Adriano Panatta compie 75 anni, Bertolucci: "Un pittore con la racchetta"

Caro Paolo Bertolucci, sappi che Panatta compie 75 anni! “E io lo sopporto da quasi 70, una condanna a vita. Dal 1963, per la cronaca: ci siamo conosciuti in bianco e nero… Scherzi a parte, settantacinque è un bellissimo traguardo, soprattutto perché riesce ancora ad articolare pensieri e discorsi di senso compiuto. Un miracolo della scienza!” Paolone sorride. Il perculaggio reciproco è la costante, il carburante di un’amicizia nata sui campi da tennis quando erano poco più che ragazzini e arrivata brillantissima fino a oggi. Tu che lo conosci bene, descrivi il vero Adriano Panatta in questa giornata di gaudio ‘festa nazionale’ del tennis. “Dici che gli faranno anche una statua…? Speriamo di no. Lui è sempre lo stesso: un brontolone, da oggi ufficialmente un vecchio brontolone. Una pentola di fagioli perennemente in ebollizione. E adesso ha pure la scusante dell’età. Settantacinque sono tanti, diventa davvero d’antiquariato! Va detto che rompipalle lo era anche da ragazzino: per sua ammissione spesso non si sopporta neppure lui” Ma tu lo sopporti perché lo conosci come nessun altro. “Fortuna vuole che io abbia il fisico del santo. Mi stanno venendo le stimmate a forza di frequentarlo. Il segreto dei matrimoni che durano? Qualcuno deve saper abbozzare: quel qualcuno sono io. E comunque, al suo fianco sono durato più di tutte le sue mogli. Fatti, non opinioni” Possiamo definirlo un temperamento tormentato, da artista geniale e imprevedibile? “In campo, quando aveva la luna giusta, era un pittore con la racchetta. Fuori, un po’ meno. Ma aveva un pregio: se esagerava, due settimane di lavoro e tornava un giocatore d’élite. Il fisico non l’ha mai aiutato troppo, mentre la testa andava a fasi alterne” Però ha sempre avuto un gran braccio. “A livello di tocco e sensibilità siamo in compagnia di McEnroe e Nastase. Ricordo quel 6-0, 6-0 rifilato a Lendl in Coppa Davis: quando aveva voglia, era semplicemente irresistibile” Domanda non originalissima: come vi siete conosciuti e quando avete iniziato a giocare il doppio insieme? “L’amicizia nasce ‘per disgrazia’: Cesenatico, torneo under 13 dell’estate ’62. Lui 12, io 11. All’inizio non mi stava simpatico, ‘quel romano dei Parioli’. Dopo pochi giorni eravamo inseparabili. Chi l’avrebbe detto che più di mezzo secolo dopo saremmo stati ancora qui?” E il doppio? Chi ha combinato questa coppia mitologica? “Colpo di genio di Mario Belardinelli in un’Italia-Polonia Under 23 a Gaeta. Mi dice: «Paolo, giochi il doppio con Adriano». Io non avevo nemmeno la maglietta di ricambio: entro con quella sudata dal singolare. L’unica istruzione fu: «Tu a destra, tu a sinistra». Abbiamo vinto, e da allora siamo… accoppiati, passami il termine” Diciamo ‘assortiti bene’: lui servizio-volée, tu implacabile da fondo. “I numeri parlano. In Davis eravamo una garanzia: ci tenevano tutti. Per dire, abbiamo steso tutte le grandi coppie australiane, al tempo le migliori del mondo. Nei tornei ricordo con gusto la finale vinta a Monte-Carlo contro McEnroe e Gerulaitis. Però mi tappavo le orecchie: Adriano sembrava una radio sempre accesa!” Una coppia così funzionerebbe oggi? “Difficile dirlo. Oggi bisogna servire come treni: il doppio è quasi più violento del singolare. Non c’è tempo per pensare, andare di intelligenza o usare il lob, le nostre armi vincenti. Un altro sport” Ti viene in mente oggi un ‘nuovo Panatta’? “Ammesso esista ancora quell’estro, e ho forti dubbi, Fabio Fognini. Non come stile, ma come braccio e carattere sopraffini. Fabio avrebbe vinto di più con un filo di continuità, un po’ come Adriano” Il vostro anno migliore? “1976, senza discussioni: Roma, Parigi e poi la Coppa Davis a Santiago. Per noi contava più di Wimbledon. Peccato aver giocato tutte e quattro le finali fuori casa, un’altra Coppa in Italia l’avremmo alzata di sicuro” Un aspetto di Adriano poco noto al grande pubblico? “Quel che si può raccontare è già stato raccontato; il resto è top-secret. Gli anni ’70 erano puro rock ’n’ roll. Su Sky li riviviamo in ‘Tennis Heroes’: un tennis lontanissimo da quello moderno” Il fascino eterno del vintage. “Oggi i giocatori viaggiano con orde di preparatori, medici, psicologi, cuochi. Noi giravamo da soli e decidevamo da soli: se volevo allenarmi alle 7 o dormire tutto il giorno, lo decidevo io. Più rude, ma più divertente, per noi di sicuro” Quando toccherà a te spegnere 75 candeline, cosa dirà Panatta? “Solo cose belle: in fondo è un bonaccione. È anche generoso, ma non scriverlo o dirà che mi sono ammorbidito” C’è qualcosa che gli hai sempre ‘invidiato’? Invidia affettuosa, ovvio. “Il ciuffo, manco a dirlo. Quel caschetto panattato ribelle che ha fatto impazzire generazioni di tifose e ancora oggi è lì, intatto. Lui se lo scansa imperterrito, come faceva prima di servire mezzo secolo fa. Cosa avrà di tanto speciale quel ciuffo, non l’ho mai capito. Ma un po’ glielo invidio sul serio”.

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Stefano Meloccaro