Agli italiani piace tantissimo correre a New York

Popolo di santi, navigatori, eroi e, evidentemente, pure maratoneti. Non si spiega altrimenti perché, americani a parte, il contingente più rappresentato alla maratona di New York sia regolarmente quello italiano. Anche quest’anno 2600 nostri connazionali hanno sborsato 625 dollari per l’acquisto del pettorale, tutto sommato accettabili vista l’occasione di unire allo sforzo sui 42 chilometri e 195 metri della corsa più celebre al mondo qualche giorno di vacanza nella Grande Mela. Tra loro l’unico a non aver tirato fuori nulla è stato Daniele Meucci, campione europeo a Zurigo nel 2014 e a quarant’anni suonati ancora competitivo tra i professionisti per chiudere con un brillante 11°posto. Tutti gli altri hanno messo mano al portafoglio, a cominciare da Stefano Baldini, dio greco della maratona olimpica ad Atene nel 2004, per proseguire con Danilo Goffi, che sempre nella capitale greca sfiorò la medaglia ai Mondiali nel 1997: 54 anni l’apprezzatissimo commentatore di atletica di Sky, una primavera in meno il lombardo di Legnano, ma evidentemente il passare della stagione non incide sull’amore per la fatica. Si sono preparati, hanno infilato maglietta e scarpe e hanno corso, non così forte come ai tempi belli, ma neanche piano: 3 ore e 8 minuti Stefano, 11 giri di lancette in più Danilo, ritmo tra i 4’30 e i 4’45 a chilometro che, come sanno i joggers della domenica, sono interessanti pure per le uscite al parco. Come gli altri 55.000 partecipanti si saranno goduti le larghe strade e i ponti che caratterizzano i passaggi nei cinque grandi quartiere di New York, dalla partenza dal Verrazzano Bridge a Staten Island sino all’arrivo a Central Park nel cuore di Manhattan: percorso duro dal punto di vista altimetrico, ma reso esaltante da una cornice di pubblico che nessuna delle altre majors di maratona vanta. Resta da capire la partecipazione così folta degli italiani, per i quali New York è diventata casa dalla clamorosa vittoria di Orlando Pizzolato nel 1984. Era un semisconosciuto, “Pizzowhat?” fu la definizione dei telecronisti americani, che faticarono persino a capire che Orlando era il nome e non il cognome . Fecero epoca le crisi che costrinsero il vicentino a fermarsi otto volte camminando per brevi tratti nel finale: nell’epoca in cui nel mondo occidentale i figli della civiltà dell’automobile riscoprivano il piacere di correre, Pizzolato sancì l’amore definitivo tra gli italiani e New York. Vinse anche l’anno dopo, seguito dal successo di Gianni Poli e, negli anni ’90 di Giacomo Leone e Franca Fiacconi. A quel punto la voglia degli italiani di cimentarsi come emuli del coraggioso Filippide non si è più arrestata. Non c’è soltanto il fascino di una città unica al mondo, ma pure le caratteristiche di una corsa che non prevede lepri, quegli atleti pagati dall’organizzazione per scandire il ritmo: la durezza del percorso di New York impedisce l’inseguimento al record destinato a prove piatte come Berlino o Chicago, ma proprio la mancanza di una strategia fissata rende la gara più interpretabile e, per questo, più avvincente. Nell'edizione del 2025 appena 16 centesimi, un distacco da prova sui 100 metri, hanno separato il vincitore kenyano Kipruto dal sudafricano Mutiso. Assenti anche i battistrada per gli amatori, quegli atleti riconoscibili da palloncini attaccati alla schiena su cui è indicato il tempo che si registra al traguardo seguendo quel determinato ritmo. A New York hanno deciso di far prevalere il fascino dell’avventura: forse è per questo che i più numerosi sono i connazionali di quel tale Cristoforo Colombo che con tre caravelle scoprì l’America.

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Agli italiani piace tantissimo correre a New York

Nicola Roggero