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NBA, i retroscena dell'addio di Lillard a Portland: tensioni e gelo con la dirigenza

NBA
©Getty

In un lungo pezzo su Bleacher Report vengono ricostruiti gli ultimi mesi di Damian Lillard come giocatore dei Portland Trail Blazers, tra le tensioni con la dirigenza della squadra (tanto da richiedere l’intervento della NBA) e la proposta del giocatore di tornare sui suoi passi ritirando la richiesta di essere ceduto, eventualità rifiutata dal GM Joe Cronin

"Il modo in cui è andata quest’estate dietro le quinte ha lasciato sicuramente un retrogusto amaro in bocca". Con queste parole Damian Lillard svela le sue verità a Chris Haynes, giornalista di Bleacher Report da sempre molto vicino al sette volte All-Star e autore di un lungo pezzo di retroscena su come si è deteriorato il rapporto tra il giocatore e la franchigia di cui è stato bandiera per 11 anni. E anche se lo stesso Lillard ci tiene a rimarcare che certe cose non cambiano ("Adorerò sempre questo posto, è casa mia. Continuerò a vivere qui indipendentemente da tutto"), è chiaro che c’è stato qualcosa che non ha funzionato tra le parti, tanto da richiedere a un certo punto l’intervento della NBA per sedare gli animi.

 

Una questione personale

Al centro dei problemi tra i Blazers e Lillard c’è non solamente la richiesta di essere ceduto, ma di non prendere in considerazione nessun’altra destinazione se non Miami. Una volontà che secondo la franchigia li ha messi in una posizione di svantaggio nelle negoziazioni per cederlo, senza poter cercare la miglior offerta possibile per Lillard ma dovendo invece gestire le dichiarazioni dell’agente del giocatore Aaron Goodwin, che ha detto chiaramente a tutte le altre 28 squadre che il suo assistito non avrebbe gradito di giocare per loro. "Volevo che tutti capissero che, sebbene Dame non avesse una ‘no-trade clause’, avrei fatto qualsiasi cosa in mio potere per controllare il mercato e aiutare il mio cliente ad andare dove voleva" le parole di Goodwin a Bleacher Report per spiegare la sua posizione.

 

Fatto sta che i Blazers non hanno davvero mai intavolato una trattativa con Miami: la prima richiesta, secondo diverse fonti, era addirittura di inserire Jimmy Butler o Bam Adebayo nello scambio per Lillard, quasi una provocazione nei confronti dei vice-campioni NBA che ovviamente non avrebbero mai accettato un accordo del genere. L’ultima volta che le parti si sono parlate risale addirittura alla Summer League di luglio con un contatto telefonico tra Cronin e il GM degli Heat Andy Elisburg, senza mai neanche incontrarsi di persona nonostante le richieste di Miami. Un’intransigenza anche solo a contrattare che il camp di Lillard ha interpretato come una questione personale, lasciando che le emozioni minassero sul nascere qualsiasi accordo possibile.

L’incontro a casa di Lillard e il dietrofront rifiutato

Tutto questo ha portato a una rottura tra i Blazers e l’agente di Lillard, con le parti che non si sono parlate per settimane a settembre a seguito di un incontro avvenuto a inizio mese a casa di Lillard. In quell’occasione il giocatore ha espresso tutta la sua frustrazione per non aver viste mantenute le promesse che gli erano state fatte, visto che i Blazers avevano deciso di tenerlo fuori dalle ultime partite della passata stagione per avere le migliori chance possibili al Draft, cercando di avere la scelta più alta per poi cederla sul mercato per un veterano pronto a contribuire. Promessa che non è stata mantenuta, anzi i Blazers hanno scelto un giocatore nel ruolo di Lillard come Scoot Henderson, con l’intenzione di renderlo la nuova faccia della franchigia.

 

Sempre in quello stesso incontro Cronin disse chiaramente che, se fosse stato costretto a fare un accordo con Miami, non avrebbe accettato niente di meno che tutti gli asset possibili che gli Heat avrebbero potuto mettere sul piatto in termini di giocatori e scelte. Un’intransigenza a trattare che portò Lillard a credere che uno scambio con gli Heat sarebbe stato quantomeno improbabile, tanto da proporre una soluzione risolutiva: secondo quanto scritto nel pezzo, il giocatore era pronto a ritirare la richiesta di essere ceduto e tornare ai Blazers piuttosto che essere scambiato con un’altra squadra che non fossero gli Heat. Anche qui però la dirigenza dei Blazers si è rivelata intransigente, dicendo che non c’era modo di tornare indietro e rifiutando così il dietrofront di Lillard. Il giocatore, shockato dopo aver sentito che non sarebbe potuto tornare ai Blazers, ha concluso l’incontro dicendo di non avere alcuna intenzione di rimanere dove non era voluto.

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Le settimane di gelo e l’intervento della NBA

Una settimana dopo quell’incontro, Lillard ha cominciato a presentarsi al campo di allenamento della squadra per prepararsi alla stagione, spiegando così la sua decisione: “Ero ancora a roster e non avevo alcuna fiducia che uno scambio si sarebbe materializzato, perciò mi sono fatto vedere. Non volevo creare problemi né distrazioni, tutti erano felici di vedermi. Tutti tranne Joe [Cronin]. Non mi ha mai parlato. E quando l’ho notato, ho deciso che non avrei fatto io il passo per andare a parlargli”. Le comunicazioni però non si sono interrotte solamente tra il giocatore e il dirigente, ma anche con il suo agente — tanto da costringere la NBA stessa, circa una settimana fa, a organizzare una call su Zoom coinvolgendo rappresentanti della lega, Cronin, un legale della squadra, Lillard, Goodwin e un consigliere dell’Associazione Giocatori per riaprire le comunicazioni tra le parti. Una call definita "esplosiva" in alcuni suoi passaggi, ma che ha fatto in modo che quantomeno il GM della squadra e l’agente del giocatore tornassero a parlare, dopo che la squadra aveva escluso il camp di Lillard da qualsiasi aggiornamento sulla trattativa per paura che Goodwin potesse far saltare gli accordi.

 

Lillard: "Giannis è più forte di me, è un sogno che si realizza"

Alla fine lo scambio di Lillard si è materializzato, anche se non a Miami come avrebbe voluto ma bensì ai Milwaukee Bucks, squadra a cui Lillard aveva aperto (così come ai Brooklyn Nets) per cercare di risolvere la situazione. "Per tutta la vita sono stato parte di squadre 'underdog' e quando avevamo una buona stagione era perché eravamo andati oltre i nostri mezzi” ha concluso Lillard. "Ora potrò giocare con un compagno di squadra che è più forte di me e fare parte di una grande squadra: è un sogno che diventa realtà. Non sono mai stato in questa situazione, ma è arrivato il momento di esserlo. E conoscendomi, ne approfitterò il più possibile. Sono molto eccitato per questa opportunità". La data da segnare sul calendario è quella dell’1 febbraio, giorno in cui i Bucks faranno visita per la prima volta ai Portland Trail Blazers: c’è da credere che non sarà una serata come tutte le altre.

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