Tatsunori Otsuka, chi è la nuova stella giapponese della PowerVolley Milano

È impossibile non notarlo. Chi quest’anno ha potuto seguire almeno una volta la PowerVolley Milano avrà notato qualcosa di nuovo tra i giocatori di coach Piazza. Una faccia che ispira a pelle una simpatia travolgente: sorrisi per tutti, pacche sulle spalle ai compagni e movenze buffe. Questo e tanto altro è Tatsunori Otsuka. Partito Yuki Ishikawa, andato a Perugia e diventato una delle stelle del volley mondiale grazie anche al club milanese, il presidente Fusaro ha puntato di nuovo su un altro giapponese. Anche lui schiacciatore che fino alla passata stagione in patria indossava i colori del Panasonic Panthers di Hirakata. Da cinque anni è nel giro della sorprendente nazionale allenata dal francese Philippe Blaine che ha il merito di aver riportato il Giappone ai fasti di un tempo. Come confermato dallo stesso coach Piazza, Tatsunori è curioso e coinvolgente. È arrivato in Italia parlando un discreto inglese e ha subito iniziato ad imparare anche l’italiano per comunicare meglio con compagni e media. Del resto, potremmo definirlo come il classico giapponese: dedizione e altissima cultura del lavoro. È sempre tra i primi ad arrivare e tra gli ultimi a lasciare la palestra. Molto legato alla tradizione e al cibo del suo Giappone, al punto che prima di una partita o di un allenamento è facile vederlo estrarre dalla borsa una scodellina di riso che si divora impugnando rigorosamente le bacchette, le cosiddette ‘Hashi’. Otsuka fa parte di una colonia di giocatori giapponesi che negli ultimi anni è aumentata in maniera esponenziale. In controtendenza a ciò che accadeva in passato, quando era quasi impossibile vedere atleti del Sol Levante giocare nel nostro campionato. Basti pensare che il primo giapponese della storia a giocare nella massima serie italiana fu il palleggiatore Masayoshi Manabe, che nel 1999 si trasferì per giocare a Palermo. Secondo in assoluto dopo Katsuhiko Shimizu che però giocò solo in Serie A2 a Salerno nel 1998. Ci fu anche la meteora Yochi Kato a Treviso nel 2002 che non ebbe in verità molta fortuna. Adesso c’è un’altra storia da raccontare. Vedere un giapponese in Italia non è più così un evento raro. Non solo, un giapponese che ti fa vincere le partite. L’apripista è stato Yuki Ishikawa, che nel 2014 decise di andare a Modena quando aveva soltanto 18 anni: è stato il primo grande fenomeno mediatico del Sol Levante nella pallavolo italiana. L’anno scorso Ishikawa è stato raggiunto dalla sorella minore Mayu , schiacciatrice anche lei, che dopo l’esperienza al Bisonte Firenze ora è a Novara. Oltre a lei è arrivata quest’anno a Conegliano la palleggiatrice della nazionale Nanami Seki, per molti considerata l’erede di Asia Wolosz per la regia della squadra femminile più vincente al mondo. Nel maschile è il caso di Otsuka, che ha scelto Milano, o dell’amico Tarumi finito a Cisterna . Fenomeni sul campo e anche nel web, alcuni di loro sono ormai autentiche star con milioni di followers: Ran Takahashi 2,7 mln, Yūji Nishida 1,8 mln, Ishikawa 1,9 mln… Il Giappone ama la pallavolo in modo profondo e radicato ed è uno dei paesi che ha contribuito al suo successo. Anche attraverso i suoi famosissimi manga. Chi negli anni ‘80/’90 era bambino se la ricorderà bene: tutti incollati alla tv a guardare ‘Mila e Shiro, due cuori nella pallavolo’. In molti si sono innamorati così di questo sport, anche campionesse come Maurizia Cacciatori, Francesca Piccinini e Leo Lo Bianco si sono ispirate alle imprese di Mila Hazuki: si guardava, si sognava, si scendeva in cortile e si giocava per emulazione, provando a inventare un modo di schiacciare al di là di una rete immaginaria. Una storia 'demoniaca' Era popolarissimo, ispirato alle gesta delle ‘Streghe d’Oriente’ , la Nazionale di pallavolo giapponese che nel 1964 ai Giochi di Tokyo, quando si celebrava il debutto di questo sport nel programma olimpico, seppe stupire il mondo battendo in finale l’inarrivabile Unione Sovietica. Secondo Video Research, il 94,5% di tutte le famiglie proprietarie di TV nel paese aveva guardato il punto della finale. Un gruppo formato da ragazze lavoratrici della Nichibo Kaizuka, un’industria tessile nei sobborghi di Osaka, allenate da Hirofumi Daimatsu, ex capo plotone dell'esercito imperiale con un passato da pallavolista, soprannominato ‘Oni’ . Lavoravano fino alle 5 di pomeriggio, poi entravano in una delle palestre interne alla fabbrica e ci restavano fino a mezzanotte. Tutti i giorni 6-7 ore di allenamento, senza soste, ripetendo esercizi massacranti all’infinito. Un prototipo di esercizio era il ‘kaiten reeshiibu’ , una manovra acrobatica di caduta e rotazione, simile al judo; un antesignano dell’attuale rullata, utile per difendere la schiacciata ed essere subito pronte a ripartire. Le ragazze dovevano tuffarsi a terra ancora e ancora per recuperare la palla, sbattendo ripetutamente le spalle, finché non potevano più alzarsi ed erano vicine alle lacrime. Un cronista dell’epoca racconta che durante una di quelle sessioni di training una giocatrice rimase a terra dolorante . L'ennesimo tuffo sulla spalla che fa malissimo. Daimatsu le si avvicinò e le disse, con dolcezza: “Tornatene a casa da tua madre, qui non ti vogliamo”. Un'altra, poco dopo, urtò violentemente la caviglia contro una panchina in ferro, e restò spalmata sul parquet, in lacrime. Daimatsu le consigliò di passare “a una squadra di coreani che gioca in città, perché magari da loro non è così dura”. Divenne una squadra leggendaria che inanellò dal 1959 al 1966 una serie di 258 vittorie consecutive. Con la crescita tecnica dei suoi atleti le nazionali maschile e femminile del Giappone sono ormai considerate tra le migliori al mondo. Di recente gli incroci con la nazionale di Fefè De Giorgi sono sempre stati uno spettacolo. L’ultimo in particolare, nel quarto di finale dei Giochi di Parigi, quando gli azzurri sotto 2 set a zero e arrivati quattro volte a un punto dalla disfatta, aggrappandosi al sogno di una medaglia olimpica, hanno finito col vincere 3-2. Adesso in Italia c’è Otsuka, l’altro giapponese. Il nuovo giapponese. Gli allenamenti sono duri, certo, ma non come quelli degli anni Sessanta, anche se per arrivare in vetta bisogna lavorare seriamente. E lui, la vetta, la vuole raggiungere eccome. A furia di schiacciate, ma senza mai perdere il suo sorriso coinvolgente. Con tutta la voglia di sorprendere ancora i suoi tifosi.

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