Linari: "Sento la responsabilità di dover fare qualcosa per il calcio femminile"

Responsabilità è la parola chiave. Elena Linari la pronuncia più volte nel corso della sua intervista a Sky Sport Insider. Prima quando racconta perché ama calciare i rigori e poi quando spiega perché sente il bisogno di fare qualcosa per il mondo in cui viviamo. Non si limita a parlare dei problemi del calcio femminile: la giocatrice della Nazionale vuole migliorare la condizione della donna in Italia e nel resto del mondo. Vuole parlare di violenza di genere, educazione sessuale e diritti sociali. Ritiene che essendo una persona in vista, abbia il dovere morale di fare qualcosa per chi è più sfortunato. E, forse, se più persone la pensassero come lei, vivremmo in un mondo migliore. Cosa ti ha spinto a lasciare la Roma e a trasferirti in Inghilterra a questo punto della tua carriera? “Parto dalla fine. In Inghilterra c’è uno dei campionati più importanti al mondo, lo sappiamo benissimo e lo testimoniano anche i numeri. Qui c’è grande intensità, c’è tanta voglia di crescere, il movimento è in salute, giocare negli stadi del maschile è la normalità e la risposta del pubblico è sempre positiva. A 31 anni non mi aspettavo di ricevere un’offerta del genere e quando è arrivata ci ho pensato bene. Porto la Roma nel cuore, i tifosi lo sanno e spero non se lo dimentichino, ma non ho mai nascosto, anche alla dirigenza, di sognare di poter tornare all’estero. In passato ho giocato a Madrid, all’Atletico, e a Bordeaux, ma non ero riuscita a esprimere al meglio me stessa, sentivo il desiderio di riuscire ad affermarmi anche fuori dall’Italia. Alla Roma devo tantissimo, mi hanno presa in un momento in cui non stavo bene e non ero l’Elena Linari che sono oggi. Abbiamo creato un qualcosa di magico e straordinario, abbiamo vinto tanto ma forse si era chiuso un ciclo e ho pensato fosse il momento giusto per ripartire. Non è stato semplice, per anni ho visto Roma come casa e come il posto dove vivere anche in futuro, ma quando ti capita un’opportunità del genere… mi sono chiesta ‘Cosa vuoi fare Elena? Vuoi rimetterti in gioco?’, ho sentito le farfalle nello stomaco e ho capito di voler accettare. La Roma è stata molto comprensiva, mi ha lasciato partire e ringrazio la società anche per questo” Come stai vivendo l’esperienza alle London City Lionesses? “Mi trovo molto bene. Questa è una società nuova, c'è tanto da fare, è tutto in rifacimento: stanno costruendo il nuovo centro sportivo che sarà enorme, ci sono lavori da tutte le parti e c'è una società che ha tanta voglia di crescere e di fare bene. Sto cercando di adattarmi al calcio inglese e alla cultura inglese, sono davvero molto contenta ma devo ammettere che ambientarsi al clima non è facile ” Anche in Inghilterra hai fatto vedere di essere un’ottima rigorista, hai qualche segreto? “Nessun segreto. Penso che dentro a una partita il rigore sia un momento a sé stante: ti puoi allenare tutti i giorni a calciarli, ma la chiave è saper gestire la pressione. A me piace sentire le pressioni e provare a superarle e gestirle. Mi piace mettermi alla prova e prendermi le responsabilità: quando c’è da calciare un rigore non mi tiro mai indietro. Mancava la nostra rigorista e quindi ho preso il pallone per calciarlo io. In quel momento non ho pensato a dove tirarlo, di solito calcio d’istinto, senza fare troppi ragionamenti. Mi sono detta ‘tiralo forte’ e ho avuto fortuna: devo abituarmi al vento che c’è qui perché la palla è andata un po’ alta, ma per fortuna è entrata. Mi è sempre piaciuto tirare i rigori e mi sono spesso ispirata a grandi difensori che in carriera ne hanno calciati come Sergio Ramos e Thiago Silva” Cosa ti ha colpito di questa tua nuova esperienza in Inghilterra? C’è qualcosa che ‘invidi’ al calcio inglese e che vorresti vedere anche in Italia? “Non è facile rispondere. Come prima cosa penso alle strutture. Non lo dico io, sappiamo che in Italia c’è un grande problema legato