Olimpiadi invernali, strapotere Hirscher: re indiscusso di PyeongChang

Olimpiadi

Danilo Freri

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Secondo oro per l'austriaco, che dopo la combinata vince nettamente anche lo slalom gigante. Finalmente è protagonista anche ai Giochi. E non è ancora finita, perchè può arrivare la tripletta...

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La lotta c'è. Ed è anche bella, incerta, interessante. Per il secondo posto. Il primo ha solo una possibilità e si chiama Marcel Hirscher. Ma questa è una storia che finora si era vista solo in Coppa del Mondo: 55 vittorie e 120 podi per Marcel Hirscher, il dominatore che ha vinto 6 Coppe generali consecutive, fate sette con quella 2018 che sarà sua entro breve. Prima di PyeongChang i Giochi erano stati avari con il Re: solo un argento a Sochi in slalom e due medaglie di legno in gigante (2010 e 2014). E così in ogni intervista arrivava quella maledetta domanda: "Si può chiamare grande una carriera senza un'oro olimpico?". Era l'unico modo per provocare il dominatore, per trovargli un difetto. Hirscher ha risposto: oro in combinata, oro in gigante. E adesso arriva anche lo slalom. Fine delle domande. Adesso passiamo ad altri discorsi, ad esempio se è il più grande di tutti i tempi o se troviamo dei motivi (validi) per fare un altro nome al posto del suo. Al massimo possiamo attaccarci alla solita storia che, si dice, non sia proprio simpatico. Stupidaggini.

Restiamo alle cose concrete. Hirscher è il più straordinario dei campioni, che si ostina a vivere il più possibile una vita normale. Sugli sci c'è finito a due anni grazie a papà Ferdinand e mamma Sylvia. Il papà è il suo inseparabile coach anche oggi che lo staff che segue il dominatore si è allargato ed è diventato un team ultra professionale. La fidanzata è quella di sempre, Laura Moisl, una bella ragazza ma con una storia come tante altre, anche lei una presenza fissa con matrimonio in vista. Completa il quadretto familiare il cane Timon. Il Re è circondato dalla sua corte e tutti gli altri fuori. Basta e avanza per portarlo alle vittorie.

Che sono tante, ma che non dobbiamo commettere l'errore di darle per scontate. Hirscher è austriaco, il Re dello sci nella nazione dove lo sci è una questione di orgoglio nazionale. Dove ogni gara viene seguita come da noi la nazionale di calcio. Non si può nemmeno immaginare la pressione a cui viene sottoposto ogni volta che si presenta al cancelletto di partenza. Il capolavoro della carriera di Hirscher è stato imparare a gestire tutto questo. Passando attraverso esperienze come le delusioni olimpiche di Vancouver e Sochi, o l'attesa esasperante per i Mondiali di Schladming in casa (chiusi comunque con un oro in gigante e l’argento in slalom). Quello che non ti schiaccia, ti rende più forte. Lui lo è diventato in tutti i sensi, perché al di là della tecnica tra pali e porte, è stata la sua maniacale etica del lavoro a portarlo sul trono. Non si è mai accontentato del talento. Ha costruito muscoli con una preparazione accuratissima, ha stabilito nuovi canoni per il riscaldamento prima di affrontare le gare. Niente nasce per caso. Questa stagione olimpica ne è la dimostrazione perfetta. Il 17 agosto scorso si fratturò una caviglia durante il suo primo allenamento sulla neve. Niente panico: ha recuperato in fretta e già a dicembre è tornato a vincere. Anche se diceva che non era ancora pronto. Il Re vince lo stesso anche se non può dare il massimo. Vince per classe e per nobiltà diffusa. L'obiettivo olimpico è ripreso poi come da programma. A PyeongChang gli altri nobili dello sci come Kristoffersen e Pinturault stanno di fianco al trono e rendono più luminoso il Re. Non si arrabbiano nemmeno più. Si lotta per il secondo posto. Hirscher ha reso normalmente perdente anche la vita degli avversari.