Le storie più assurde (ma vere) dell'Intercontinentale e del Mondiale per Club

C'è un ronzio costante che accompagna i tifosi italiani durante quelle partite, nelle notti insonni e nelle albe dove il sole da inseguire è un pallone da calcio e la voglia di salire in cima al mondo. Le telecronache arrivano quasi ovattate dal tubo catodico, disturbate, come uscite da un universo parallelo, o da un altro mondo. E in effetti un po’ è proprio così. Storie di battaglie quasi nel senso letterale della parola, di macchine regalate al migliore in campo, di gol entrati nel mito e di miti entrati nella storia. Era le vecchia Coppa Intercontinentale, oggi Mondiale per Club, pronto a un nuovissima edizione. Una coppa ponte tra due mondi, il calcio del vecchio continente e quello del Sudamerica. Storie di partite durissime, toste e cattive. La battaglia della Bombonera Somigliavano a un film di gangster firmato da Martin Scorsese le battaglie degli anni Sessanta . Nella storia ci entra soprattutto quella targata 1969 tra Milan ed Estudiantes: il format del tempo prevede andata e ritorno, con eventuale bella in campo neutro. È il Milan del golden boy Gianni Rivera e di Pierino Prati, eroe di una finale di Coppa dei Campioni vinta contro il profeta Cruijff. Andata a San Siro: tutto facile, 3-0 rossonero. Storia diversa nel teatro della Bombonera dove va in scena una partita da profondo rosso sangue. I giocatori racconteranno di sputi e di caffè bollente lanciato dagli spalti all'ingresso in campo. È Nestor Combin l'osservato speciale, nato in Argentina ma poi naturalizzato francese, e per questo un po' nemico pubblico numero uno, in un match dove gli interventi alle ginocchia erano poco più che la normalità. Nestor Combin uscì dal campo con una maglietta dal colore diverso da quella indossata negli spogliatoi, poi fu prelevato dalla polizia per presunta renitenza della leva militare con l'intervento - più che mai necessario - dell'ambasciata per risolvere il caso e riportarlo in Italia. Tre giocatori di quell'Estudiantes presero squalifiche per trenta partite e diversi anni, oltre a trenta giorni di reclusione. Combin riuscì a tornare a Milano, poi andò ospite alla Domenica Sportiva, il volto tumefatto come cartolina di quella partita; lì incassò la battuta del grande Enzo Tortora: "Combin, devo darle una brutta notizia, ci risulta che lei non è in regola col canone di abbonamento". Sassaiola e punti di sutura Quella partita la vinse il Milan, o meglio, perse 2-1, ma alzò lo stesso la coppa. Quattro anni dopo l'Inter, la prima italiana di sempre a vincerla; era quella di Corso-Mazzola-Suarez, quella che secondo il credo laico di Freccia nel film di Ligabue non ci sarebbe mai più stata . Contro l'Independiente - ovviamente in trasferta - furono bersaglio di una vera e propria sassaiola. Bastarono comunque i tre gol di San Siro per portarsi a casa il titolo di campioni del mondo anche perché, per dirla alla Mazzola, quell'Inter di Herrera le partite "le vinceva ancor prima di salire sul pullman". E poi, il 1968, l'anno per eccellenza delle rivoluzioni: Bobby Charlton fu ferito alla testa e guadagnò diversi punti sul viso dopo l'ennesima battaglia. Nell'edizione del 1970 vinta dal Feyenoord, contro i soliti argentini, il leggendario Ernst Happel - uno degli allenatori capaci di rivoluzionare la tattica del gioco - disse che "quei giocatori dell'Estudiantes sono dei veri e propri gangster". Ecco perché, l'anno successivo, l'Ajax fu la prima squadra campione d'Europa in carica a rinunciare alla trasferta da brividi, spedendo invece gli sconfitti della finale di Coppa dei Campioni del Panathinaikos a giocarla al posto loro. Anche da questi rifiuti nasce uno dei più grandi cortocircuiti statistici del pallone: l'Atletico Madrid campione del mondo senza mai esserlo stato d'Europa. "El Piscador" che ha ispirato Holly e Benji Secondo il principio del rasoio di Occam - quello che postula come la spiegazione più semplice sia sempre quella da preferire - il mistero statistico è molto semplice: il Bayern Monaco campione d'Europa rinunciò all'Intercontinentale, lasciando quindi spazio ai finalisti sconfitti dell'Atletico, che si presero così la finale guidati dal loro giovane ma brillante tecnico, tale Luis Aragones. Anche per questo il 1980 segna una svolta. Mentre l'Italia e il mondo si trasformano socialmente e culturalmente, anche la coppa dei due mondi cambia formato: si gioca una partita sola, e si vola in oriente. Tokyo diventa la nuova casa della sfida mondiale, anche grazie allo sponsor della Toyota che decide di regalare una macchina al migliore in campo. Il primo di tutti fu quel Waldemar Victorino meteora del Cagliari anni Ottanta: sconfisse col suo Nacional in finale il Nottingham Forest del leggendario Brian Clough. Soprannominato El Piscador, tragicamente scomparso nell'agosto del 2023, a lui fu dedicato anche un personaggio di Holly e Benji. La Madonna di Tokyo Sono quelle le partite del ronzio che ti entra nel cervello, delle trombette come vuvuzelas ante litteram, delle telecronache sporcate da un viaggio quasi interminabile della voce dei cantastorie. Lì c'è il golaço di Del Piero del 1996, quello di Zico del 1981, i venti rigori con cui il Nacional batte il Psv nel 1988. C'è un pugno rifilato da Savicevic al cileno Ramirez in Stella Rossa-Colo Colo nel 1991 e che lo costrinse, due anni dopo, a saltare la finale col Milan di Capello contro il San Paolo dei giovani Cafu e Leonardo. Non senza polemiche e una lotta serrata della società rossonera con la Uefa a colpi di carte e avvocati, mentre nello stesso Okura hotel di quel Milan era arrivata nientemeno che Madonna, in tour in oriente dopo il suo quarto album in studio. Storie, davvero, dell'altro mondo. Le Roi in contemplazione E poi quel gol, come dimenticarlo. Un quadro, prima e dopo: Michel Platini contro gli Argentinos Junior nel 1985. Un controllo, un tiro al volo, il modo più semplice e più spettacolare per esorcizzare un campo maldestro . Probabilmente il gol più bello della carriera di un calciatore dal talento ineffabile, e il più bello anche perché annullato, cancellato dai libri della storia ma rimasto nella mente di tutti. Un po' come la sua reazione all'inconcepibile fischio dell'arbitro tedesco Roth: sdraiato su un fianco, la testa poggiata sulla mano; non restava che contemplare con oziosa estasi la meraviglia che aveva appena regalato a chi era ancora sveglio nella notte italiana. Non dormiva nemmeno Silvio Berlusconi, che quella volta e in quella stessa partita si innamorò del talentuoso numero 9 degli Argentinos , quel Claudio Borghi che lo stesso Platini definì "Picasso del calcio", ma che al Milan si arenò in riva al lago di Como: per gli slot degli stranieri Sacchi aveva puntato tutto sui tre olandesi. Ma questa è un'altra storia.