Alessandro Bovo, una vita per la pallanuoto

Sta lì dal 2008: da 17 anni sulla stessa panchina. Un record lo è di sicuro, almeno tra gli allenatori dell’attuale Champions League: nessuno come lui. Nessuno come Alessandro Bovo ha la stessa fedeltà, la stessa 'anzianità di servizio' con il proprio club, nessuno come lui nella pallanuoto di oggi ha saputo attraversare tre decadi, due secoli e sopravvivere a mille rivoluzioni. Bovo e l’AN Brescia sono già storia. E lo sono anche di più in un periodo in cui, in Italia ed anche in Europa, una squadra - la Pro Recco - ha saputo diventare dominante e costringere le altre al ruolo di comparse o, come nel caso del Brescia, a quello di eterna seconda. “Sì, sono ormai tanti anni. Il segreto è avere sempre lo stesso amore per quello che si fa, giorno per giorno, e a Brescia ho trovato la mia dimensione ideale. Anche se spesso bisogna accontentarsi di non vincere”. Che il destino professionale di Bovo sarebbe stato segnato dalla continua e spesso dolorosa concorrenza con l’attuale squadra campione d’Italia, in fondo, lo si poteva immaginare già dai suoi primi passi da allenatore. Primavera del 2008, lui viene chiamato dal Brescia a una giornata dalla fine della stagione regolare, al posto di Riccardo Tempestini: con quella squadra va a giocarsi i play off, arriva fino alle finali per lo scudetto e le perde contro uno dei Recco più forti della storia, quello di Madaras, Benedek, Vujasinovic, Kasas, Udovicic, oltre a Tempesti e Felugo. Prima c’era stato il Bovo giocatore. Figlio e fratello d’arte: papà Luigi giocava, a Sestri, la pallanuoto in mare, quella degli anni ’50; il fratello Ettore era arrivato fino in B prima di diventare comandante di navi da crociera e cominciare a girare per il mondo. Il migliore era diventato lui: cinque scudetti, quattro coppe Italia, due coppe Len nei suoi anni tra Savona, Pescara, Volturno e Leonessa Brescia. Ma, soprattutto, l’alloro di “leggendario” nel Settebello che vinse tutto negli anni ’90. “La vittoria più bella rimane, naturalmente, quella dell’oro olimpico del 1992 a Barcellona. Un’emozione unica”. Al Bovo campione in acqua era sembrato naturale sistemarsi a bordo vasca. Prima con le giovanili del Savona e assistente in prima squadra di Claudio Mistrangelo e poi, appunto, a Brescia. Diciassette anni sono centinaia di partite e migliaia di allenamenti, sempre sotto la stessa bandiera. Resilienza e fedeltà, con il rischio di abbandonarsi alla routine: “A me piace il lavoro di tutti i giorni, piace andare in piscina e contribuire alla crescita del nostro progetto, allo sviluppo anche individuale dei nostri giocatori. E poi è importante avere un buon rapporto con i propri dirigenti e a Brescia io ce l’ho”. A Brescia non hanno le stesse potenzialità economiche del Recco e dei top club europei, ogni anno sono costretti a rifare la squadra, a smontarla e rimontarla, a non avere la possibilità di costruire dei cicli, eppure questo non è mai diventato un motivo per scoraggiarli. I quattro titoli conquistati durante la gestione-Bovo e nel bel mezzo della dinastia Recco sono stati accolti come trionfi e non come briciole cadute dalla tavola dei più forti: “Perché, con i nostri mezzi, tentiamo ogni anno di essere competitivi e spesso ci riusciamo”. Come in questa stagione: il Brescia è primo in campionato, a pari punti con la Pro Recco e, grazie alla vittoria di martedì sera contro il Primorac, ha di fatto conquistato l’accesso ai quarti di finale della Champions League. Un posto tra le prime otto d’Europa non è per niente male: “Ed è un percorso che stiamo facendo con otto ragazzi, sui quattordici della rosa, cresciuti nel Brescia. Ecco, vedere questi ragazzi partire dalle nostre giovanili e arrivare a giocare le partite più importanti è un grande motivo di soddisfazione”. Quattro figlie femmine: due hanno giocato a pallanuoto e una terza, la più piccola, Malika, lo fa attualmente a Padova , una grande passione per i libri di storia , il tifo per la Sampdoria e per il Manchester City dove lavora l’amico ed ex compagno Manuel Estiarte . Alessandro Bovo se ne sta lì, accucciato a bordo piscina, a ripassare schemi e strategie con il suo Brescia. Già, suo. Per un altro anno ancora. Da 17 anni una lunga storia d’amore.

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Daniele Barone