Inter e Milan si affrontano in semifinale di Champions a 20 anni di distanza dal primo euroderby. Dov'erano allora i due attuali allenatori? La carriera di Pioli era pronta a sbocciare, Simone Inzaghi inseguiva anche nel 2003 un sogno europeo
Stefano Pioli da una parte, Simone Inzaghi dall’altra. Quanta vita in 20 anni. I due allenatori si affronteranno nella semifinale di Champions, mentre nel 2003 – anno del primo euroderby – erano in mondi differenti, situazioni opposte destinate a intricarsi in un lungo percorso che porta al doppio confronto di questi sei giorni. La prima strada nasce da lontano, destinazione a vista dopo tanta gavetta. La seconda è un parallelismo, un binario dove si è perso il primo treno e che ora si ripresenta per la seconda volta, in vesti diverse e in un certo senso più grandi.
La Primavera di Pioli
Classe 1965, nel 2003 Pioli aveva 37 anni ed era invischiato nelle primissime tappe della sua carriera, con il sogno di arrivare lontano e assaggiare quel palcoscenico che vivrà stasera a San Siro. Lo stesso turbinio di emozioni attraversato da giocatore, ancora under 21 e già campione d’Europa con la Juve. Un approdo precoce all’isola felice, ambizione che si ripropone a venti anni di distanza e che questa volta rappresenta la cima di una lunga salita molto più irta di ostacoli e pendenze. Da appassionato di ciclismo, l’attuale allenatore del Milan sa bene cosa vuol dire scalare tappa dopo tappa: il traguardo ora è vicino, ma che fatica se si ripensa dov’era in occasione del primo euroderby. Pioli era pronto a chiudere la sua prima e unica stagione alla guida della Primavera del Chievo (avrebbe successivamente allenato il Chievo dei grandi nel 2010/11), l’ultimo vicolo prima della chiamata da Salerno che gli avrebbe concesso l’occasione della prima squadra. Una carriera agli albori, pronta a sbocciare in primavera e che adesso mira a raggiungere la sua consacrazione. Lui che un’altra Primavera - quella di Botticelli – l’ha conosciuta nel suo periodo fiorentino e che ha goduto del privilegio del derby su entrambi i lati dei navigli. Con in mezzo tante altre esperienze, da Modena a Parma, dal Grosseto a Piacenza, dal Sassuolo al Palermo per finire a Bologna e Lazio. Gavetta, appunto. In attesa di provare a completare la sua opera d’arte più importante.
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L'altro Inzaghi a San Siro
Se quella doppia semifinale Pioli l’aveva vista dalla tv, Inzaghi l’aveva assaporata – da lontano – ancora nelle vesti di giocatore. Al tempo centravanti della Lazio, avrebbe appeso gli scarpini al chiodo solo nel 2010, ma con la mente era lì a fare il tifo per un altro Inzaghi in campo a San Siro, il fratello Filippo, a secco nei 180 minuti ma protagonista insieme ai compagni di quella cavalcata che avrebbe visto la squadra di Ancelotti trionfare in finale contro la Juve. Un cognome che, così per Maldini sul lato opposto, è l’unico filo rosso (o meglio rossonerazzurro) a legare le semifinali delle due edizioni.
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Inzaghi in semifinale anche nel 2003
La Primavera tanto cara a Pioli è stato lo snodo fondamentale anche per la prima parte di carriera da allenatore di Simone Inzaghi. Il suo percorso con i baby biancocelesti è stato il biglietto da visita per passare alla guida della prima squadra della Lazio, da lì un grande salto verso l’Inter. Ma il tessuto dell’attuale mister nerazzurro di intrecci ne è pieno: nel 2003 l’Inzaghi rossonero saliva sul tetto d’Europa, in Simone il fascino continentale si scontrava con una brutta delusione. Mentre Pippo si giocava la semifinale di Champions, infatti, il fratello era impegnato in quella di Coppa Uefa. Porto-Lazio: 4-1 all’andata e 0-0 al ritorno. Il passato che si unisce un’altra volta al presente perché sulla panchina dei Dragoni sedeva José Mourinho, l’ultimo allenatore a vincere una Champions con l’Inter nonché l’avversario battuto nell’ultima di campionato (anche quest’anno, inoltre, semifinalista di Europa League). E pensare che Inzaghi poteva essere l’artefice di una pazza rimonta, con il rigore guadagnato nel ritorno con i portoghesi e fallito da Claudio Lopez. Un treno perso e un altro che arriva. Corre e va preso al volo in ogni modo, proprio come la trasferta di Oporto contemporanea ha dimostrato. Per riscattare se stesso e i nerazzurri in una notte che segna una stagione, forse una vita o 20 anni almeno.