Dalla NBA alla Serie A: quando l'Italia era la terra promessa del basket

“Amo l’Italia, è un Paese stupendo e mi sono trovato benissimo”. Parole pronunciate alla ‘Gazzetta dello Sport’ nel 2002 da Dominique Wilkins, per anni stella degli Atlanta Hawks, uno dei 50 migliori giocatori nella storia della NBA, lega in cui ha segnato 26.668 punti, che gli vale il 15° posto tra i migliori marcatori di sempre. Nel 1998, The Human Highlight Film sbarca in Italia alla Fortitudo Bologna. Il patron della ‘Effe’ Giorgio Seragnoli gli assicura un ingaggio di oltre tre miliardi di lire e lo riporta in Europa dopo l’esperienza con il Panathinaikos, corredata dal trionfo in Eurolega. E’ una grande Fortitudo, con Myers, Fucka, Rivers, Galanda. Vince la Coppa Italia, l’americano va spesso in doppia cifra ma manca gli appuntamenti più importanti. La ‘Effe’ esce in Eurolega per mano della Virtus e sempre contro gli odiati cugini si consuma una delle pagine più incredibili della pallacanestro italiana, il famoso tiro da quattro punti di Danilovic in gara-5 di finale scudetto che ribalta una serie che sembrava già scritta. “Ancora oggi si parla di quella partita. Il fallo? Oggi posso dire che c’era”, ha detto recentemente, intervistato proprio dal suo amico e rivale Sasha per “La Giornata Tipo”. Wilkins è solo la punta dell’iceberg di un movimento che da tempo e per qualche anno ancora, attirava campioni di primo piano dall’America e non solo. O mia bela madunina: i fenomeni di Milano Negli anni Ottanta, nella “Milano da bere” tra un Camparino e uno 'sbagliato', uno dei cocktail pregiati era Bob McAdoo. Un alieno sulla terra, non solo per il curriculum che lo vedeva due volte campione NBA con i Lakers di Magic e Kareem, per essere stato miglior rookie e tre volte top-scorer della lega. A 35 anni arriva alla corte di Dan Peterson, indirizzato anche dal suo mentore al college Dean Smith, guru d North Carolina. Chi si aspetta una vecchia stella in declino, pronta a svernare sui parquet, si ricrede dopo poche uscite. Bob lotta come uno juniores, si sbuccia le ginocchia sulle palle vaganti e unisce una leadership straordinaria a un talento che raramente si era visto sotto la Madonnina. In maglia Olimpia vince tutto, insieme a un altro totem come Mike D’Antoni, che però la NBA l’aveva appena assaggiata. A Milano sono transitati invece altri All-Star come Joe Barry Carroll, Bill Bradley e Rolando Blackman, che dopo aver segnato quasi 18mila punti nella lega , vola in Europa e incanta il Forum nel 1995. E’ l’anno del blocco Stefanel, quello di Gentile, Bodiroga, Fucka, De Pol e Cantarello, con il panchina il genio di Boscia Tanjevic. Blackman vince la Coppa Italia e lo scudetto da autentico protagonista, poi saluta tutti e se ne va come una luminosa cometa transitata in un amen, dalla Comasina fino ad Assago. Woolridge, Richardson e Mitchell: l’età non conta Tredici stagioni NBA a 16 punti di media, una delle migliori nell’84-85 con la maglia dei Chicago Bulls. Già, quei Bulls in cui muoveva i primi passi nella lega un certo Michael Jordan. Parliamo di Orlando Woolridge, una delle prime ali esplosive, giocatore contemporaneo transitato sui parquet con qualche decennio di anticipo. La non semplice convivenza con l’ingombrante MJ lo ha portato anche a New Jersey, Los Angeles sponda Lakers , fino alla chiamata del 1995 di Giorgio Buzzavo che lo ingaggia a Treviso. “Big O” è l’ala grande ideale per il gioco “run and gun” di Mike D’Antoni: in maglia Benetton vince Coppa Italia e Saporta Cup, primo trofeo internazionale dei verdi della Marca, tenendo una media di 20 punti a partita. Anche se nella memoria restano soprattutto gli occhialoni, i pick and roll con Naumoski e le schiacciate da fare