Il viaggio senza confini di Momo Faye: dai campetti di Dakar all'Eurolega in 4 stagioni

Avete presente com’è Dakar? Difficile saperlo senza esserci mai stati. Ma cercando su Google, Dakar è diversa da come ce la si immagina. Dakar è una metropoli di 1.146.053 abitanti, Dakar è la capitale del Senegal, Dakar è la tappa finale del rally più famoso del mondo, Dakar è gemellata con Washington DC, Milano e pure Giulianova. A Dakar, il 5 febbraio 2005 nasce Momo Faye. Non vi racconteremo la classica favola di un bambino con un pallone in mano che si allena giorno e notte e arriva in Eurolega. No, perché i primi passi in un playground risalgono a quando Faye aveva 16 anni. La famosa storia da raccontare, scrivere, tramandare quindi, ci porta indietro solo fino al 2021. “Io giocavo a calcio, e accanto al campo dove giocavo c’era un campetto da basket. I giocatori americani impegnati nel campionato africano giocavano lì. Ogni volta che finivamo il nostro allenamento o la nostra partita, andavamo lì a vederli. Sono un tipo curioso, ho voluto provare. Mi sono innamorato dello stile. Del flow. Mi ha colpito vedere il loro piacere, la gioia nel giocare, la loro passione. Mi è bastata una volta”, racconta. Mouhamed Faye, Momo, è un cestista e da quest’anno è un giocatore di Eurolega, centro titolare di Paris Basketball che in questa sua prima stagione europea viaggia a 5.4 punti e 5 rimbalzi di media. Per essere la prima parte di stagione del primo anno in Europa, non è male. Prima di Parigi però, c’è stata Reggio Emilia. Prima di Reggio Emilia, torniamo a Dakar. “Ero alla DBA Academy, loro organizzano sempre dei camp estivi. Gli allenatori europei vengono a vedere questo camp per reclutare talenti e per l’Italia c’era Andrea Menozzi . Mi ha visto, abbiamo parlato, mi ha convinto. Ne ho discusso con la mia famiglia e abbiamo deciso di scegliere la Reggiana”. Un percorso che parte da un campo, in un’accademia che lega la strada sportiva a quella scolastica e che porta poi fino a Parigi. E in questa strana traversata che ricalca al contrario il rally più famoso al mondo, Faye inizia a crescere alla Reggiana, scoperto da Menozzi, allenato da Dimitris Priftis, scortato da Tarik Black e Kenneth Faried, due santoni dello stesso ruolo in campo ricoperto dal giovane Faye. “Scegliere Reggio Emilia è stato bello, non parlavo neanche italiano, neppure inglese. In 'foresteria' con me però c’erano altri ragazzi senegalesi, parlavano la mia lingua e questo mi ha aiutato molto ad adattarmi. Black e Faried mi hanno preso sotto la loro ala protettiva, è stato bellissimo poter imparare da loro, non è una cosa per tutti. Sono stato fortunato ad averli". Foresteria. Fortuna. Faye. Momo a Reggio Emilia si spostava in bicicletta. Residente in 'foresteria' - un appartamento con numerosi posti letto riservati ai giovani talenti delle squadre di Serie A - impiegava meno di 10 minuti da casa al PalaBigi. La patente italiana non l’ha mai presa, a Reggio non gli sarebbe servita. A Parigi sì, adesso la patente serve ma comunque Momo non ce l’ha: “È difficile prendere la patente in Francia, per andare ad allenamento chiamo Uber”. Momo durante l'intervista parla tanto di fortuna, di duro lavoro, di sacrificio, ma anche di divertimento, gioia e passione. Incarna perfettamente lo spirito del “This is why we play”. Non gioca a basket per soldi, anche se è il suo lavoro. Non lo fa per qualche benefit, anche se ce ne sono. Lo fa perché è fortunato a fare della sua passione un mestiere. E Momo Faye ce lo ricorda così. “Noi giocatori in campo, in casa e in trasferta, vediamo e percepiamo la gente che ci supporta, che è accanto a noi. Sono una forza in più. Non possiamo che essere felici e grati di quello che facciamo”. E alla domanda: “Tu oggi sei felice?” non poteva non rispondere “Sì”, con quel suo sorriso stampato in faccia 24/7. Ecco, magari con la patente in mano sarebbe felicissimo, ma quella in fin dei conti non è questione di fortuna…

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Il viaggio senza confini di Momo Faye: dai campetti di Dakar all'Eurolega in 4 stagioni

Giulia Cicchinè