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Simone Fontecchio: "La NBA non è un mondo semplice da affrontare, che gioia con i Jazz"

NBA
©Getty

Intervista speciale per Simone Fontecchio, sempre più spesso in campo in questo finale di stagione con i Jazz e soddisfatto della crescita - personale e di fiducia nei suoi confronti - che è riuscito a ottenere in questi mesi di regular season, ben consapevole che non avrebbe trovato minuti e vita facile: "Dopo la gara con i Rockets e i 13 punti in un quarto ho pensato: 'Ok, sono un giocatore NBA', ma è durata 10 secondi come sensazione"

La partita contro Golden State ce la ricordiamo tutti: inizi dicembre, Simone Fontecchio riesce a trovare il canestro decisivo allo scadere, regalando non solo una vittoria ai Jazz, ma conquistando anche l’attenzione di un pubblico che fino a quel momento non era abituato a sentir pronunciare un cognome così strano da scandire con la pronuncia americana. Un viaggio iniziato due decenni prima, a Pescara, seguendo le orme di una madre e di un nonno giocatori e soprattutto di un fratello maggiore molto talentuoso: “Sono state le persone che più mi hanno influenzato: quando ero un ragazzo, volevo sempre giocare contro mio fratello. Il mio sogno era diventare un giocatore come lui”. Come spesso accade poi, è stato lui ad avere la meglio - spiega nell’intervista rilasciata al sito americano NBA.com: “Crescendo come atleta e professionista, non ho mai pensato per davvero alla NBA come una prospettiva della mia carriera: è difficile anche solo immaginare uno scenario di quel tipo, il mio obiettivo era divertimi, guadagnarmi da vivere giocando a pallacanestro, ma senza mai chiedermi a che livello sarei riuscito ad arrivare”.

Nel 2015 - dopo essere stato votato come il miglior giovane della Serie A - Fontecchio si era dichiarato eleggibile al Draft, facendo anche un workout con i Celtics, parlando con Danny Ainge e sentendo attorno a sé una fiducia inattesa, che poi però non è stata confermata: “Non so se fosse la scelta giusta in quel momento”, finito poi in ombra in Italia prima di sbocciare nuovamente all’Alba Berlino e con la Nazionale Italiana: “Adoro il fatto che sono riuscito a diventare un riferimento della pallacanestro azzurra: è una grande sensazione ogni volta che ho l’opportunità di indossare la maglia dell’Italia”. Grazie al palcoscenico olimpico e agli oltre 19 punti di media è arrivata poi la vera occasione di sbarcare in NBA: “Ho iniziato a immaginare un mio futuro in campo negli USA in quel momento, ma sapevo non sarebbe stato facile”. Fino al 15 luglio, quando i Jazz hanno bussato alla sua porta.

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Una notizia che ha lasciato tutta la mia famiglia senza parole: “Erano tutti impazziti di gioia”, lui per primo, che si è ritrovato ad andare negli Stati Uniti per la prima volta dopo quel famoso workout con i Celtics nel 2015. “Tutti sono stati fantastici con me: mi hanno fatto sentire subito uno di loro”, diventando amico di Walker Kessler e in particolare di Lauri Markkanen - compagni in campo e fuori, anche in questo finale di stagione che sta regalando spazio, minuti e soddisfazioni a Fontecchio (che viaggia a oltre 10 punti di media nelle ultime 14 partite). Una sensazione provata per la prima volta contro Houston, quando nella quarta gara della stagione riuscì a segnare 13 punti con tre triple: “In quell’istante ho compreso di essere diventato un giocatore NBA: ‘Goditela’, mi sono detto. Ma è una sensazione d’appagamento durata dieci secondi, poi sono subito tornato a lavorare in palestra”.

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