Tra idoli e rinascite: le sorprese di Indian Wells

“Every sunset has its story”. Soprattutto in California, dove i tramonti preludono al Paradiso, il Paradiso del tennis di Indian Wells, un informale quinto Slam con sede a Palm Springs, dove le favole diventano realtà. Elemento in comune, l’effetto sorpresa, la sorpresa di trovarsi protagonisti nella seconda settimana di uno tra i Masters 1000 più prestigiosi in calendario. A dire la verità, per Yosuke Watanuki, probabilmente la sorpresa era già stata trovarsi in main draw dopo aver superato due turni di qualificazioni, tabellone al quale era riuscito a iscriversi sfruttando il ranking protetto da numero 136 ATP, non particolarmente utile negli ATP 250 e 500, ma fondamentale per darsi una chance nei Masters 1000. Due sono le partite che più vengono in mente pensando al giapponese: quella persa al secondo turno a Miami nel 2023 contro Frances Tiafoe – incrocio che, ci torneremo, guardandoci indietro sembra un segno mandato dal destino – e quella, sempre persa, sempre al secondo turno, contro Alexander Zverev a Wimbledon quattro mesi dopo, che gli aveva regalato l’ingresso in top 100, l’Itaca di tutti i tennisti, il confine tra la luce di poter partecipare direttamente agli Slam e l’ombra di dover passare una vita tra le sabbie mobili di qualificazioni ATP e Challenger. E dire che Watanuki da juniores era stato numero 2 ITF, posizione raggiunta con la vittoria al Campionato Internazionale giovanile di Tennis a Porto Alegre. Tennis iper-aggressivo e velocità di piedi che poi non hanno trovato la corretta applicazione nel circuito maggiore. Almeno fino alla seconda metà di 2023. Stare nel limbo tra dentro e fuori la top 100, però, vuol dire che basta un soffio di vento a mandarti dall’altro lato. A gennaio 2024, prima di competere agli Australian Open, Watanuki sente un dolore sospetto al ginocchio. Come tutti i top 100 'precari', il giapponese sceglie di non fermarsi e sbaglia. E così, otto mesi dopo, in campo contro Fritz al terzo turno nel Masters 1000 di Shanghai, Watanuki scende in campo con fasciature agli addominali, alla schiena, al ginocchio sinistro, alla caviglia sinistra e alla coscia destra. Tanto, tantissimo da proteggere per chi chiede tanto, tantissimo al proprio fisico. A partire dal servizio dal movimento squisitamente personale: piede destro davanti al sinistro, lancio di palla a media altezza e coordinazione occhio-gamba che gli permette di caricare il movimento sul lato destro, scaricando il peso da quello sinistro. Servizio vecchio, allenatore nuovo. E qui si torna a Tiafoe, già citato qualche riga fa. Sconfiggendo lo statunitense al terzo turno di Indian Wells, in una partita da ben 47 vincenti, Watanuki si è guadagnato gli ottavi di finale in un Masters 1000 per la prima volta in carriera, diventando il secondo con più bassa classifica ad arrivare così in fondo a Palm Springs da Tommy Haas, ai tempi numero 882 ATP, nel 2004. E per chi cerca ulteriori ironie nel destino, il giapponese nel proprio box aveva il supporto di Wayne Ferreira, ex top 10, ma soprattutto ex-allenatore di Tiafoe, nel cui angolo, al contrario, era a Miami due anni fa. Il sogno di Watanuki si è fermato però contro il numero 43 ATP Tallon Griekspoor, un altro per il quale Indian Wells è diventato il torneo di una vita. Se esiste un volto che più di tutti incarna la gavetta negli ultimi cinque anni, probabilmente è proprio l’olandese. Classe 1996, mai oltre la 127 posizione nel ranking ITF da juniores, tra l’esordio tra i professionisti nel 2014 e i riflettori puntati su di lui 11 anni dopo, Griekspoor ha seguito il 'cursus honorum' di un tennista. Sette titoli ITF in 15 mesi, tra il 2016 e il 2017, per conoscere alla perfezione pregi e difetti del proprio tennis. Poi il primo titolo Challenger, a luglio 2018, e il debutto in top 200, per stabilizzarsi a livello di circuito minore. Passi