Il suo nome è Borg, Leo Borg

Gli occhi di ghiaccio e i capelli biondi sono quelli del padre. Borg junior, che gioca a tennis e di nome fa Leo, tra la fascetta di spugna e cappellino con la visiera non ha dubbi: preferisce il secondo. Ma il gioco delle somiglianze con il padre, il tennista che chiunque conosce, è meglio interromperlo sul nascere, al netto di una meccanica del rovescio – inevitabilmente bimane – che in minima parte potrebbe ricondurlo alle origini. Per rispetto della leggenda Borg, evidentemente Bjorn, ma anche per rispetto di un giovanotto, intendendo il protagonista di questa storia, coraggioso al punto di cimentarsi nello sport che ha reso il padre una delle più grandi celebrità di sempre. E nonostante sua mamma, la signora Patricia, terza e attuale moglie dell’ex numero uno, abbia provato a spingerlo verso una disciplina senza racchette e palle gialle. Uno sport di squadra da scegliere tra calcio e baseball, per esempio. E invece no: Leo fin da piccolo voleva giocare a tennis, anche su assist di sua nonna e tennis è stato. Rispettando la figura di papà Bjorn, senza soffrire l’ingombro di un passato che appartiene agli almanacchi del tennis. Motivato nel costruirsi un percorso profondamente individuale, da far correre in parallelo con quello del papà. Una cosa è certa: gli anni passano ma il cognome Borg funziona sempre alla grande. Come una sorta di moltiplicatore di like, a voler utilizzare il linguaggio social caro al ventiduenne Leo. Ecco perché quest’anno gli organizzatori del torneo di Stoccolma, il riferimento è al Nordic Open disputato a fine ottobre, hanno pensato bene di invitarlo a partecipare offrendogli una wild card per il tabellone principale. Tutti contenti: loro per il surplus di attenzione generato, gli svedesi per l’opportunità di tifare dal vivo un ragazzo al quale guardare con un misto di affetto e curiosità, lui stesso per l’occasione di misurarsi con alcuni dei giocatori più forti del circuito. Tutto ciò all’interno di una piccola arena splendidamente ferma nel tempo, i seggiolini in legno sono solamente uno dei dettagli, che si chiama Kungliga Tennisallen, distante poche fermate di metropolitana da Gamla Stan, il centro storico elegantissimo e freddissimo della capitale. Una location che sa di tennis e che porta con orgoglio i segni della storia: costruita nel 1943, oltre a essere la storica casa del torneo di Stoccolma, è stata teatro di serate che da quelle parti ancora ricordano tra Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin e David Bowie. A proposito di corde di qualità, in questo caso vocali, che nel tempo hanno animato un salotto da cinquemila posti, tutto sommato intimo, fatto a posta per il tennis. Qui nel 1975 la Svezia ha vinto la prima Coppa Davis della sua storia, con Borg protagonista in finale contro la Cecoslovacchia, qui lo stesso Bjorn ha alzato il trofeo nel 1980 al termine di un confronto da circoletto rosso contro McEnroe, il migliore tra i suoi nemici. Pagine di storia, anche famigliare, che il piccolo Borg ha ripassato e mandato a memoria a forza di circolare nei viali e tra i corridoi del club tra fotografie del giovane Bjorn all’opera, targhe dedicate, merchandising vintage e manifesti in chiave pop legati alle sue imprese. Più che un campo da tennis, una dependance di casa. Il luogo più familiare del mondo dove impugnare una racchetta e andare a prendersi una fetta di successo. Un vecchio amico di Bjorn, Andy Warhol, frequentato ai tempi dello Studio 54 di New York, sosteneva che un quarto d’ora di celebrità prima o poi spettasse a chiunque. Quello di Leo Borg, numero 622 del ranking ATP, è arrivato a Stoccolma contro Sebastian Ofner, giocatore austriaco, ed è durato anche di più. Due set vinti - 6-3, 6-4 il finale - che hanno permesso al ragazzo dal cognome d’oro di centrare la seconda vittoria della carriera a livello ATP, prima di prendersi il lusso di togliere un set a Shapovalov nel turno successivo. Insomma: figlio d’arte sì, raccomandato no! E molto determinato nel voler dimostrare prima a sé stesso e poi al mondo del tennis di meritare a pieno l’opportunità avuta. Sotto gli occhi di mamma, passata a vedere le sue partite, ma senza la presenza del papà, che avrebbe 'rubato' troppe attenzioni al figlio. Uno schema deciso a tavolino, utile ad alleggerire il ragazzo. Tanto è vero che Bjorn, al netto di qualche prezioso consiglio, non si è mai espresso nei panni di coach per suo figlio, rimanendo sempre a distanza di sicurezza. Pare addirittura che il ragazzo non abbia mai sentito l’esigenza di guardare le immagini dei successi del padre, per non intaccare ulteriormente una struttura emotiva potenzialmente ad alto tasso di stress. L’età è la stessa di Alcaraz e il sogno iniziale quello di diventare il giocatore più forte del mondo. La realtà, al netto dell’esperienza di Stoccolma che gli ha fatto guadagnare un centinaio posizioni in classifica, è fatta di molta strada da continuare a percorrere tra tornei ITF e qualche sporadica apparizione nel circuito Challenger. Per avvicinare di nuovo il best ranking toccato nel settembre del 2023, per riprovare le stesse emozioni vissute in Coppa Davis a Bologna lo scorso anno, per trovare una continuità – al netto di qualche guaio fisico – che non è mai stata esattamente una delle sue skill principali. In attesa, chissà, di dedicarsi ancora all’altra grande passione: il cinema. Dove ha già esordito sul grande schermo interpretando una parte non esattamente qualsiasi: quella di suo padre in età quasi adolescenziale nel film 'Borg McEnroe' uscito nel 2017. Cinque provini superati per ottenere il ruolo, come vincere una partita al quinto set, a dimostrazione di una grinta che il ragazzo porta nel sangue. E un racconto che aggiunge un pizzico di leggenda alla vicenda: sì, perché pare che Leo all’epoca del casting avesse risposto a un annuncio sui social senza sapere quale film si trattasse e quindi quale personaggio avrebbe dovuto impersonare. Perché alla fine la vita è più assurda di un film. Un esperto di psicologia, insomma, non farebbe certo fatica a trovare materiale su cui lavorare. Vivere nel mito del padre senza volerne rivedere le gesta, scegliere la stessa vita ma tracciare una distanza dalle origini, trovarsi inconsapevolmente sul set nei panni di un giovane fenomeno senza esserlo, giocare il rovescio a due mani come l’uomo che più di tutti ha reso celebre quel colpo. E come non bastasse, Leo per completare il quadro ha scelto come idolo Rafa Nadal, il tennista che ha stracciato i record di papà Bjorn. Fare leva sul super campione spagnolo, evidentemente, gli è servito per liberarsi inconsciamente delle ipotetiche attese che papà Bjorn avrebbe potuto avere in fatto di tennis. O forse, più semplicemente, per un ragazzo del 2003 innamorarsi tennisticamente di Rafa è stato più immediato. Sempre e inevitabilmente, nel nome – anzi nel cognome – di suo padre.

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Matteo Renzoni