano... Cosa pensa di loro?

"Hanno davvero tanto talento giovane in squadra. Hanno preso la prima scelta, Paolo [Banchero], in uscita da Duke, ed è stata davvero una buona scelta perché ha già dimostrato di meritarsi quella chiamata; hanno Cole Anthony, che credo sia un'ottima point guard; hanno il giovane che è stato anche lui prima scelta assoluta, a Philly [Markelle Fultz], che all'inizio della sua carriera aveva tutti quei problemi al tiro - e il coaching staff dei Magic è stato bravissimo a dargli il tempo di inserirsi con calma; c'è Wendell Carter Jr., un altro ottimo pezzo del loro roster - e potrei continuare. Penso abbiano solo bisogno di costruire un bel cameratismo in spogliatoio e sviluppare un po' di maturità, in campo e fuori, per diventare davvero una forza a Est". 

Quando giocava era 2.08 per 97 chili, e il suo ruolo era quello di ala forte. Oggi Paolo Banchero è 2.08, pesa 113 chili eppure è una sorta di "point forward". Cosa ci dice questo dell'evoluzione del gioco negli ultimi anni?

"Dico sempre che in NBA è successa la stessa cosa che succede nella nostra vita di tutti i giorni: l'evoluzione a cui stiamo assistendo è qualcosa di incredibile. Giocatori di 2.13 tirano da tre punti e mettono la palla a terra come fossero delle point guard: questo è il livello della NBA oggi, ed è un livello altissimo. La mia personalissima opinione è che i talenti giovani di oggi siano molto più forti fisicamente, un po' più veloci e sicuramente sono in grado di trattare meglio il pallone di un sacco dei giocatori della mia era".

Cosa pensa abbia cambiato di più il gioco, la capacità dei lunghi di giocare da esterni o il tiro da tre?

"Direi che è una combinazione di entrambi i fattori. Il tiro da tre però era già un'arma allora, con grandi interpreti come Reggie Miller o Ray Allen, ma l'evoluzione dei lunghi, e la loro capacità di trattare la palla in questo modo - combinata al tiro da tre e all'adozione dello Eurostep - è davvero incredibile. Basta vedere un lungo come Joel Embiid, e il suo modo di attaccare con lo Euro-step, oppure Giannis [Antetokounmpo], che nonostante sia alto 2.10 tratta il pallone come una guardia".

Torniamo su Paolo Banchero: come descriverebbe il suo gioco?

"Paolo è una bestia! Sa tirare, sa trattare la palla, è forte fisicamente e ha un'intelligenza cestistica che per essere solo una matricola è davvero incredibile. Riunire tutte queste caratteristiche in un solo giocatore è qualcosa che lo renderà a mio avviso un All-Star per un gran bel numero di anni".

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Quattro titoli NBA e un'altra finale disputata - di certo lei sa cosa vuol dire vincere. Cosa pensa di questi Boston Celtics e quante chance creda abbiamo di arrivare in fondo e vincere?

"Quando l'anno scorso hanno raggiunto le finali lo hanno fatto superando un inizio di stagione davvero difficoltoso. Quando hai una superstar in ascesa, un all-pro, come Jayson Tatum, il miglior difensore NBA in Marcus Smart e un giocatore come Jaylen Brown, queste sono le tre pietre miliari che ti possono portare fino in fondo. E sono fortemente convinto che se continuano a giocare come stanno facendo, restando lontano dagli infortuni, possono tornare a giocarsi la finale - non ho dubbi al riguardo"

Con i Bulls, all'inizio della sua carriera, avete perso varie serie di playoff contro Detroit prima di riuscire a batterli e quindi a vincere. Quanto l'aver perso l'anno scorso contro Golden State può "aiutare" questi Celtics a raggiungere il titolo? 

"A nessuno piacere perdere, ma se quando accade riesci a imparare come fare a non commettere ancora certi errori allora puoi migliorare ulteriormente - e nel loro caso tornare in finale e stavolta vincere. Al tempo - e forse ancora oggi, come membro dei Chicago Bulls - a noi non piaceva dare troppo credito ai meriti dei Detroit Pistons ma doverli affrontare per tutti quegli anni ci ha insegnato a usare la testa e non solo le nostri doti fisiche. Penso che se Boston sarà in grado di fare lo stesso, allora i Celtics potranno vincere uno o più titoli". 

Chi è, oggi, l'Horace Grant della NBA?

"Ai miei tempi il gioco era più fisico e a noi 'ali forti' veniva chiesto di fare al massimo un paio di palleggi e poi di ripassare il pallone alla point guard: non potevamo certo palleggiare, e meno ancora tirare da tre punti - quello era proprio escluso. Per questo è difficile paragonare il mio gioco a quello di qualche giocatore di oggi ma se dovessi sceglierne uno farei il nome di Serge Ibaka".