NBA, "Se solo avessi scelto...": i più grandi rimpianti al Draft degli ultimi 30 anni
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In copertina i volti di questi giocatori sono facilmente riconoscibili: Darko Milicic, Greg Oden e Michael Olowokandi. Tre scelte che la storia ha inequivocabilmente decretato come disastrose. Per il valore dei giocatori, certo, ma soprattutto per le alternative a disposizione di ogni singola squadra al momento della scelta, che in quello specifico Draft avrebbe potuto portare a chiamate ben migliori. Ecco perché nella storia degli ultimi tre decenni di Draft abbondano i rimpianti...
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- Viene ripetuto allo sfinimento: "Il Draft non è una scienza esatta". E questo si sa. Gli errori ci stanno, alcuni di più, altri magari di meno. Ma più della scelta sbagliata in sé, i rimpianti e i rimorsi che turbano anche a distanza di anni i sonni di alcuni GM non sono tanto per la scelta fatta ma per quella NON fatta, nel guardare - con il famoso senno di poi - quali talenti erano ancora a disposizione al Draft. Gli esempi più clamorosi degli ultimi 30 anni li trovate qui di seguito
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- È un Draft ricchissimo, che nelle prime posizioni vede Allen Iverson (#1) e Marcus Camby (#2), Stephon Marbury (#4) e Ray Allen (#5). Quando arriva il turno di Golden State, con la chiamata n°11 i californiani vanno con un lungo, Todd Fuller, un "cervellone" a cui al college, a NC State, hanno ritirato la maglia
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- A proposito di scelte internazionali. I Clippers (essendo i Clippers...) sorprendono tutti e con la prima chiamata assoluta vanno oltreconfine, investendo tutto su un giocatore nigeriano con passaporto inglese che però aveva studiato a Pacific, piccolo college californiano (che aveva scelto a caso, puntando il dito sulla cartina...)
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- I Bucks scelgono alla n°6, quindi Bibby, Jamison e Carter li hanno già visti finire altrove. Questo però non significa che il pool di talento a disposizione non riservasse ancora nomi importanti. Milwaukee si fida di quanto fatto vedere al college a Michigan da quest'ala mancina, con mani e piedi notevoli ma parecchi chili di troppo.
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- Quello del 2003 rivaleggia con il 1996 (e con il 1984) per il titolo di "miglior Draft di sempre". D'altronde alla n°1 va un certo LeBron James, e ci mancherebbe altro. Subito dopo però i Pistons, a cui manca un tassello per ambire al titolo, investono su un giocatore serbo di cui si dice un gran bene, che combina centimetri e mano morbida. Il resto, come si dice in questi casi, è storia.
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- Nei licei dell'Indiana c'è un gigante che domina le partite come non si vedeva fare dai tempi di Bill Russell. Stoppa ogni tiro, raccoglie vagonate di rimbalzi ma anche movimenti offensivi e mano morbida. Certo, i big d'area non sono più così di moda, ma perdere la chance di selezionare Oden (dopo un'ottima annata al college a Ohio State) è un rischio che i Blazers non vogliono correre. Le ginocchia rovineranno la sua carriera...
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- La macchina da highlights che risponde al nome di Blake Griffin si merita la prima scelta assoluta, ma con la n°2 Memphis il lungo dalla Tanzania che a UConn aveva chiuso vincendo il premio di miglior difensore e giocatore dell'anno della Big East. Sono 221 centimetri di un fisico scolpito nell'ebano: ma in NBA le medie in carriera saranno di 2.2 punti e 2.7 rimbalzi.
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- Stesso Draft di Thabeet, ma cinque posizioni dopo, alla n°6. La scelta spetta ai Timberwolves, che avevano anche la chiamata n°5. Spesa per un giovanissimo playmaker spagnolo, il bambino prodigio Ricky Rubio. Un motivo in più per trovare assolutamente sconcertante la scelta di un altro playmaker, stavolta USA (college a Syracuse) con la n°6.
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- Il college era quello giusto (Duke), le caratteristiche anche (quelle di un lungo moderno, capace di giocare anche sul perimetro), i numeri non mancavano (211 centimetri, oltre 100 chili, ma anche 21 punti e 11 rimbalzi di media a livello NCAA). Sacramento si fida, e dopo che Phoenix con la prima chiamata seleziona Deandre Ayton, fa il nome di Bagley. Lo rimpiangerà a lungo