Parigi saluta Mahut, mentre in tribuna si inizia a parlare italiano

Nanterre è quieta e il vento è frizzante: rumori di un ottobre che sta finendo mentre per le strade di Parigi si percepisce la tristezza di un’estate finita da un po’ o forse persino mai cominciata. Chi fa jogging ha bisogno di usare leggings di lana, mentre gli anziani non temono il freddo e leggono il giornale al parco di venerdì mattina. Durante la settimana l’Esplanade Charles de Gaulle indossa l’abito buono di chi è sede di finanza, ma nel weekend ospita un mercato dove si mischiano culture e oggetti, dove le arance sono fresche e il “pan au chocolat” appena sfornato, dove le scaloppe di maiale vengono vendute già impanate e intrise di salsa e dove il pesce ha un inconfondibile odore di mare e di fresco. Tra una borsa di pelle finta e un maglione di lana a quadri, i turisti non hanno bisogno di guardarsi intorno con circospezione. Qui Parigi si rimpicciolisce, diventando microcosmo di provincia dai prezzi competitivi e dalla spasmodica ricerca di privacy, tanto che il tentativo di immortalare il momento che già sta passando con una fotografia viene respinto con un seccato: “Madame, non”. La Defense Arena sembra distante quartieri, più che anni luce. Poi, però, un venditore di mantelle urla “Jannik, Jannik” per attirare una coppia di turisti italiani verso il proprio bancone. Questa è la storia di come il tennis è diventato stereotipo tricolore qui a Parigi. A Shelton non importa di aver scelto un orario di warm-up abbastanza distante dalla partita, perché per lui è più importante testare il Centrale per la prima volta in questa settimana. Ben, in canottiera grigia extra-large, ha il volto abbastanza corrucciato. La risposta bloccata di dritto è più o meno soddisfacente, mentre quella di rovescio è completamente difettosa, il che provoca in lui sia fastidio che nervosismo. Gli esercizi al servizio con i coni, poi, sono una prassi che Shelton preferirebbe evitare in questo momento di stagione e in questo stato di forma. Lo statunitense scioglie lungamente la spalla sinistra, prova a portare a termine il riscaldamento più per dovere che per piacere e scappa via dal campo senza mai sorridere, riconoscendo soltanto di sfuggita la presenza di tanti, troppi tifosi a bordocampo. Dall’impianto audio parte musica di livello: Sympathy for the Devil . Vacherot non è francese, ma quasi: in tribuna a rubare la scena è una piccola tifosa di sei o sette anni che al collo ha la sciarpa dell’AS Monaco abbinata a un cerchietto rosso e bianco con un fiocco che ha gli stessi colori, per tenere fermi in fronte i capelli ricci. Auger-Aliassime entra in campo camminando così velocemente da mettere in difficoltà il cameraman di ATP, costretto ad andare indietro per non intralciarlo. Il pubblico sceglie Believer come canzone per il riscaldamento, ma Vacherot inizia la propria partita con un errore non forzato di dritto che sembra già premonitore. Auger-Aliassime difende come fosse tornato indietro nel tempo fino al 2022 e sul 4-1 nel primo set a essere notata dalla regia internazionale è una bambina vestita da scheletro e con una gonna di tulle rosa, travestita per Halloween. Vacherot fatica a inginocchiarsi sul rovescio, il che è sintomo di stanchezza, più che di tensione e sul 2-1 nel secondo set prova a chiamare il pubblico non tanto per mettere dubbi in testa ad Auger-Aliassime, ma per sfogare la rabbia contro sé stesso e le proprie gambe che proprio non girano, nonostante l’adrenalina e i tentativi di rianimarle con racchettate inferocite. Le palle break salvate dal canadese sul 5-2, 15-40 sono l’ultimo treno, perso da Vacherot, per scrollarsi di dosso la sensazione di aver deluso prima sé stesso, poi il pubblico. Il monegasco scuote la testa, ma mantiene una correttezza principesca, andando a rete omaggiando Auger-Aliassime e scusandosi per la minima resistenza offerta. Sascha Bublik è un personaggio da cartone animato che infatti piace tanto ai bambini in prima fila, che saltellano per lui mentre entra in campo. Il match di quarti di finale contro De Minaur è al tempo stesso una guerra tra mondi e la peggior partita possibile