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Alessandra Patelli, dal sogno olimpico al fronte coronavirus

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La vita della 28enne azzurra del canottaggio, laureata in Medicina, è cambiata in pochi giorni. Dal ritiro con l’Italia in vista delle Olimpiadi di Tokyo al lavoro in prima linea nell’emergenza coronavirus. Alessandra Patelli dal primo aprile lavora come volontaria specializzanda nel Distretto ULSS 2 di Pieve di Soligo

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Azzurra della nazionale di canottaggio ma pure medico, Alessandra Patelli è passata in un attimo dal ritiro con la nazionale in vista delle Olimpiadi di Tokyo al lavoro in prima linea nella battaglia contro il coronavirus. Dal primo aprile presta servizio a Pieve di Soligo (Treviso) come volontaria presso la ULSS 2. Ha 28 anni, due occhi azzurri e una volontà di ferro che le ha permesso di laurearsi in Medicina – 110 e lode - nel 2017 all’Università di Padova senza mai tralasciare l’amore per il canottaggio.

“A dire il vero i progetti nella mia mente erano diversi. Dopo le Olimpiadi di Rio 2016, con la partecipazione nel due senza femminile (quinto posto nella finale B insieme a Sara Bertolasi) avevo deciso di chiudere con l’attività agonistica proprio per dare priorità alla Laurea magistrale e dedicarmi totalmente alla mia futura professione come medico. Non sono mai riuscita a distaccarmi completamente dal canottaggio, ho capito che avrei potuto continuare a fare entrambe le cose anche grazie al sostegno della mia società Canottieri Padova, così nel 2018 sono riuscita a tornare nella squadra della nazionale. Attualmente sono specializzanda in Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico all’Università di Palermo ma sto svolgendo il tirocinio a Roma dove mi sono trasferita due anni fa, posso così allenarmi e lavorare presso l’Istituto di Medicina Sportiva del Coni”. Non è certo un caso se le è stato conferito dal Coni il riconoscimento “Atleta eccellente, eccellente studente 2017”, per i meriti sportivi e formativi. L’ultimo anno è stato particolarmente impegnativo per Alessandra tra tirocinio e allenamenti con l’obiettivo di ottenere la qualificazione olimpica. C’era l’entusiasmo per una nuova barca al femminile, il quattro senza, e il sogno di raggiungere la seconda Olimpiade in carriera. Fino a quando la pandemia di Covid-19 ha preso il sopravvento…

Fino a qualche giorno fa ero in raduno con il gruppo azzurro, l’avventura di questa nuova barca - il quattro senza - mi rendeva felice, con la speranza di riuscire ad ottenere il pass olimpico nella qualificazione di maggio. Poi la situazione è precipitata, lo sport si è fermato e le Olimpiadi sono state rinviate al 2021. A metà marzo sono tornata a casa mia a Conegliano per la quarantena, insieme al mio fidanzato ci siamo portati alcuni attrezzi per l’allenamento indoor, un remoergometro, una bicicletta e alcuni pesi. Contemporaneamente sono state sospese anche le mie attività di specialità come medico e quindi ho pensato: ok, ho il tempo per impegnarmi in prima linea, diciamo, sul fronte coronavirus. La mia coscienza mi diceva così, ho cercato un modo per poter aiutare”.

Si è rivolta alla ULSS2 Marca Trevigiana mettendosi a disposizione come specializzanda volontaria. Da cinque giorni presta servizio nel Distretto Socio Sanitario di Pieve di Soligo a stretto contatto con i pazienti, o possibili pazienti.

“Il lavoro del Distretto si occupa della patologia sul territorio cioè della gestione dei pazienti Covid, positivi o forse positivi al coronavirus. Purtroppo la carenza dei tamponi è una realtà quindi ci deve essere una gestione mirata di ogni paziente che si trova a casa, magari è sintomatico ma non sa come comportarsi”

 

Quindi, il Distretto è una sorta di primo centro di smistamento, anche per non intasare le linee telefoniche degli ospedali o del 118, supportate i pazienti in una prima diagnosi. Qual è il protocollo da seguire?

