Sofia Goggia, argento vivo addosso: l'impresa in discesa alle Olimpiadi invernali

pechino 2022
Carlo Vanzini

Carlo Vanzini

Un recupero straordinario quello di Sofia Goggia, fatto di rabbia agonistica e di passione: quella che non l'ha mai abbandonata fin da bambina. Un oro sfumato per soli 4 metri, ma resta un'impresa straordinaria per lo sci azzurro e in generale per lo sport italiano. E la festa è doppia con il bronzo di Nadia Delago

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Si aggirava nel parterre come una leonessa che aveva appena perso la sua preda. Incazzata! La medaglia d’oro, la preda, era lì, era sua.  Si era divorata la pista, qualche dubbio negli appoggi sulla gamba sinistra, una piccola incertezza, ma giusto il tempo di un sospiro, di sollievo, perché tutto aveva funzionato.  Tutto perfetto anche con il branco compatto ad azzannare le avversarie, per dipingere di azzurro una giornata memorabile. Michael Mair, detto Much, discesista verace degli anni ’80, allenatore e consulente, quasi psicologo a volte, della squadra femminile, inquadrato per un istante, fa segno basta, chiudiamola qui. Sembrava finita e invece ecco la Suter, animale da medaglia, già oro ai mondiali un anno fa, assente Sofia. Seconda nella coppa di specialità, una vittoria a Garmish quest’anno, assente Sofia. 16 centesimi di vantaggio sul traguardo. 4 metri su una pista lunga 2704 metri, quei 4 di troppo per noi, non per lei che ha costruito, forse spinta anche da una folata di vento in più, il suo successo nel finale. Dai 55 ai 68" di gara ci sono due curvoni verso destra, con gamba sinistra, quella malandata, in appoggio. Suter riesce a stare più alta in ingresso e più stretta in uscita con più fiducia sull'appoggio su quella gamba sinistra. Suter vince, Sofia perde il sorriso, l’argento, a quel punto, non le bastava, non si dava pace. Poi ecco la smorfia di delusione, lasciare spazio a un sorriso pur sempre tirato. Ecco riemergere i freschi ricordi della caduta, delle lacrime e le stampelle, mentre le avversarie partivano per Pechino, la rincorsa impossibile contro tutto e tutti perché non era fisicamente possibile tornare a sciare in così poco tempo. Si vero, ma non per lei. Non ci sono parole per descrivere quegli allenamenti e il recupero, solo lei sa la fatica, il sudore, la frustrazione di quei momenti, nessun umano potrà mai comprendere cosa ha passato ed è passato in questa rincorsa lunga tre settimane.

Un recupero straordinario

Zurbriggen, uno dei più grandi dello sci, vinse l’oro ai mondiali di Bormio ’85, 18 giorni dopo l’intervento al menisco. Qui c’era di più tra legamento e perone, roba da non camminare per un mese. Non è la medaglia il premio, si certo quella ha un valore, ma quel che ha fatto per conquistarla. Il colore, passando i minuti, è diventato relativo, anche per lei che ha pian piano ritrovato il sorriso, pur sapendo che dentro resta quella incazzatura per quei 4 metri di distacco. Non sarebbe stata lì e non sarebbe lei se non ci fosse questa rabbia agonistica e questa passione di quella bambina che andava a scuola con la tuta da sci già indossata per non perdere tempo per gli allenamenti pomeridiani, fatti di ore in pumino per raggiungere Foppolo prima e piste sempre più lontane poi, con Sironi e Avogadro, i suoi mentori di quegli anni. Non sarebbe stata a Pechino, se non fosse incazzata per un argento, non sarebbe lei. Sofia è unica e non chiediamole adesso, come alla Brignone, di Milano Cortina. E’ vero è la nostra olimpiade, ma avviciniamoci un giorno alla volta e un passo alla volta con atlete che hanno dato tanto e tutto allo sci italiano. Atlete trentenni che stanno trascinando una nuova generazione come Nadia Delago, splendido bronzo di felicità. Atlete che stanno ispirando tante giovani e tanti adulti a non mollare mai, a essere più forti delle difficoltà, o semplicemente, come dice dalle parti di Sofia, motto di questa rincorsa olimpica e non solo, a MOLA’ MIA!!!!!!!

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