Dell'Orto: "Mio padre non voleva giocassi a football, ora posso andare alle Olimpiadi"

Nel suo nome era già scritto il suo destino. Nausicaa, in greco antico, significa “colei che brucia le navi”. E nell’Odissea di Omero, è la principessa dei Feaci, che gioca a palla con le sue ancelle e che aiuta Ulisse a tornare a casa. La storia di Nausicaa Dell’Orto, campionessa classe 1993 di football americano e di flag football – la sua variante senza contatto - delle Madcats di Milano e della nazionale italiana, è una storia di resilienza, di determinazione e di coraggio. Lei ha fatto del suo sport la sua missione, “bruciando navi” per giocare a football, abbattendo muri e scrivendo pagine importanti di storia, affiancata dalla sua armatura, dal suo casco e dalla sua immancabile palla, compagna fedele di viaggio. Non si è fermata di fronte alle difficoltà, di fronte ai no di chi non credeva che il football potesse essere uno sport da donne, o ai divieti perentori del padre, e ha portato il suo sport al coronamento di un vero e proprio sogno: approdare alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Una donna carismatica e comunicativa. I dolcissimi occhi azzurro ghiaccio in contrasto con il suo carattere combattivo, di chi ha sofferto tanto ma che si è anche preso le sue grandi soddisfazioni, tanto da essere una delle giocatrici più influenti nel panorama italiano e mondiale, un vero e proprio punto di riferimento per il movimento. "Da piccola facevo sport molto classici per le ragazze, – esordisce Nausicaa – danza classica, ginnastica artistica, che sono sport bellissimi, però in cui devi stare molto composto. Tutti si aspettano che le bambine facciano quel tipo di sport. Dopo un po’ mi sono stufata e ho deciso di fare cheerleading, perché era simile alla ginnastica artistica, ma in una squadra con tante ragazze da buttare in aria, piramidi, gare e tutto il resto, come facevano in America. Solo che mi ritrovo in una squadra che più che fare le gare faceva il tifo per una squadra maschile di football americano a Milano". Il primo incontro con il football in realtà è stato amore a prima vista. "Ogni weekend mi ritrovavo a fare la cheerleader per questi giocatori, e partita dopo partita, questo sport mi ha acceso qualcosa dentro. Mi sono accorta che volevo placcare, volevo correre, volevo fare i touchdown. Quindi ho radunato altre ragazze nello stadio che erano interessate, siamo andate dal presidente della squadra e abbiamo chiesto: 'Presidente, vogliamo fare la squadra femminile, la prima nella storia!’, lui ovviamente ci ha riso in faccia, ha detto 'no, voi non potete giocare, lasciate perdere, non succederà mai’ – continua a raccontare Nausicaa, e la sua passione è tangibile – Non ci siamo arrese, abbiamo trovato un coach che ci ha aiutato, siamo andati al Parco Sempione di Milano perché non avevamo un campo, ci ha dato le sue attrezzature polverose degli anni ‘80 e abbiamo iniziato a giocare. Abbiamo imparato a placcare, a correre con la palla, a ricevere. E poi abbiamo scoperto che un'altra squadra nasceva a Bologna e nel 2011 abbiamo organizzato la prima partita di football americano femminile in Italia. Da allora è diventato uno sport normalissimo per le ragazze, la federazione ha investito nel movimento, così come quel presidente che ci rideva dietro, e oggi le ragazzine giocano a football”. È iniziato per caso ma è poi diventata una vera missione di vita. "Se prima ci dicevano che era una cosa impossibile o che comunque non sarebbe stato un posto per le ragazze, adesso lo è e nessuno può negarlo perché è all'Olimpiade". Un percorso iniziato nel 2011 per gioco, che da subito ha incontrato non poche difficoltà. Non solo i problemi di un movimento inizialmente restio a coinvolgere le ragazze, ma anche i divieti di un padre che non ha mai compreso la passione di Nausicaa, ostacolandola in ogni modo. "A volte i genitori farebbero di tutto per supportarti, tranne che nell'essere te stesso – dice in modo lucido e schietto. Lo sguardo che nasconde la sofferenza di un’adolescenza turbolenta, in cui ha dovuto faticare molto più di quanto occorresse - Nel mio caso, purtroppo, mio padre è stato molto difficile e molto violento. Una persona complicata, una persona del 1936 che non capiva una donna in armatura". Ma come riesce un’adolescente ad andare avanti ed inseguire il suo sogno, quando tutto sembra dirle che non può o non deve farlo? “Non lo biasimo più di tanto, certo biasimo alcune delle sue azioni. Diciamo che non è stato facile andare