invidia a Ja Morant. E che dire di altri due totem sbarcati in Italia negli anni Ottanta come Michael Ray Richardson e Mike Mitchell? Il primo, quattro volte All-Star e bandito dalla NBA a causa dei suoi problemi di tossicodipendenza, rinasce in maglia Virtus Bologna. In bianconero dal 1988 vince due Coppe Italia, segna oltre 2mila punti e fa innamorare i tifosi bianconeri, nonostante il genio e la sregolatezza . Mitchell, All-Star nel 1981, arriva in Italia a Brescia nel 1988 dopo aver segnato quasi 15mila punti oltreoceano tra Cleveland e San Antonio ed essere caduto nel baratro della droga. La storia la fa però a Reggio Emilia, dove gioca dal 1992 al 1999 e da over40 vince la classifica marcatori della Serie A alla media di 24 punti a partita. Una leggenda che ancora oggi campeggia alta al PalaBigi, casa della Reggiana. Abdul Rauf, un Califfo in Abruzzo C’è chi lo ha paragonato a Pete Maravich, chi come Phil Jackson lo ha rivisto nelle movenze di Steph Curry. Parliamo di Chris Jackson, divenuto famoso alle cronache come Mahmoud Abdul-Rauf dopo la conversione all’islamismo. Baby prodigio al liceo e al college nonostante una sindrome di Tourette diagnosticatagli in ritardo, Most Improved Player della NBA, forma con Dikembe Mutombo un'asse play-pivot letale. Denver, Sacramento, Vancouver, punti e assist che gli uscivano dalle mani senza sforzo, con una precisione chirurgica dalla lunetta . Arriva in Europa, condizionato anche dal malessere di essere musulmano negli States dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Nel 2004 la chiamata di Roseto degli Abruzzi, che lo adotta e lo idolatra. “Il Califfo” segna oltre 18 punti di media, trascina quella che ancora oggi viene ricordata come la “Roseto più forte di sempre” al 7° posto in campionato. La sua maglia numero 5 verrà ritirata una decina di anni più tardi, il suo legame con l’Abruzzo è forte ancora oggi. Manute Bol e Shawn Kemp: chi li ha visti? Non sempre, però, l’arrivo di un nome altisonante dalla NBA è stato sinonimo di successo. Manute Bol, 231 centimetri di altezza per appena 90 kg di peso, si era meritato anche una battuta di Woody Allen per la sua fisicità da watusso: “Quando giocano in trasferta, per risparmiare, lo spediscono via fax”. Miglior stoppatore per minuti giocati nella storia della NBA, giocatore più alto mai visto nella lega insieme a George Muresan, ha diviso il campo con i più grandi: Jordan, Barkley , Kareem, Magic, Bird. Il sudanese, nel 1996, decide di provare l’avventura in Europa e accetta la chiamata di Forlì. Pallino di coach Mangano, Bol però dura davvero poco in Emilia: gioca due partite, segna 11 punti e viene tagliato. Non prima di essere protagonista di una sfilata di moda a Milano, lui che non disdegnava i party e che poteva vantare frequentazioni con Jack Nicholson e Madonna. Un altro re delle feste è stato sicuramente Shawn Kemp, che insieme a Gary Payton ha formato una delle coppie più glamour della NBA degli anni ’90, facendo tremare i Bulls di Jordan, Pippen e Rodman nelle Finals del 1996. Quando nel 2008 la Sutor Montegranaro lo porta in Italia, nel piccolo centro marchigiano da 12mila abitanti, si pensa a un pesce d'aprile posticipato. Certo, del “Reign Man” campione del mondo con il team USA nel 1994 e sempre al di sopra del ferro con la maglia dei Sonics, resta ben poco. La presentazione in pompa magna alla stampa fa il paio con qualche uscita di troppo in Riviera, la condizione è davvero precaria e il quintale viene superato abbondantemente: l’avventura marchigiana dura appena 13 giorni, giusto il tempo per sviluppare una dipendenza quasi impossibile da sconfiggere. Quella da prosciutto …

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Claudio Barbieri