piccoli, senza fretta, ma senza tregua. Il primo main draw in uno Slam arriva due anni dopo, a gennaio 2020, al sesto tentativo. Un passaggio a Nord-Ovest, prima di essere rapidamente sconfitto da Taylor Fritz. Il tempo di uno stop per Covid-19 e la scalata di Griekspoor prosegue: nel 2021 l’olandese vince la cifra record di otto titoli Challenger in una singola stagione. Nel mezzo, il debutto a Wimbledon, con la sconfitta contro il futuro campione alle Olimpiadi, Alexander Zverev, il quale gli lascia sette game. Proprio come per Watanuki e Tiafoe, anche l’incrocio tra Griekspoor e Zverev in prospettiva sembra essere un segno mandato dal destino. Il definitivo passaggio da circuito Challenger a circuito ATP, avvenuto a inizio 2022, nel complesso è positivo: due titoli, a Pune nel 2023 e a Den Bosch nello stesso anno, tanti terzi turni in uno Slam e un best ranking da numero 21 ATP. Il rimpianto più grande per Griekspoor, però, passa da una partita, proprio in un Major. Terzo turno Roland Garros 2024, contro, indovinate chi, Sascha Zverev. L’olandese è avanti 4-1 con due break nel quinto e decisivo set. Perderà la partita 7-6 al tiebreak decisivo. Istantanea di un bilancio terribile contro i top five in carriera: 0 vittorie e ben 18 sconfitte, fino al 7 marzo 2025. Poi Griekspoor incontra per l’ottava volta a livello ATP sempre quel tale Zverev, che dopo il disastro sul Philippe Chatrier si è imposto anche a Shanghai e a Parigi-Bercy . Soltanto che a Indian Wells Sascha ha il braccio molto più pesante: la colpa non va data al vento, che rende i rimbalzi irregolari e il dritto difficile da controllare, ma di quella testa di Zverev che è avvolta tra le nuvole, al pensiero di diventare numero 1 al mondo. Il tedesco è avanti 6-4, 6-5 e servizio. Poi tutto diventa nero. Non che Griekspoor non abbia i propri demoni: sul 5-5 nel tiebreak del secondo set viene graziato da un rovescio di Sascha finito sui teloni. Sul 6-5 e servizio nel terzo set, invece, tocca all’olandese dimenticare i cinque match point sprecati. Un dramma di tre ore e 10 minuti, con un lieto fine, forse non bello, ma efficace. E per chi, a 28 anni, ha la possibilità di raggiungere i quarti di finale di Masters 1000 per la prima volta in carriera, l’importante non è convincere, ma vincere. “Whatever it takes”. Gavetta in campo, gavetta a livello universitario. Tra i nomi che più hanno stupito a Indian Wells, spicca il classe 2001 Colton Smith. Tatuaggi, smanicato che ormai è tornato di moda anche nel post-Rafa Nadal, cresciuto in una fattoria e appassionato di caccia e pesca, il ventiduenne statunitense si divide tra circuito ATP, se capita, con gli acuti di un best ranking da 259 ATP e un titolo Challenger a Cleveland, e le competizioni inter-universitarie alla University of Arizona, successi che gli sono valsi la terza posizione in singolare nella classifica della Intercollegiate Tennis Association, da difendere per poter usufruire di otto wild card per tornei Challenger 50 e 75 da maggio in poi grazie all’accordo tra ITA e ATP nell’ambito del Next Gen Accelerator. Opportunità che non sono frutto di privilegio, ma di lavoro. Raccontando la propria infanzia, Smith emerge come un ragazzo candido e semplice. "Sono cresciuto tra mucche, cavalli, polli, maiali e cani: questo mi ha insegnato molta disciplina. La libertà e il relax che provo a casa non si trovano da nessun’altra parte", ha detto in un’intervista con ATP. Amore per la natura e per gli animali che Smith si è tatuato sulla pelle, precisamente sul braccio sinistro, impreziosito da disegni di un cane, un orso e un alce. A Indian Wells, Smith ha poi perso al secondo turno contro il connazionale Alex Michelsen, classe 2004 che ha pensato per più di un attimo all’idea di vivere in parallelo college e circuito ATP, scegliendo però, ad agosto 2023, di non iscriversi più all’Università della Georgia, lasciandosi