Il capitano della Nazionale italiana e della Juve chiede il professionismo (anche) nel calcio femminile: "Ci dicono che siamo brave, poi però non ci riconoscono i diritti che ci spettano"
"Di fatto oggi in Italia c'è una discriminazione di genere che non permette a nessuna atleta di essere professionista". Sono le parole (al convegno "L'importante è pareggiare") del capitano della Juventus e della Nazionale, sulla possibilità che lo sport femminile diventi professionistico. "In Francia - aggiunge Sara Gama - alcune società offrono contratti professionisti e altri da amatori, mentre in Italia questa scelta non è possibile. La gente non sa che noi siamo dilettanti in Italia. Non si può continuare così, ma non vogliamo affossare il sistema proprio adesso che iniziamo a divertirci. Però io a 30 anni non ho i contributi, se non quelli che mi sono stati versati quando giocavo in Francia e non ho tutele assicurative. Tutto deve essere sostenibile per il sistema, bisogna quindi sederci a un tavolo e trovare delle soluzioni condivise. Non possiamo riempirci la bocca dicendoci quanto siamo brave e poi non riconoscerci i diritti che ci spettano".
Uva: “Ok a professionismo, ma sistema sia sostenibile"
Anche il vice presidente della Uefa, Michele Uva, è a favore del professionismo nello sport femminile italiano, a patto che "il sistema non rimanga in piedi solo grazie ai club maschili. La capacità di leggere le opportunità per il futuro dai segnali deboli è l'unica strada per crescere. Quello del calcio femminile è un esempio del genere. Quello del calcio femminile è un percorso importante per una crescita sportiva ma anche sociale e umana della nostra epoca. Abbiamo impostato un percorso, ma mancano ancora tante cose, come ad esempio una tutela giuslavoristica per le atlete, ma anche gli impianti, il riempimento di questi impianti, la sostenibilità economica e un pensiero strategico. Parliamo pure di professionismo, ma attenzione che il sistema non rimanga in piedi solo grazie ai club maschili. Il calcio femminile deve saper crescere con le proprie gambe e con la propria forza. Non bisogna prendere norme che uccidano la bimba nella culla. Il calcio maschile non deve diventare la riserva indiana per le donne. E' una sfida da vincere e lo possiamo fare solo giocando tutti insieme”.