Il St. Pauli ha deciso di separarsi da Sahin Cenk, dopo il post su Instagram del giocatore turco a favore dell'azione militare di Errdogan contro i curdi al confine siriano. Una decisione non a sorpresa, ma assolutamente in linea con i valore professati da sempre dal Club di Amburgo
Perché il St Pauli ha “cacciato” Sahin
Il St. Pauli ha deciso di separarsi da Cenk Sahin dopo il post del giocatore turco a sostegno dell’azione militare di Erdogan contro i curdi. Una separazione che non è un licenziamento: Il club, nel comunicato ufficiale, spiega la situazione. Dopo il post su Instagram di Sahin a favore di Erdogan il St Pauli ha discusso la situazione con il giocatore stesso, i tifosi e i membri del club. La decisione è quella della separazione: Sahin è stato lasciato libero di cercare un’altra squadra senza però che venissero meno gli obblighi contrattuali del club. La motivazione è duplice: da un lato, l’indisponibilità di avere in rosa un giocatore con principi contrari a quelli del Club, dall’altra la volontà di proteggere il giocatore stesso.
Storia, valori e pratica: una scelta inevitabile
Resta una domanda di fondo: come mai una decisione così netta e inappellabile? Le ragioni vanno cercate nella storia del Club. Chi fa parte dell’equipaggio di una nave di pirati sa che deve rispettare le regole della ciurma. E il St Pauli è a tutti gli effetti una squadra di pirati. Viaggiano, da sempre, controcorrente. I valori del club sono quelli di un’intera comunità, quella del quartiere di St Pauli, appunto, nella “libera città anseatica di Amburgo”. Lo stadio, il Millerntor, è uno dei centri attorno cui si svolge la vita di un quartiere portuale, sulle rive dell’Elba, che fino a qualche anno fa era zona di degrado assoluto. Oggi è vivacità, solidarietà, a ritmo, rigorosamente, di musica punk e rock. Kein mensch ist illegal: è scitto dentro lo stadio, significa: “Nessun essere umano è illegale”. Per questo, il St Pauli, al momento massimo della crisi siriana, non esitò ad aprire le porte dello stadio per far dormire i rifugiati giunti nella notte in città. Perché tra i valori del club ci sono l’antirazzismo e il rifiuto della guerra.
L’impegno sociale nel DNA
Non solo antirazzismo e il rifiuto della guerra. Il St. Pauli è stato il primo club a schierarsi contro l’omofobia, partecipando al gay pride di Amburgo con un proprio camion dentro la sfilata, e le bandierine del calcio d’angolo (storicamente nere con il teschio) sono diventate arcobaleno, così come la maglia ufficiale di gioco. Un modo per schierarsi nel mondo. È la squadra in Europa con la maggior percentuale di tifose donne, e le pubblicità sessiste sono state bandite dallo stadio. Cosi come in passato un progetto di installare locali di lap dance nei box vip fu stoppato dai tifosi. È una polisportiva maschile e femminile che cura progetti paralimpici e che puntano all’inclusione. Così come è partner del “Lampedusa St Pauli”, squadra nata ad Amburgo per i rifugiati. Lo stadio è praticamente plastic free, all’ingresso della squadra suona “Hells Bells” degli ACDC, i giocatori sono donatori di midollo, il colore della maglia marrone come le acque non limpidissime dell’Elba. Sono contro la guerra e contro il razzismo da sempre, nei fatti, nei comportamenti prima ancora che nelle parole. Per questo la decisione di separarsi dal loro giocatore Sahin, dopo il post del turco a sostegno dell’azione militare di Erdogan contro i curdi, non è estemporaneo o eroico. È semplicemente la volontà di ribadire la propria identità. St Pauli è così, una nave di pirati a difesa di un’isola che c’è. Navigando sempre in direzione ostinata e contraria