“Si, siamo un filtro tra medici di base e ospedali, con il compito di avvisare la Prefettura in caso di persone contagiate. Cerchiamo di seguire passo dopo passo i pazienti cosidetti Covid-Like, con sintomi ma senza aver effettuato il tampone. Essendo una situazione totalmente nuova non esistono delle linee guida ben precise, vuoi anche per la stessa sintomatologia. Di fatto la nostra è una prima indagine, in base alle tante patologie che esistono. Bisogna capire se ci sono altri contagi in famiglia, se isolare o meno tutta la famiglia. Noi li contattiamo telefonicamente per fare una indagine epidemiologica, in caso di un contagiato sospetto dobbiamo accertarci dei contatti che hanno avuto nelle 48 ore precedenti dall’inizio dei sintomi, farsi dare i nominativi di tutti i contatti per sentirli, capire se anche loro hanno sviluppato i sintomi”.

 

Il limite temporale è di 48 ore dall’inizio dei sintomi per i contatti, il periodo di isolamento però resta di 14 giorni?

Adesso si inizia a parlare di 21 giorni per l’isolamento che deve essere sempre comunicato alla Prefettura di Treviso, in termini medici la chiamiamo  “sorveglianza attiva” ed è monitorata quotidianamente. Si è visto che la sintomatologia è abbastanza lunga e soprattutto il paziente non si negativizza velocemente, magari è asintomatico ma  comunque può trasmettere ancora il virus. Giusto ieri abbiamo fatto una riunione molto lunga in merito alla possibile decisione di allargare l’isolamento a 21 giorni per soggetti sintomatici. Cerchiamo di dare indicazioni precise e a volte non è semplice, le persone sono giustamente ancora molto confuse”.

E’ una responsabilità non da poco cercare di supportare i pazienti al telefono, gestire in prima persona chi pensa di aver contratto il coronavirus, chi vuole ricevere aiuto, chi è terrorizzato. E’ un lavoro che richiede un determinato impegno psicologico

Io stessa all’inizio ero spaventata di avere questo contatto diretto, soprattutto in questo momento di grande pressione e nervosismo. Devo dire però che le persone sono contente di ricevere le nostre chiamate, rispondono con grande disponibilità a tutte le domande, ti ringraziano molto e il loro grazie si sente che è davvero sincero. I pazienti sono contenti di vedere che c’è una organizzazione dietro, di sentire che noi medici ci interessiamo a loro

 

In questa emergenza così immane più di qualcuno si lamenta di non avere riscontro quando telefona per chiedere aiuto. Ecco, che il vostro sostegno è notevole.

“La pandemia è dilagata nel territorio ed è ovvio che ci sia tanta confusione. Molti mi chiedono: sono positiva, posso fare il tampone? Purtroppo in questo momento dobbiamo rispondere di no. Qui nella regione Veneto non c’è abbastanza quantità di reagente, bisogna quindi decidere chi può essere sottoposto o meno al tampone. Non è semplice avere a che fare con tante persone preoccupate, giustamente, della propria salute ma anche del lavoro, in tanti mi dicono: ma posso tornare a lavorare?”

 

Non ci sono certezze. Men che meno nello sport, nella ripresa dell’attività e delle gare. Difficile fare previsioni come atleta e soprattutto come medico

Come atleta vorrei tanto che finisse il prima possibile, mi alleno una volta al giorno al chiuso senza però troppa convinzione ma immagino che tutti gli atleti siano in grande difficoltà, soprattutto motivazionale. In questo momento il mio primo pensiero è solo il lavoro da medico. Penso che almeno fino a metà maggio ci saranno delle grandi limitazioni. Quello che però tutti devono capire è che il coronavirus non scomparirà dall’oggi al domani, dobbiamo continuare a stare a casa il più possibile, cercare di mantenere ai livelli più bassi la circolazione del virus per arrivare lentamente ad una cosiddetta immunità di gregge, cioè creare una immunità naturale senza ancora la presenza di un vaccino. Siamo ancora in una fase critica e io spero che le persone continuino a rispettare le regole, ho paura che la gente abbassi l’allerta

 

E’ la sensazione di molti che ci sia più movimento, vediamo strade un po’ più affollate negli ultimi giorni. La rigidità del dover stare a casa sta venendo un po’ meno?

Quando c’è una notizia per tanto tempo poi c’è il rischio che diventi una normalità. Per qualcuno subentra pure l’insofferenza, me ne rendo conto, tanti mi chiedono: ma posso uscire? Si, si può uscire per fare la spesa, andare in farmacia, ma si deve continuare a stare a casa. Ovvio che l’atmosfera è pesante, io stessa esco per andare al lavoro e anche per me sono strane queste misure di distanza nel mio Distretto tra i miei colleghi medici, ma sono necessarie. Io continuo a ripeterlo: mi raccomando l’isolamento. Non bisogna mollare proprio ora”.