per lui, che sa che se avrà un momento di disconnessione generale, avrà di fronte un demone pronto ad approfittarne. Musica a parte, con The Sound of Freedom e Alors on Dance protagoniste, fino al tiebreak la qualità è alta ma le sorprese zero, un po’ perché De Minaur è una sfinge dalla concentrazione oppressiva che non è sazia dopo la qualificazione alle ATP Finals, un po’ perché Bublik non ha una trama che vada oltre la sequenza composta da un ace, un dritto buono per un campo da baseball e un vincente in avanzamento. Il tiebreak riassume tutto il meglio e il peggio di questo canovaccio, tra mini-break e contro mini-break. Poi, però, sul 5-5, Bublik si comporta da Bublik e De Minaur si comporta da De Minaur. Il kazako prima spedisce a Bercy la risposta di dritto su una seconda di servizio attaccabile, poi forza di nuovo con il dritto nello scambio e perde il set. L’australiano sembra immune ai plot-twist, ma sull’1-0, 30-30 sbaglia una volée dorsale che in televisione sembra banale ma che dal vivo è difficile per coordinazione con la luce artificiale negli occhi e invece di mantenere la calma, si abbandona a un gesto di stizza verso la propria racchetta, per poi accennare parole di lamentela verso il proprio angolo. Basta un attimo e De Minaur subisce il primo break nella partita grazie a una risposta di dritto vincente telecomandata di Bublik, arrivata tra l’altro dopo una volée da meta campo impossibile, troppo bella per non essere applaudita anche dall’australiano. Beat it accompagna tutti al terzo set mentre su Parigi già scende il tramonto e in tribuna si inizia a sentire odore di prosecco. Visivamente Bublik suda di più e respira più a fatica tra un punto e un altro, soprattutto se lo scambio è lungo. De Minaur, però, maschera sempre peggio il nervosismo, stato d’animo che si riflette non tanto con la voce ma con i doppi falli, nove a fine partita, di cui uno, decisivo, sulla palla break sul 5-5 nel terzo set, un game che nel frattempo aveva portato più di un tifoso a esclamare più e più volte “quelle match”. Sarà difficile superare questa partita tra le più belle e avvincenti nel torneo, ma i protagonisti in sessione serale ci stanno già lavorando. Aspettando di sapere se Sinner e Zverev si affronteranno di nuovo in semifinale, sette giorni dopo Vienna, dal campo 1 arriva comunque tifo dedicato a chi è ancora nel torneo in doppio. I francesi si aggrappano ad Halys e ad Herbert, a cui hanno già perdonato di non aver accompagnato Nicholas Mahut dallo stesso lato di campo per l’ultimo ballo in carriera: 44 anni, ex numero 1 al mondo, cinque Slam in doppio, la partita più lunga di sempre in singolare, anche se persa, contro Isner, al primo turno di Wimbledon 2010, il campo 18 dell’All England Club che sarà per sempre legato a lui. Istantanee celebrate dall’Equipe con una copertina a tutta pagina da incorniciare per Nathaniel, quel bimbo che aveva consolato il papà dopo la sconfitta al terzo turno al Roland Garros nel 2019 contro Leonardo Mayer e che, adesso, sta iniziando a diventare un uomo. Dalle istantanee, alle “maillots”: altrettanto significativo il tributo di Lacoste, che, all’alba di sabato 25 ottobre, poco prima che iniziassero le qualificazioni, ha riempito il campo Centrale con tutte e 60 le magliette indossate da Mahut in carriera. Sette giorni dopo, ma non all’alba, il doppio sarà protagonista sul campo più importante di tutti per semifinali e finali. E così, mentre una leggenda saluta il tennis, la specialità da lui rappresentata saluta per questa edizione il campo 1 e viene ufficialmente promossa ad attrazione principale sul Centrale. Ben Shelton entra in campo incappucciato come un personaggio di Assassin’s Creed, ma la superstar di serata è Jannik Sinner, la cui camminata sicura è minuziosamente registrata sugli smartphone di quasi 16.000 persone che si danno battaglia per chi ha la visuale migliore. In tribuna adesso si parla davvero italiano, tanto che al primo schiaffo al volo vincente di dritto parte un coro di “bravo”, mentre il tricolore sventola fiero. Sul 2-1 nel primo set, a debuttare nella compilation musicale proposta dalla Defense Arena è Katy