attrarre – a ragione – dai privilegi legati al debutto in top 150. Prima di lui, ad agosto 2022, Ben Shelton, che frequentava l’Università della Florida, decise di abbandonare gli studi dopo aver capito di poter competere a livello ATP grazie agli ottavi di finale raggiunti a Cincinnati sconfiggendo Sonego e Ruud. Il tempo gli ha dato ragione: a 22 anni Shelton vanta già due semifinali Slam, agli US Open 2023 e agli Australian Open, sempre sconfitto dai futuri campioni, rispettivamente Djokovic e Sinner, e guarda con fiducia a un possibile debutto in top 10 durante la stagione sulla terra rossa. Ultimo ad aver lasciato il college, infine, NIshesh Basavereddy, classe 2005 che, dopo aver difeso per due anni i colori dell’Università di Stanford, ha deciso di concentrarsi soltanto sul circuito ATP da dicembre 2024. Dal circuito ATP al circuito WTA, sempre opportuno tenere a portata di mano un abaco virtuale che aiuti a non perdersi per strada le protagoniste di domani. L’ultima ad aver stupito è stata Iva Jovic, la cui carta d’identità dice 6 dicembre 2007, ma che, a neanche 18 anni, ha lottato punto a punto con la numero 6 al mondo Jasmine Paolini, arrendendosi soltanto al terzo set dopo più di due ore e mezza di partita. Figlia di madre croata e padre serbo, ma nata e cresciuta in California, Jovic ha iniziato a giocare a tennis a cinque anni ed è stata numero 5 juniores a luglio 2024, vincendo l’Orange Bowl Under 15 a dicembre 2021 e Australian Open e Wimbledon juniores in doppio nel 2024, arrivando anche in finale al Roland Garros juniores nello stesso anno. Neanche il tempo di consolidare il proprio status nel tennis 'da piccoli', che Jovic è sembrata già pronta a competere con 'le grandi', soprattutto grazie al proprio rovescio lungolinea telecomandato. La teenager statunitense ha un bilancio di 3 vittorie e 5 sconfitte negli ITF, vanta già due secondi turni in uno Slam, agli US Open 2024 e agli Australian Open 2025, ma, soprattutto, dopo Indian Wells, debutterà ufficialmente in top 150, ritoccando il proprio best ranking alla posizione 143 WTA e diventando la seconda classe 2007 nel ranking WTA, dietro a una che deve essere il modello da seguire: tale Mirra Andreeva, reduce dal primo titolo WTA 1000 a Dubai. Anche se in realtà, Jovic ha dichiarato di avere un altro esempio tecnico da voler seguire: mamma Belinda Bencic, rientrata in top 50 quattro mesi dopo il rientro alle competizioni dopo la maternità. "Lei colpisce la palla con grande anticipo ed è velocissima con i piedi: taglia il campo, stringe gli angoli e soffoca le avversarie. Vorrei riuscirci anche io", ha raccontato sul sito ufficiale del BNP Paribas Open. Un po’ più grande di lei, ma soltanto anagraficamente, con i suoi 23 anni compiuti a ottobre e i suoi 163 cm di altezza, anche Sonay Kartal ha un idolo svizzero, in realtà molto più titolato, ça va sans dire: Roger Federer. Con gli ottavi di finale raggiunti a Indian Wells, da lucky loser, la britannica, dalle chiari origini turche, si candida a insidiare il posto di numero 2 di Gran Bretagna, attualmente occupato da una altalenante Emma Raducanu. Ovviamente, Gran Bretagna vuol dire Wimbledon: prima di avere i riflettori puntati su di sé a Palm Springs, al netto di 14 titoli ITF, Kartal vantava un terzo turno ai Championships, sconfitta da Coco Gauff. Terzo turno che è stato un’iniezione di fiducia per poi vincere il primo titolo WTA a Monastir a ottobre 2024, da qualificata, seconda britannica di sempre a riuscirci proprio dopo Emma Raducanu – anche se lei vinse uno Slam partendo dalle qualificazioni, ossia gli US Open 2021. La sfida contro Aryna Sabalenka sembra proibitiva, ma, comunque vada la partita, il best ranking è assicurato: dal prossimo lunedì sarà almeno numero 63 WTA. Poi, nel caso di un miracolo contro la numero 1 al mondo, si vedrà.

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Michela Curcio