Dalla Serie C alla Nazionale, Nischler: "Finalmente il calcio è anche il mio lavoro"

Immaginate di avere un sogno tanto grande da essere pronti a stravolgere la vostra vita. Immaginate di lasciare la vostra famiglia a soli 14 anni e di trasferirvi in un altro Paese pur di inseguire quel sogno. Immaginate di tornare a casa anni dopo e di non avere certezze, di fare un lavoro che non vi piace e di potervi allenare solo la sera, con giornate iniziate all’alba e finite oltre le dieci di notte. Senza alcuna garanzia per il futuro, senza tutele e con la sola voglia di non mollare. E immaginate, dopo tutto questo, di riuscire ad arrivare in Serie A, iniziare a segnare gol decisivi e poi esordire in Nazionale. Non è un esercizio di fantasia, è la storia di Nadine Nischler, calciatrice del F. C. Como Women e dell’Italia. Nadine, non possiamo non partire dai complimenti per le tue ultime prestazioni e l'esordio in Nazionale: cosa hai provato al momento dell’esordio? “L'esordio in Nazionale è stata una cosa bellissima. Non riesco neanche a descrivere quali sentimenti ho provato in quel momento. È stato incredibile ed è veramente bello scendere in campo con questa maglia” Il tuo viaggio inizia da lontano: a 14 anni hai lasciato casa tua – a Silandro, in Trentino-Alto Adige – per trasferirti in Germania e inseguire il tuo sogno di diventare calciatrice, che esperienza è stata? “Sì, a 14 anni ho deciso di andare all'estero e all'inizio non è stato facile. Era tutto nuovo, non avevo con me i miei genitori, mi mancavano molto e ho dovuto imparare tante cose da sola e in fretta. Anche i problemi piccoli, che di solito ti risolvono la mamma o il papà, dovevo risolvermeli da sola e tutto questo mi ha fatto crescere velocemente. A livello personale è stato fondamentale per me. Alla fine mi sono trovata molto bene lì, sono rimasta 4 anni: la mattina andavo a scuola e il pomeriggio mi allenavo”. E come è stato tornare a casa dopo 4 anni? “Finita la scuola dovevo tornare in Italia e mi sono chiesta ‘Adesso cosa faccio nella vita?’. Volevo fare la calciatrice, ma non era semplice. Sono tornata a casa e mi sono trovata un lavoro in un ufficio: ero l’addetta alle paghe per un consulente del lavoro. Lavoravo tutto il giorno e poi la sera andavo al campo per allenarmi: al calcio non volevo rinunciare” Ma ci sono stati momenti in cui ti sei chiesta ‘Chi me lo fa fare?’ e hai pensato di smettere? “Senza dubbio è stato un periodo difficile. Tornata dalla Germania mi sono chiesta ‘Beh, allora il calcio cos'è per me? Dove posso arrivare?’. A un certo punto ho smesso di pensare che sarei diventata una calciatrice professionista. La cosa più importante era diventata il lavoro, ma comunque non volevo smettere di giocare. Mi svegliavo alle 6 di mattina per andare a lavorare, poi la sera andavo ad allenarmi, tornavo a casa alle 22 e andavo subito a letto… qualche sera mi sono chiesta ‘Ma ne vale la pena?’. Però le sensazioni che vivevo in campo erano uniche e mi motivavano ad andare avanti” Sfruttiamo un tuo assist: hai detto che in quegli anni ti chiedevi cosa fosse per te il calcio, oggi per te invece cosa rappresenta il calcio? “Il calcio adesso è il mio lavoro, è la mia passione… è tutto. E la cosa più bella è che ora lavoro e passione coincidono. Adesso posso andare al campo, dare il mio meglio e concentrarmi solo su questo. È una cosa incredibile! Se penso a dove ero tre anni fa… è un altro mondo, un'altra vita”. Cosa ti ha insegnato tutto il tuo percorso? “Mi ha insegnato molto. Ogni volta che vivo un momento di difficoltà ripenso a quanto è stato difficile arrivare dove sono oggi e mi dico che fa tutto parte della vita. Le difficoltà affrontate mi hanno fatto capire che non si può andare sempre e solo in avanti: a volte bisogna saper fare un passo indietro, ma non significa che non si andrà più in avanti. Anzi, spesso fare un passo indietro ti aiuterà ad andare più velocemente avanti” Ma c’è una scelta che hai preso o qualcosa che hai fatto che oggi non rifaresti? “No, penso che ogni scelta presa mi ha portato a dove sono oggi e a essere chi sono oggi. E tutto questo mi fa molto felice” Andando oltre il calcio, chi è Nadine nella vita di tutti i giorni? Cosa ti piace fare? “Mi piacciono le cose semplici. A casa ho due gatti, Lula e Halu, mi piace prendermi cura di loro e averli al mio fianco. Mi piace tantissimo viaggiare, vorrei girare tutto il mondo” E qual è il prossimo viaggio che ti piacerebbe fare? “Spero di tornare in Messico. E poi vediamo…” E quando vai in campo come sei? Hai scaramanzie o ‘riti’ pre-partita? “No, nessuna scaramanzia. Sono sempre molto tranquilla, anche prima delle partite, cerco di rimanere calma e di pensare a quello che posso fare in campo” Ci sono dei momenti in cui però ti agiti? Come li vivi? “Quando sbaglio 2-3 palloni di fila mi innervosisco, però, come ho detto, sono una persona molto tranquilla e rilassata, quindi cerco di mantenere la calma. Nei momenti di difficoltà cerco di aiutare la squadra trasmettendo la mia tranquillità” Oltre a questo, quali sono i tuoi punti di forza come giocatrice? E in cosa invece devi migliorare? “Il mio punto di forza è il tiro, in