NBA, i premi stagionali senza il limite delle 65 partite: come cambierebbero?
NBA
fotogallery
10 foto
©Getty
Da questa stagione per essere "eleggibili" per i premi di fine stagione e i quintetti ideali bisogna aver disputato almeno 65 partite di regular season, togliendo dalla corsa diverse stelle. CBS Sports si è chiesta come cambierebbero le scelte badandosi non più sulle gare disputate, ma tenendo in considerazione solo il rendimento nei minuti giocati. E i risultati sarebbero decisamente diversi
1/10
- I più impallinati di voi già lo sapranno, ma uno dei segreti della difesa asfissiante dei Magic è certamente Isaac. Dopo 941 giorni lontano dai campi, in questa stagione Isaac è tornato ad avere un impatto enorme in campo, riuscendo a migliorare la già ottima difesa di Orlando di oltre 10 punti su 100 possessi pur giocando solamente 15 minuti a partita
2/10
- Con ogni probabilità invece il premio finirà di nuovo nelle mani di Rudy Gobert, che dopo i tre già vinti con gli Utah Jazz potrebbe ripetersi alla guida dei Minnesota Timberwolves, forti della miglior difesa in tutta la lega. Un premio meritato per un giocatore che è tornato ai suoi livelli migliori dopo la passata stagione in chiaroscuro
3/10
- Dopo aver faticato a imporsi nei primi due anni di carriera, Johnson ha migliorato di quasi 11 punti il suo contributo realizzativo da una stagione all’altra, raddoppiando anche per rimbalzi (da 3.3 a 7.4) e triplicato gli assist (da 1.2 a 3.6) con ottime cifre anche per recuperi e stoppate, rendendosi uno dei difensori più versatili della squadra. Il problema è che ha disputato appena 55 partite, rendendosi così ineleggibile per il premio
4/10
- Negli ultimi sette anni è sempre stato un giocatore nominato per la prima volta all’All-Star Game a vincere il premio, e Maxey ricade in questa casistica. Senza James Harden ha alzato il suo rendimento e il suo coinvolgimento, pur a discapito di un certo peggioramento (fisiologico) nell’efficienza
5/10
- Sono state solamente 14 partite, visto che ora è già tornato nel quintetto base, ma il periodo a cavallo di febbraio e marzo passato da sesto uomo da Klay Thompson lo ha aiutato a lasciarsi alle spalle una stagione complicata. In quelle 14 gare ha viaggiato a quasi 20 punti di media con il 43% da tre punti in 27.4 minuti a partita, ben al di sopra dei 17.1 con il 37.3% dall’arco in 30.2 minuti di quando parte titolare
6/10
- La corsa al premio di Sesto Uomo dell’Anno in verità è molto aperta, con ottimi candidati come Malik Monk dei Sacramento Kings e Norman Powell degli L.A. Clippers. Se Minnesota dovesse finire col miglior record della conference però si farebbe fatica a non premiare Reid, che in questo ultimo periodo non sta facendo rimpiangere neanche uno come Karl-Anthony Towns fuori per infortunio
7/10
- Se non ci fossero stati gli infortuni, Joel Embiid avrebbe avuto una grossa opportunità per ripetersi come miglior giocatore della lega, visto che il suo rendimento per minuti giocati è stato stellare. Basti pensare che era dai tempi di Wilt Chamberlain che un giocatore non viaggiava sopra la soglia del punto al minuto, come fatto da Embiid in questa stagione (1.284 punti in 1.242 minuti). Considerando anche l’impatto difensivo, l’unico limite sono le sole 37 gare disputate
8/10
- La lotta sarebbe stata serrata anche se Embiid fosse rimasto sano, come è stato peraltro negli ultimi tre anni in cui sempre loro due si sono contesi il premio. Jokic rischia di guidare i Nuggets di nuovo al miglior record della conference a suon di prestazioni mostruose e nessuno in NBA può pareggiare il suo impatto: la differenza tra quando c’è e quando non c’è è di quasi 24 punti su 100 possessi, un’enormità
9/10
- Ok, neanche ridurre i requisiti riuscirebbero a togliere il premio di rookie dell’anno alla matricola degli Spurs, destinato a vincere senza grosse discussioni. E pensare che le sue cifre (21.3 punti, 10.7 rimbalzi, 3.8 assist e 3.7 stoppate, leader in NBA) sarebbero potute essere migliori se non fosse stato limitato nel minutaggio per larga parte della stagione, disputando appena 29.6 minuti a partita, scollinando sopra quota 38 solo nell’ultima gara con i Sixers finita al doppio overtime
10/10
- Non ce ne voglia Chet Holmgren, protagonista comunque di un’ottima annata d’esordio in una squadra vincente, ma una volta sistemate due o tre viti nel 2024 Wembanyama ha cambiato marcia dal punto di vista individuale, e nelle ultime settimane ha reso competitivi gli Spurs anche con un roster ridotto ai minimi termini per quanto riguarda il talento complessivo. E i margini di miglioramento rimangono ancora ampi