Perry, con Hot n’cold: occasione perfetta per alzare in alto i braccialetti rosso fosforescente di chi ha il biglietto per la sessione serale. Shelton ha necessità tecnica e tattica di tenere profonda la seconda di servizio, ma non sempre il rischio paga perché, doppi falli esclusi, Sinner trova sempre e comunque il varco per infilarlo con il passante – che sia di dritto o di rovescio. Se poi, tutte le volte che Ben è costretto a giocare il dritto in corsa, le gambe arrivano con eccessiva pesantezza per gestire l’agilità imposta da Jannik, la partita è presto scritta. Più o meno alla riga numero infinito presa da Sinner in modo violentissimo, il pubblico smette di provare ammirazione e inizia quasi a provare fastidio, espresso in modo bonario con le braccia allargate. Troppo forte. Le partite tra Zverev e Medvedev sono la quintessenza di quanto il tennis sappia essere fisicamente e psicologicamente logorante, ma di un logorante gustoso, a cui non si vuole mai rinunciare. I due si conoscono talmente bene che non riescono a sorprendersi persino nelle novità tattiche. Zverev prova a rubare il serve and volley al fratello, ma le volée sono giocate di costrizione, non di costruzione tattica. Medvedev cambia ritmo soltanto con la smorzata e soltanto se strettamente necessario, come sul 3-2, 30-30 nel primo set. Sascha è furioso con il proprio box già nel quinto game: il servizio è tirato a lucido, ma, inspiegabilmente, il lungolinea di rovescio non è mai sfruttato. Chissà, forse la scelta più ovvia tatticamente sarebbe anche la più giusta. Dopo 27 minuti, il pubblico grida a Zverev un “wake up” quantomeno ingeneroso. Un game dopo il tedesco slitta e cade su un recupero di dritto in difesa e si tocca dolorante il quadricipite sinistro: Parigi sta in silenzio da stress post-traumatico e trattiene il fiato, riascoltando in testa le urla strazianti al Roland Garros 2022. Nulla di preoccupante, invece e per fortuna. Anzi, Sascha, sotto di un set e di un break, smette di ascoltare i consigli altrui e inizia a fidarsi di dove l’istinto gli dice di mettere la prima di servizio. Il terzo set vibra di intensità, in campo e nel pubblico. A innervosirsi è anche Medvedev, che esaspera il proprio box al punto da costringere la moglie a uscire sul break per il 2-1 a favore di Zverev, un attimo prima di ottenere il controbreak, propiziato da un fallito “serve and tweener” di Sascha. Sul 5-4 Medvedev ha due match point per diventare ufficialmente credibile per la qualificazione last minute alle ATP Finals. Sul primo, è effettivamente coraggioso Zverev con la prima di servizio, ma sul secondo il tedesco deve servire la seconda – e non è un gioco di parole. La pallina esce dal piatto corde con un suono tetro, quasi disperato, alla velocità di 131 km/h – una velocità da seconda di servizio, tra l’altro molto lenta, ma nel circuito WTA. Poi, però, al termine di un dialogo interiore tanto durato una frazione di secondo, quanto comunque incomprensibile ai più, Sascha supera la malavoglia di andare a rete, attacca in modo sicuro con il rovescio e chiude uno smash che le luci artificiali avrebbero potuto complicare. Sulla successiva parità, sempre con il rovescio, Zverev prende il nastro e la pallina viene deviata generando una volée incredibile, sulla quale Medvedev non arriva. Roba adatta a “Match Point” di Woody Allen. Il tiebreak finale è un tripudio di mani sui capelli e di esultanze, ormai sentite, di una o l’altra tifoseria, con una risposta vincente di dritto di Zverev – è tutto vero – vanificata da uno smash da non rivedere. Alla fine, a essere premiati sono il cuore e i polmoni di Sascha che interrompe una striscia di cinque sconfitte di fila contro Medvedev e si getta a terra come se avesse vinto uno Slam. Daniil, invece, perde soltanto la terza partita in carriera dopo aver avuto match point. “Sono stato coraggioso”, dice Zverev con l’adrenalina ancora in corpo, probabilmente sapendo di mentire. Contro Sinner non potrà bluffare. DIARIO DA PARIGI GIORNO 4 DIARIO DA PARIGI GIORNO 3 DIARIO DA PARIGI GIORNO 2 DIARIO DA PARIGI GIORNO 1

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Michela Curcio