particolare da fuori area. E poi l’atteggiamento: sono sempre grintosa e in campo non mollo mai. Devo sicuramente migliorare con il colpo di testa e posso fare meglio con il mio piede debole, il sinistro” Come persona invece quali sono le tue migliori qualità? E cosa non ti piace di te? “Sono una persona molto diretta e leale. Non mi piace molto il fatto che non so dire di no: dico un po' troppo spesso di sì, ma imparare a dire anche qualche ‘no’ non sarebbe male” C’è una giocatrice o un atleta a cui ti ispiri? Uno sportivo che ti piace sia in campo che come modello di vita? “Di sicuro Jannik Sinner, che è anche dalle mie parti. Per me è un modello per come vive lo sport e per la sua mentalità. Mi piace molto sia come giocatore che come persona” Sinner ha scelto il tennis ma da piccolo giocava a calcio, sciava... per te c’è sempre stato solo il calcio fin da bambina? “Ho fatto tanti altri sport, giocavo anche tennis, però il calcio era sempre al primo posto per me” La situazione sta un po’ cambiando, ma c’è ancora chi dice che il calcio non sia uno sport per ragazze: tu da piccola hai dovuto scontrarti con questo stereotipo? “Ho iniziato a interessarmi al calcio perché mia mamma portava mio fratello al campo e più volte le ho detto ‘Anch'io voglio giocare’. Dopo un po’ di insistenza, un giorno mia madre ha detto ‘Ok, allora vai, vai a giocare anche tu’. Quando siamo tornati a casa mio padre non era tanto contento, però adesso entrambi sono i miei più grandi tifosi, mi supportano sempre e sono sempre al mio fianco, li ringrazio. Purtroppo c’è ancora chi pensa che il calcio sia uno sport solo maschile, ma se penso a dove era il calcio femminile vent’anni fa e guardo a dove siamo adesso, sono contenta dei passi in avanti fatti e spero che tra qualche anno sia normale per tutti che esista anche il calcio femminile” Cosa ti senti di dire alle bambine che oggi devono ancora combattere con questo stereotipo? “Fate quello che vi rende felice. Se volete andare al campo e giocare a pallone, andate. Non pensate a quello che vogliono gli altri, fate quello che volete voi” Hai vissuto il calcio femminile anche in Germania, lì come è visto? “Sono stata lì circa 10 anni fa e al tempo lì il calcio femminile era tanto avanti rispetto all’Italia. Però penso che in questi ultimi anni abbiamo fatto tanti passi in avanti anche noi e il nostro livello si è alzato molto. Si è visto all’ultimo Europeo, e anche in Champions le squadre italiane stanno ottenendo risultati sempre più importanti” Uno dei problemi del calcio femminile che spesso emerge è che nelle categorie inferiori non ci sono adeguate tutele e strutture per le calciatrici: tu hai giocato anche in Serie C, è così? “Sì, e questo problema si vede anche quando le squadre salgono di categoria. Le neopromosse fanno sempre fatica ad affermarsi perché c’è una grande differenza tra la Serie A e le categorie inferiori. Bisogna lavorare molto sulle categorie inferiori e questo permetterà di alzare il livello anche in Serie A” Tu invece sei in una società molto importante come il F.C. Como Women, quali sono i punti di forza del vostro club e della vostra squadra? “Siamo un club indipendente, non abbiamo una squadra maschile ed è una cosa bellissima, perché conta solo cosa facciamo noi sul campo. Questo di sicuro è un nostro punto di forza. Io mi trovo davvero bene a Como e nel club. Come gruppo squadra siamo davvero molto unite e questo in campo fa la differenza” Hai esordito in Nazionale, quasi ogni settimana sei nella top 11 della Serie A: avverti un cambiamento nella tua vita? Percepisci che più persone ti seguono? “Sì, questa stagione è diversa da quella precedente. Quest'anno le persone mi conoscono e mi riconoscono, di conseguenza anche le aspettative si stanno alzando. Però mi piace: so cosa devo fare, a che punto sono e resto tranquilla. Mi piace avere l’attenzione delle mie avversarie e prendermi responsabilità” C'è stato un momento in cui ti sei detta ‘Ok, ce l'ho fatta’? “Me lo dico spesso. Già l’anno scorso, alla prima partita in Serie A contro il Milan, mi sono detta ‘Sono una giocatrice di Serie A. Mamma mia!’. E a ogni nuovo step resto incredula, mi capita spesso di pensare ‘L'ho veramente fatto?!’. Dopo la prima convocazione in Nazionale e l’esordio non potevo crederci…” E ora quali altri step ti piacerebbe raggiungere? “Vorrei giocare un grande torneo con la Nazionale: è il mio sogno. E un giorno mi piacerebbe anche giocare in Champions League” Quando ricorda il suo percorso Nadine Nischler ha gli occhi che brillano. Nel raccontare è spontanea e senza filtri. Giocare a calcio è ciò che ama fare e parlarne la emoziona. È sicura di sé ma mai arrogante. Non si pone limiti. Sogna in grande, come ha sempre fatto. E ha già dimostrato che quando vuole qualcosa, sa come arrivarci. Ecco perché risulta facile immaginarla vestire la maglia Azzurra in un grande torneo o giocare nei campi più importanti d’Europa, in una notte di Champions League. Se continua a segnare così, può arrivarci anche con il suo Como. È la forza dei sogni. È la forza di Nadine Nischler.

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Emiliano Tomasini