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Stefano Napolitano, dal possibile ritiro al 3° turno all'ATP Roma: lunedì sfida Jarry

il ritratto

Barbara Grassi

Ha raccolto la wild card lasciata libera da Berrettini e l’ha sfruttata al meglio. Vincendo prima contro il tedesco Wolf (che ha preso il  posto proprio del romano) e poi contro un altro ripescato,  il cinese Shang. La commozione nell’intervista a fine partita con Sky Sport. Dopo anni di infortuni, operazioni, dubbi, ha vinto l’amore per il tennis. Al terzo turno sfiderà il cileno Jarry. Il Masters 1000 di Roma è in diretta su Sky Sport e in streaming su NOW.

NAPOLITANO-JARRY LIVE

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Stefano Napolitano l’anno scorso di questi tempi era numero 555 Atp. Quest’anno si è presentato al Foro Italico da numero 125. Un salto di 430 posizioni. Il segreto? Si è finalmente liberato dagli infortuni. Non si è fatto mancare niente. Schiena, spalla, ginocchio, gomito e due ernie. Durante la pandemia l’ultimo infortunio serio, alla spalla. La rieducazione da solo, gli esercizi al muro con la palla medica. La forza di farcela ancora una volta con il sogno di giocare sul campo Pietrangeli. Proprio quello della seconda vittoria a Roma contro Sheng e delle lacrime. Una carriera caratterizzata da un continuo stop and go. Frustrante doversi fermare e ripartire da zero di continuo. Napolitano e Matteo Donati erano i giovani più interessanti della generazione del ’95, un anno in più di una promessa ancora più attesa ma mai sbocciata, Gianluigi Quinzi. Il biellese è l’unico dei tre che non si è arreso e che è ancora un giocatore in attività. La forza di volontà e la maturità, da quando era bambino, sono i suoi segreti.

Stefano Napolitano agli Internazionali d'Italia - @IMAGO

Gli inizi della carriera

 

Stefano Napolitano è nato a Biella l’11 aprile 1995. La sua è una famiglia di tennisti. Papà Cosimo, a lungo il suo maestro, mamma Cristina e la sorella Nicole. Comincia a giocare a 5 anni. Dice al papà “voglio giocare a tennis perchè è la cosa in cui riesco meno bene”. Il piccolo Stefano giocava anche a calcio, lo voleva a 11 anni il Torino, e a basket. Il suo idolo è Kobe Bryant. E’ simpatizzante del Milan e il suo giocatore preferito è Paolo Maldini. Nel tennis invece stravede per Roger Federer. Il suo torneo preferito è Wimbledon. Il suo colpo è il rovescio, ispirato a quello di Djokovic. Ha sempre cercato di imparare da tutti, soprattutto dai giocatori che erano migliorati di più. Guardava i loro video su youtube. Anche delle tenniste, tra cui Maria Sharapova. Andava bene anche a scuola, si è diplomato al liceo linguistico. Quella frase detta al padre spiega molte cose di Stefano. La voglia di mettersi alla prova, la voglia di migliorare. Non ha mai lanciato una racchetta, non ha mai mostrato momenti di frustrazione tipici dei bambini. Chi lo conosce bene dice che è sempre stato riflessivo, a qualcuno poteva sembrare addirittura freddo, distaccato. Ma dentro di se ardevano la passione e l’amore per il tennis che lo hanno aiutato nei momenti difficili. La famiglia è sempre stata presente, senza mai mettergli pressione. Papà Cosimo voleva prima di tutto che suo figlio si facesse apprezzare come persona. E possiamo dire che ci sta riuscendo. Anche quando agli inizi si trovava nelle players lounge con i suoi idoli, non ha mai osato chiedere una foto. Non timidezza ma rispetto. Nelle interviste e nelle conferenze stampa colpisce sia la sua capacità espressiva e di saper raccontare quanto la profondità dei pensieri.