agli stadi, non solo per quanto riguarda il calcio femminile: su questo aspetto siamo davvero indietro. Mi piace che qui le nostre partite siano trasmesse anche in chiaro su YouTube e che ci possono vedere in tantissime parti del mondo. Inoltre, qui le persone lavorano 24 ore su 24 per noi. C’è una grande attenzione non solo alla prima squadra, ma a tutto il settore giovanile e questo alla lunga fa davvero la differenza. A me piace guardare molto al futuro: puntare sui settori giovanili è fondamentale per creare basi importanti e dare un grande futuro al calcio italiano e alla Nazionale. Senza fondamenta, non si va da nessuna parte” A proposito di Nazionale, dall’arrivo di Soncin sembrate aver svoltato e l’ultimo Europeo lo dimostra: cosa ha portato di nuovo? E cosa serve per fare ulteriori passi in avanti? “Per crescere ancora serve un po' di esperienza. Se ripenso alla semifinale dell’Europeo, sono stati commessi degli errori che alla lunga hanno fatto la differenza. Non parlo di errori individuali, ci è mancata come gruppo un po’ di scaltrezza e sana malizia, quel qualcosa che consente di guadagnare un fallo o una rimessa laterale in un momento delicato o che fa gestire in maniera più saggia il pallone nel finale di gara. Ma nel complesso l’Europeo è stato davvero positivo e stiamo vivendo un bel momento. Non è scontato, perché stiamo anche vivendo un ricambio generazionale, che serve ma non è mai facile da fare. Le giovani stanno spingendo molto, hanno tanta voglia e stanno trovando spazio anche in molte squadre di Serie A. Questo mi rende orgogliosa e felice, mi auguro possano crescere al meglio perché abbiamo bisogno di loro. Io per prima inizio ad avere una certa età… a oggi fatico a immaginare di non giocare per la Nazionale, ma arriverà anche quel momento ed è giusto così. Soncin sta lavorando molto bene in questo senso e sta creando un ambiente bellissimo. Lui, insieme a tutto il suo staff, ci segue costantemente: non mi era mai successo prima in carriera. C’è una grande cura e attenzione al dettaglio, nulla viene lasciato al caso e questo fa la differenza. Ora nel gruppo c’è serenità e la consapevolezza di essere una squadra forte. Siamo davvero unite e lo percepiscono anche le altre squadre: ho saputo che all’Europeo anche la Spagna temeva di incontrarci perché vedevano quanto fossimo forti e compatte. Non c’è stata una squadra più forte di noi come collettivo. Tutte le ragazze si sono applicate al massimo e lo staff è stato straordinario nel modo in cui ci ha seguito. Soncin ci ha toccato il cuore e ci ha spinte ad andare oltre il nostro limite. Ci tengo a sottolineare il suo atteggiamento e di tutto lo staff, sono tutti ex calciatori e non è scontato quello che stanno facendo per il calcio femminile” Hai sottolineato l’importanza della crescita delle giovani e non a caso spesso sui tuoi social condividi i loro successi: hai un po’ questo ruolo di veterana nello spogliatoio? “In realtà fatico a vedermi come una veterana, mi sento ancora giovane, anche se ho circa 120 presenze in Nazionale e gioco con la maglia Azzurra da tanti anni. Mi immedesimo spesso nelle più giovani, mi ricordo quando io ero a inizio carriera e cerco di dare loro tutto il supporto possibile. Mi fa piacere postare un video o una foto di un loro successo perché sono davvero contenta per loro. Sono felice perché hanno l’opportunità di vivere quello che io sognavo da ragazzina. Mi piace farmi sentire vicina a queste ragazze perché vorrei trasmettere loro la grande fortuna che hanno… noi ci siamo fatte un bel mazzo per arrivare dove siamo adesso e non lo devono dare per scontato. Abbiamo tante giovani di talento, cito Venturelli e Galli ma ce ne sono molte altre, tengo a tutte loro e non voglio che buttino via la grande opportunità che hanno” Come hai detto tu, fino a qualche anno fa per le giovani calciatrici era molto più dura: c’è stato un momento nei tuoi primi anni di carriera in cui ti sei chiesta ‘ma chi me lo fa fare?’ e in cui hai pensato che non valesse la pena continuare? “Io ho iniziato a giocare in prima squadra con la CF Firenze a 14 anni, in Serie A2, che è l'attuale Serie B, e ho toccato con mano realtà che non avevano davvero niente. Ho giocato in campi che non erano campi, ho visto spogliatoi che non erano spogliatoi. A 19 anni sono andata a Brescia, era una società dilettantistica ma cercava di fare il di tutto per trasmetterci professionalità. Bisogna dare grande merito al presidente Cesari e a tutta la dirigenza perché hanno creato un gruppo solido di ragazze che poi negli anni hanno raggiunto tutte la Nazionale. Uno dei momenti più difficili che ho vissuto è stato quando il calcio femminile è stato additato di essere soltanto un mondo di lesbiche. Non è stato facile. E poi quando abbiamo fatto una finale di Coppa Italia contro il Tavagnacco… non erano state delineate le linee sul campo e non ci diedero neanche l'acqua. Non avevano preparato neanche il tavolo per la premiazione: l'hanno preso all’ultimo da un bar vicino e gli mancava anche una gamba. A quel punto abbiamo deciso di premiarci da sole. C'è una foto bellissima di noi e il Tavagnacco dove festeggiamo tutte quante insieme: in una situazione di difficoltà ti devi soltanto unire. Ricordo partite con nessuno allo stadio, nessuno ci seguiva. Per le trasferte viaggiavamo di notte nelle cuccette del treno o partivamo col pullman alle 5 del mattino, giocavamo e poi ripartivamo di sera per tornare il giorno stesso. Devo ammettere che a volte mi sono chiesta ‘Elena, che c***o stai facendo?’. Ma sono andata avanti” Fortunatamente oggi le squadre di Serie A sono molto più attrezzate ma nelle serie inferiori sappiamo che la situazione è ancora critica, quanto è importante migliorare le condizioni delle giocatrici delle serie inferiori per continuare a crescere come movimento? “Tantissimo. Il problema non è mai all'apice della piramide ma sempre alla base. In cima ci sta sempre il re, che solitamente non viene mai toccato da tutto quello che succede sotto. Per questo non possiamo accontentarci di quello che abbiamo ottenuto, c’è ancora molto da fare. Mi batto, e ci battiamo, per questo. Molto di quello che abbiamo è merito di Sara Gama, che ringrazio per tutto quello che ha fatto e continua a fare, e ad altre ex compagne come Marchitelli e Parisi: tutte loro si sono rimboccate le maniche e hanno lottato tantissimo per portare avanti un movimento su cui in pochissimi credevano. Oggi le problematiche maggiori non sono in Serie A, ma nelle serie minori, dove ci sono ragazze che da un giorno all'altro vengono lasciate per strada perché una società non vuole più investire sul calcio femminile. Accade anche nel maschile, è un problema generale del calcio in Italia. Personalmente cerco di fare da cassa di risonanza per tutte le ragazze delle serie inferiori, sento di doverle aiutare. Io sono una privilegiata e quindi ritengo sia importante aiutarle” Non ti sei mai nascosta, anche e soprattutto fuori dal campo: hai indossato la fascia arcobaleno, hai sempre preso posizione su temi sociali e politici, ma a volte hai avuto paura? Ti sei chiesta se per la tua carriera fosse un rischio? “Mi sono sempre ispirata alle persone più grandi, a chi ha fatto veramente la storia. Megan Rapinoe non si è mai nascosta dietro a niente, è andata avanti per la sua strada, portando avanti dei valori, dei principi e delle idee che voleva diventassero dei punti di riferimento per le generazioni future. Però sì, qualche volta ho paura. A volte mi dico ‘Perché lo posti? Perché dici questa cosa? Perché l'hai fatto?’ e alcune volte anche i miei genitori mi dicono ‘Potevi evitare di esporti così…’, ma alla fine prevale il mio desiderio di cambiare le cose. Io non mi nascondo, penso di avere una responsabilità sociale, me la voglio prendere e non mi fa paura. Devo imparare a gestire alcuni momenti, ma non mi vergogno e non mi vergognerò mai delle mie idee. Per me, come atleta e come persona di rilievo devo trasmettere valori e idee che possono aiutare la società a migliorare. Credo che tutti gli atleti e le persone famose dovrebbero fare altrettanto: la fama e la visibilità comportano anche una responsabilità sociale. La condizione della donna in Italia e nel mondo è un qualcosa per cui cerco di lottare ogni giorno. Tengo molto all’educazione sessuale e credo sia importante se ne parli: bisogna parlare delle cose che non vanno perché solo così possiamo cambiarle” Ora sei anche entrata nel Global Player Council della Fifpro: che significato ha per te? “Anche per questo devo ringraziare Sara Gama, che negli scorsi anni mi ha coinvolto e permesso di partecipare a varie call di FifPro. Io ho sempre chiesto di partecipare e di essere inserita in queste attività. Adesso sento la responsabilità di dover fare qualcosa per il calcio femminile. Voglio migliorarlo, voglio coinvolgere più persone, parlarne, discutere del nostro presente e soprattutto del nostro futuro. Non mi piace guardare soltanto al mio orticello, ho una visione più ampia, voglio tutelare tutte le mie colleghe, non solo le mie compagne di squadra. Sono pronta a denunciare qualora venga a sapere di qualche comportamento non adeguato di dirigenti o staff in altre squadre. Se invece vengo a conoscenza un progetto interessante, mi butto e cerco di farlo conoscere a più persone possibile. Adesso sto cercando di entrare dentro a un progetto in collaborazione con WSL sulle lesioni del legamento crociato per le calciatrici. Il problema che stiamo cercando di risolvere è che la maggior parte dei dati a disposizione sono relativi solamente agli atleti uomini: non ci sono informazioni sulle atlete donne. In questo momento noi purtroppo siamo delle ‘cavie’, bisogna incrementare la ricerca e avere più dati sulle calciatrici” Hai usato spessissimo la parola ‘responsabilità’, un concetto che ripeteva spesso anche Michela Murgia. Che cosa diresti ai bambini e agli uomini per far capire loro che è anche loro la responsabilità della condizione sociale della donna? “Ai bambini voglio dire quello che dico anche alle bambine: fate quello che volete fare, non limitatevi a pensare che ci sono degli sport o delle attività ‘da maschi’ e altri ‘da femmina’. Ai loro genitori direi di lasciare liberi i propri figli, di consentire loro di fare ciò che vogliono fare. Penso che quando metti al mondo un figlio, quello che vuoi è la sua felicità, a prescindere da tutto. Ai ragazzi vorrei dire di non fidarsi di tutto quello che vedono nel web: non prendete tutto per vero. Informatevi, studiate, scoprite nuove passioni. Non accontentatevi, non appiattitevi. Io ora ho 31 anni e ho deciso di iniziare a leggere ‘I Promessi Sposi’, perché al liceo – tra le partite di campionato e la Nazionale – non ho potuto leggerlo con grande attenzione. Non dico che tutti debbano leggere Manzoni o Dante, però è importante mettersi sempre in discussione, a volte anche facendo qualcosa che non si pensa sia nelle proprie corde” A 31 anni inizi già a pensare all’Elena del futuro? Cosa ti immagini e cosa ti piacerebbe fare? “Sì, ci penso e anche tanto. Non mi piace arrivare in ritardo: voglio essere sempre in anticipo, non a caso gioco in difesa . Ci penso spesso, mi sono anche confrontata con diverse ragazze che hanno smesso di giocare da poco. Adesso sto facendo il corso Uefa B, grazie alla Nazionale che ci sta dando questa grande opportunità, e in futuro vorrei allenare. In questo momento il mio focus è allenarmi al massimo e migliorarmi sempre, ma inizio a vedere il calcio anche sotto altri punti di vista. Guardo tantissime partite, le analizzo e quando smetterò mi piacerebbe entrare in uno staff tecnico. Vorrei anche fare un’esperienza nel calcio maschile, per scoprire da più vicino come è. Ho tantissime idee e ancora non so cosa farò. Una cosa è certa: resterò nel calcio, perché è ciò che amo ed è la mia vita”

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Emiliano Tomasini