contro un genitore che ti butta l'attrezzatura nella spazzatura. Mi sono dovuta nascondere tanti anni per fare questo sport, mio padre non mi ha mai voluto venire a vedere in nazionale, non c'è mai stato per supportarmi. Ma diciamo che la forza la trovi nelle persone che invece credono nel tuo sogno. In America dicono: 'When you find your passion, you find your people'. E penso che sia vero, cioè quando trovi la tua passione trovi le tue persone che sono pronte a lottare con te per quello che vuoi tu. Poi, mia madre è stata molto più in grado di supportarmi, è venuta a vedermi. La prima volta che è venuta, ha scoperto anche alcune delle sue alunne delle medie in cui insegnava facevano football americano con me, e quindi ha capito che non ero pazza! – ride, ma torna seria subito – Non possiamo vendere a tutti la storia che ci supporteranno sempre. A volte non arriva il supporto e bisogna saper reagire e trovare la forza in quello che fai e nel tuo sogno. Io non sapevo che questa mia passione mi avrebbe portato così lontano. Non lo sapevo da piccola che sarei andata a sette Super Bowl, che sarebbe diventato il mio lavoro, che come producer avrei seguito il football al livello più alto che c'è al mondo, cioè l'NFL. Non sapevo che mi avrebbe portato lontano, ma il punto è proprio questo: il cuore è la tua bussola. Devi seguirlo quando sai che c'è qualcosa di molto più grande di te che stai costruendo”. Così come ha fatto lei. Giocatrice, NFL Global Flag Ambassador e producer per una delle leghe più importanti del mondo, Nausicaa ha fatto della sua passione il suo lavoro, riuscendo a renderlo popolare, e soprattutto normalizzandone la partecipazione delle donne. "Ho cominciato perché mi piaceva tantissimo, e tuttora mi piace tantissimo. Ma all'epoca avevo questa passione sfrenata che mi faceva sfidare qualsiasi cosa, prendevo qualsiasi tipo di bus per andare a giocare a Bologna, perché c'era una possibilità di giocare a Bologna o a Ferrara, dormivo lì il weekend per giocare il più possibile" confida Nausicaa Dell’Orto, rispetto alla strada fatta finora. "Ho percorso un sacco di chilometri e forse ho capito dopo 5-6 anni che era quello che volevo fare anche nella vita: portare il football americano al di fuori dell'Italia, portarlo nel mondo e far innamorare tutti di questo sport. Tu devi seguire quello che ti accende un fuoco dentro per me, poi il resto arriva molto dopo. Se tu pensi di farlo solo per i soldi o per la fama, non dura tanto, se lo fai per passione dura per sempre”. Una passione che non si è mai spenta, e che ha portato Nausicaa a non fermarsi mai. Non solo un lavoro, ma una vera e propria missione sociale, per educare le nuove generazioni ad uno sport che può e deve essere per tutti. "Quando sei piccola ti insegnano che devi competere con le altre ragazze, non c'è tanto posto al top per le ragazze nelle aziende – dichiara - Nella scuola, in tutti gli aspetti della vita, spesso siamo messe una contro l'altra. Invece nel mio sport sei costretto a giocare con persone che, ti piacciono o non ti piacciono, in campo diventano le tue sorelle per forza di cose, perché impari a guardare tutte dalle stesse parte, a spingere verso lo stesso obiettivo, centimetro dopo centimetro. Cadi, cadi un sacco di volte, però c'è sempre una mano che ti rialza e che guarda insieme a te verso il touchdown. Ti devi muovere all'unisono e con le ragazze è molto importante imparare a lavorare di squadra. Io con il football mi sono resa conto che se lavori con una donna non ti può fermare nessuno. Il mio coach in America diceva sempre: ‘allenare gli uomini vuol dire dirgli di andare contro un muro, e loro lo fanno. Allenare le donne significa che prima ti chiedono perché e poi lo fanno meglio dell’uomo’. Noi spesso ci scusiamo quando sbagliamo perché ci hanno insegnato così, a sentirci sempre in colpa per tutto, ed è una cosa che col football si scardina piano piano. Alle nostre bambine che entrano a fare mini football, diciamo: ‘invece di chiedere scusa se sbagli, devi incoraggiarti e dire ok, lo posso fare, posso andare avanti’. Spesso quando andiamo nelle scuole e insegniamo alle bambine a giocare, diciamo: 'Tu sei il mio quarterback, vieni ti insegno a lanciare', loro si guardano dietro e fanno: 'io!?’, perché si aspettano sempre che sia un maschio a prendere le decisioni, ma quando le metti in una posizione in cui devono essere il capo e insegni loro come si fa, diventano proprio delle altre bambine. E’ uno sport in cui non sei mai solo. In cui spingi