Dallavalle: "L'argento è il mio colore. A Tokyo ho vissuto un sogno, ma ora non mi fermo"

Benvenuto ad Andrea Dallavalle. Noi abbiamo il piacere di conoscere un po’ più da vicino le vostre medaglie al Mondiale di Tokyo. Le nostre 7 meraviglie. Ti fa effetto pensare di appartenere a quel record? “Fa effetto, sì! Sono passate delle settimane, ma non ho ancora realizzato cosa sia successo. Vedermi in mezzo a tutti gli altri, fa molta impressione” Cosa hai pensato quando sei salito sul podio? “È tutto vero? Fino a un giorno prima sembrava più un sogno che una realtà. Avevo già condiviso un podio con Pichardo a livello europeo, ma a livello mondiale è qualcosa di diverso. È veramente difficile da spiegare. Nella mia testa sono passati tutti i sacrifici, le delusioni degli anni. Mi sono detto: Cavolo, è fatta!” Dove hai messo la medaglia? “È qui con me! Di base è insieme alle altre. Ogni tanto però me la guardo. Mi fa capire come sia tutto vero” Noi lo sapevamo che la tenevi in tasca. Prima di questa intervista ci dicevi, fuori dai microfoni: “Sono un ragazzo modesto”. È questa la tua caratteristica? “Sì, penso mi descriva abbastanza bene come aggettivo. Non sono troppo esuberante, se non in gara. Mi ritengo umile” Hai detto che l’argento ti porta bene. Ti ha accompagnato nel corso della tua carriera, sin da quando eri piccolo. “Da quando ho cominciato a partecipare alle gare da ragazzino ho vinto l’argento a livello europeo. L’oro e il bronzo sono arrivati solo agli Europei Under 23. È un colore, l’argento, che mi accompagna sempre. E devo dire una cosa: a me piace. Bisogna anzi dargli valore! Negli sport di squadra spesso si vedono i secondi leccarsi le ferite, asciugarsi le lacrime. Per me è stata un’apoteosi: non potevo uscire triste da quello stadio. È stata un’emozione incredibile” Come sei tornato alla vita di tutti i giorni? “Sabato abbiamo organizzato una grigliata con i miei amici, per festeggiare il mio ritorno e l’inizio della stagione per l’anno prossimo. Mi hanno fatto una sorpresa, una maglietta per festeggiarmi. Mi sono detto che l’ho fatta grossa: mi sono quasi commosso, si sono mobilitati in tanti per farmi questo regalo. Non mi commuovo spesso” Il salto triplo è la disciplina forse più traumatica che si possa affrontare, proprio a livello di infortuni. Lo chiediamo spesso: come si gestiscono? Quasi lo metti in conto di poterti fermare? “Gli impatti a terra sono esagerati, sì. Ho letto una statistica che ricorda che quando si atterra con il primo balzo, è quasi come caricare tredici volte il peso corporeo sulla caviglia, sulla schiena e sulle ginocchia. Quando leggi solo questo dato capisci perché ci facciamo male. A Tokyo molti atleti hanno rinunciato perché avevano dei problemi. È uno sport bello, questo, ma crudele. E devi tenere conto di questa sorta di regole” Regole che hai stravolto con il tuo 17,64. Ti sembrava fattibile? Chi conosce il mondo dell’atletica leggera conosce il tuo valore. Ma tu? “Tutti dicevano che avessi talento ma che mi facevo male. Io sono arrivato a Tokyo sapendo di stare molto bene, anche se non ho gareggiato quest’anno. Avevo una idea di raggiungere un record personale, ma non mi aspettavo questo risultato. Quando sono uscito dalla sabbia ho iniziato a correre senza capire bene cosa avessi fatto. È stato sorprendente leggere la misura” E per 5’ sei stato anche medaglia d’oro. Che effetto ti aveva fatto? “In quel momento ho detto che forse ce la stavo per fare. Ma sapevo che Pichardo aveva un ‘fare vendicativo’, così mi aveva detto Andy Diaz. E alla fine ha giustamente vinto lui” A proposito di Andy, che rapporto hai con lui? “Ottimo. È un bravo ragazzo. È un cubano atipico: non sta sulle sue, è estroverso, puoi scherzare molto con lui. C’è chi ha provato a creare delle polemiche tra noi, ma a me questa cosa non è mai interessata. Dopo il salto infatti sono corso ad abbracciarlo: eravamo in due in pedana ed è bello. Di triplisti nella stessa Nazionale così forti non ce ne sono tanti nel mondo. Possiamo vantarci di questa cosa” Parliamo dell’evoluzione del tuo percorso, per esempio lo stacco del piede. Diamo merito anche al tuo coach, Ennio Buttò che ti segue da sempre… “Dal 2012 lavoriamo insieme. Nello staff poi sono entrate diverse persone. Lui c’è sempre stato ed è tra i migliori in Italia: si è visto sia in gara, sia in pedana perché riesce a tranquillizzarti. E non tutti sanno separare la parte emotiva da quella tecnica: è stato capace al secondo salto a dirmi che era andato tutto bene. E che al terzo salto avrei fatto anche meglio. E così è stato” Il 31 ottobre compirai 26 anni. Hai già un desiderio, un obiettivo? “Il 2028, i Giochi Olimpici a Los Angeles. Ora che sono entrato in una fase di atletica diversa, si può pensare ancora più in grande. Sono sempre stato un sognatore: mi piace pensare di poter ottenere ancora dei risultati migliori e quindi non vedo l’ora” Si parlava del tuo rapporto con Diaz. Una cosa che è emersa, vedendovi, è quanto siate in generale un gruppo prima ancora che dei singoli. Proprio a livello di squadra Nazionale. “È così. Sono entrato in Nazionale nel 2019 e nel corso degli anni si è visto il cambiamento: c’è più spirito di gruppo, di aiuto da parte di tutti. Per alleggerire la pressione delle gare è sempre bello avere una squadra che lavora così. È un nostro punto di forza e per ora sta facendo la differenza. Palmisano non considerata nel video della Maratona? È un peccato, non sono stati riconosciuti i suoi meriti che sono enormi. È stata il mio primo capitano: mi ha tagliato i capelli insieme a Tamberi nel 2019. E non è stata buona! Quello del video è un gesto poco perdonabile: noi siamo professionisti, una dimenticanza del genere è da dilettanti” Chiudiamo con una curiosità. Sei un grande appassionato di MotoGP. Come mai? “Sì, da sempre! Ho ritrovato su dei diari di quando ero piccolo la foto della moto gialla di Rossi nel 2006. Ho anche una foto con lui: ero pietrificato, non riuscivo a parlargli. Mi piacciono le moto e oggi faccio il tifo per Bagnaia. Aspettiamo che torni nei primi posti. Cioè dove merita”

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Federica Frola