Gli hobby: libri e cucina

 

Napolitano andava bene a scuola. Napolitano ama leggere. Quando lo ascolti parlare lo capisci subito. Uno dei suoi libri preferiti è The biology of belief. “Mi ha insegnato molto come il pensiero abbia un effetto sulla materia”. La curiosità e la sete di conoscenza lo hanno sempre accompagnato. Gli piace anche cucinare e a fine carriera sogna di diventare uno chef. Forse merito anche delle polpette della nonna “Sono un segreto incredibile” ha detto nella conferenza stampa post Shang “Hanno un potere. Forse è l’amore della nonna che è entrato dentro di me”.

La classe del ‘95

 

Stefano Napolitano era considerato il giocatore più forte della sua generazione insieme a Matteo Donati con cui vince nel 2009 il doppio di Les Petit As, prestigioso torneo Under 14. Nel ranking junior arriva fino alla nona posizione. Nel 2015 l’esordio in doppio agli Internazionali d’Italia. Con Donati batte gli americani Isner e Querrey. Nel 2017 esordisce invece in singolare dopo aver superato le qualificazioni e si ferma al primo turno contro Troicki. Subito dopo l’esordio Slam al Roland Garros. Si qualifica per il main draw e vince il primo turno contro Mischa Zverev per poi perdere contro Schwartzman. Quando la sua carriera sembra decollare un infortunio dopo l’altro lo ferma ed è costretto ogni volta a ricominciare. 

Dal possibile ritiro alla rinascita

 

Nonostante la determinazione e l’amore per il tennis, Stefano Napolitano ha vacillato e ha avuto quel pensiero “Non ce la faccio più”. Il suo destino, per fortuna, è stato diverso. Quando il suo corpo ha finalmente trovato un po’ di pace ha potuto giocare con continuità. Era tutto quello che chiedeva, giocare. Si è trasferito a Verona per lavorare con il preparatore Flavio Di Giorgio e con Stefano Turri di Magnitudo Training. Due persone che hanno creduto in lui, anche se avrebbero potuto non farlo considerando una carriera che era un punto di domanda. Viaggia da solo, perché quando riparti dai Futures e hai speso quasi tutto per rimettere a posto il fisico non hai budget per il resto. I risultati di questi mesi dimostrano che poteva farne a meno. Anche se prima o poi ne assumerà uno, ma deve essere quello giusto. A febbraio vince il Challenger di Bengaluru e ad aprile quello di Madrid. Nel mezzo la preparazione per la terra rossa all’Accademia di Rafa Nadal. Ha cominciato l’anno da 232 Atp ed è arrivato a Roma da 225. La wild card lasciata da Berrettini, che avrebbe dovuto sfidare al primo turno, le vittorie contro i lucky loser Wolf e Shang. E quelle lacrime a fine partita raccontano una vita tra Futures, Challengers e sui letti di ospedale. Una continua ripresa. Fino al coronamento di un sogno. 

Parola al mental coach: "Fondamentale la gestione degli infortuni"

 

Proprio a Roma un anno fa è iniziata la collaborazione con Stefano Massari, mental coach di diversi tennisti tra i quali Matteo Berrettini. Il biellese lo ha definito “un essere speciale, un grande professionista”. Ecco un altro pezzo del puzzle del “nuovo” Napolitano. Massari ci ha aiuto a capire che tipo di giocatore e di ragazzo ha trovato e come sta lavorando con lui.

 

 

Che impressione ti ha fatto Napolitano quando vi siete conosciuti?

 

“Sapevo chi era ma non ci avevo mai parlato. Ho trovato un ragazzo con una capacità veramente notevole di esprimere i suoi pensieri. Stefano parla con una proprietà di linguaggio quasi di un intellettuale. Questa cosa mi colpì moltissimo, insieme alla maturità. È vero che Stefano quando ci siamo conosciuti aveva 28 anni, quindi non era più ragazzino, però sai 28 anni in sé non vuol dire granché. Ci sono persone che a 28 anni devono ancora capire moltissime cose e chi come lui invece ha fatto tesoro dell'esperienza. Io tendo a cercare di lavorare con persone da cui sento di poter prendere anch'io molto e lui mi ispirava tantissimo. Ho trovato una persona già talmente ricca di suo, con tantissime qualità, e lavorare con lui è stato da un lato estremamente stimolante, da un lato anche semplice. Il lavoro che poi faccio io è una specie di specchio, che poi gli faccio vedere quello che secondo me c'è e poi sulla base di quello che c'è cerchiamo di usarlo per raggiungere gli obiettivi. Mi ha colpito perché era un essere umano di valore e tutto quello che ha fatto in questo anno lo ha fatto veramente lui. Se tu pensi che lui più o meno un anno fa era 555 del mondo".