il più possibile per guadagnare anche solo un centimetro, e quando poi ci arrivi è la cosa più bella del mondo perché ti fa sentire vivo. Non c'è nessun momento nella mia vita in cui mi sento viva come quando gioco a football”. Uno sport che a Los Angeles 2028 sarà anche disciplina olimpica, nella sua versione senza contatto: il flag football. Un sogno che diventa realtà e una grande soddisfazione, entrare a far parte del palcoscenico dei grandi. Ma di cosa si tratta? “Il flag football è la versione senza contatto del football americano. - spiega - Invece di placcare una persona la difesa deve tirare le bandierine che sono attaccate alla cintura per far fermare l’avversario. Il campo è più piccolo, si gioca 5 contro 5, è molto più televisivo perché ci sono meno persone e dura meno una partita, circa un’ora, mentre nel football americano sono 35 giocatori a squadra a minimo e dura tre ore. Però la spettacolarità dei lanci, delle ricezioni, degli intercetti, dei mega interventi c'è, ma non c'è il contatto, quindi è anche molto più sicuro. All’inizio è stato difficile abituarsi al cambiamento, devo dire la verità, qualche espulsione l’ho presa! – scherza - Perché comunque nell’american football sei abituato a dover letteralmente passare attraverso le persone o a doverle evitare. Quello che cambia molto è la parte aerobica perché devi essere molto più agile. Rispetto al football dove praticamente sposti una persona da punto A a punto B contro la sua volontà, nel flag devi scappare”. Nausicaa è stata una delle promotrici di questo sport, convincendo anche il CIO ad inserirlo nel programma a Los Angeles. Come ci è riuscita? "NFL e la Federazione Internazionale di American Football mi hanno chiamato per parlare davanti al CIO insieme alla capitana del Messico, Diana Flores, e dirgli esattamente perché questo sport ci ha cambiato la vita, perché questo sport ci accende questo fuoco e spiegare che cosa può cambiare per gli altri. Qualche mese dopo abbiamo ricevuto una mail in cui ci hanno detto ‘grazie per tutto il vostro supporto, perché è anche grazie a voi che siamo riusciti a far diventare questo sogno realtà’. Il CIO voleva capire perché ne vale la pena e noi glielo abbiamo dovuto spiegare non solo a livello tecnico e logistico, ma soprattutto a livello umano. È stato davvero assurdo". E adesso sogna di andarci, ai Giochi Olimpici. Con il quinto posto agli Europei di flag football a Parigi di quest’anno, l’Italia femminile si è qualificata per i Mondiali del 2026 a Düsseldorf, competizione che darà il pass per le Olimpiadi. "Io mi auguro di partecipare ai giochi a Los Angeles, ovviamente. Se non parteciperò come giocatrice, ci arriverò sicuramente in un’altra veste – confessa con emozione - Mi auguro di esserci in ogni caso. Se non ci sarò, sarà per il bene della nazionale che viene prima di me come persona. L’importante è che la nazionale italiana ci arrivi con le giocatrici più forti e competitive. Siamo sempre gli underdogs perché abbiamo squadre molto più forti che hanno una storia molto più lunga davanti a noi, ma ogni anno miglioriamo tantissimo e la federazione sta investendo molto in noi. Non molliamo mai, siamo sempre sottostimate, ma poi veniamo fuori nei momenti giusti”. Insomma, la strada per Los Angeles è ancora lunga ma c’è grande fiducia in un movimento che sta crescendo molto e che può dare grandi soddisfazioni. Intanto però Nausicaa Dell’Orto può essere fiera della strada percorsa finora, e di quella ragazzina che ha iniziato quasi per gioco nel 2011 e che è diventata la donna forte, determinata e di successo che è ora. E cosa direbbe alla Nausicaa bambina adesso, a questo punto della sua vita? "Beh, le direi che nessuno potrà mai dire a nessun'altra bambina che il football è una perdita di tempo, una perdita di soldi, una perdita di salute, anzi, le direi che adesso possono giocare tutti. – conclude con gli occhi lucidi – E le direi di continuare a seguire il suo sogno, perché nessuno ti può dire quello che non puoi fare”. Ed è quello che dice anche a tutte le ragazze che incontra. “Se hai un sogno, continua a lottare per quello, perché nessuno ti può dire che non va bene per te. A tutte dico: non guardate l'opzione più safe, quella più sicura, sognate in grande. Perché se io sono arrivata a 7 Super Bowl, potete farlo anche voi, e potete fare qualsiasi cosa vogliate”.

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Dell'Orto: "Mio padre non voleva giocassi a football, ora posso andare alle Olimpiadi"

Andrea Colnago