 

Napolitano ha in comune con Berrettini i tanti infortuni. Quanto è importante nel vostro lavoro parlarne?

 

"Certamente l'infortunio è un tema molto importante per i tennisti. Guarda quanti ritiri o cancellazioni da Roma per esempio, perché la stagione non viene organizzata tenendo conto delle necessità dei tennisti, viene organizzata secondo criteri commerciali e quindi i tennisti a un certo punto si spaccano perché il loro corpo non funziona sulla base di criteri commerciali. Quindi si fanno spesso male e la gestione dell'infortunio per un tennista diventa una parte essenziale del suo lavoro e del mio".

 

Cosa ci puoi raccontare del lavoro che fate?

 

"Lui e io ci sentiamo prima del match per prepararlo, per capire che partita vuole giocare, quali sono gli obiettivi che si vuole dare in termini tattici nei quali ovviamente non entro ma lo ascolto. Quali sono gli obiettivi in termini di gestione, quali sono le difficoltà che pensa di dover affrontare e come le vuole affrontare. Il lavoro che si fa dopo la partita e, viste le cose che ci eravamo detti, come è andata. Poi c'è un altro lavoro che riguarda tutto il resto. La vita del tennista, il rapporto con gli allenatori, con le persone che gli stanno più vicino, con il luogo in cui vive, con la conoscenza che per me in particolare è molto importante. Quindi sono questi due piani che si intersecano. Quando Stefano va in campo non è che tutto ciò che sta fuori dal campo non lo riguarda più, lui va in campo ed è sempre lui, quindi è molto importante che ci sia un equilibrio, che lui possa vivere con serenità, così sta meglio e gioca anche meglio".

 

Cosa ti sta colpendo di più in questi giorni?

 

"Mi sta colpendo tutto. Se io ti dicessi che sono stupito, ti direi una bugia. Però anche se ti dicessi che non lo sono ti direi una bugia. Stefano è stato molto bravo. E’ una grande persona. Il motivo per cui non sono sorpreso è che questa cosa non è accaduta improvvisamente per me. Io ho visto Stefano ricominciare dai Futures un anno fa. Giocava una partita magari di due ore e mezza e poi tornava in campo due ore e mezza ad allenarsi. Quando uno fa così e lo fa in maniera sistematica, secondo me si prepara ad arrivare al massimo che può raggiungere. Certo quale sia questo massimo io non lo so, però c'è una cultura del lavoro straordinaria. Questo è un elemento indispensabile, secondo me, nel tennis di oggi per fare qualcosa di buono. Quindi non sono sorpreso di quello che ha fatto perché lui è così, l'ho visto crescere. Si è preparato tutti i giorni per questo risultato".

 

In cosa pensi di averlo aiutato di più?

 

"Credo che sia veramente merito suo.  Stefano sa stare come poche persone dentro le difficoltà. La partita al primo set contro Zheng sembrava chiusa, 4-2 0-40. Alla fine ha perso il set. Non credo che ci siano tantissimi giocatori in grado di fare quello che ha fatto lui. Chiunque incontri Stefano  in questo momento sa che lo deve battere. Questa determinazione, questa forza, mi è piaciuta tantissimo. Lui è veramente una persona con una grande capacità di affrontare difficoltà anche grosse mantenendo la lucidità, mantenendo il focus su quello che è importante e che è utile in quel momento. Ecco non lo so se in questo io l'ho aiutato comunque questa è una grande cosa".

 

Cosa ti ha colpito di più di Napolitano e di Berrettini?

 

Di Napolitano mi ha colpito la saggezza. Di Berrettini mi ha colpito la brillantezza dell'intelligenza, la velocità dell'intelligenza".