Mondiali 2018, guida al Girone C: Francia, Perù, Danimarca, Australia

Mondiali

Federico Aquè e Flavio Fusi

GettyImages-968557466

Le domande più importanti e i principali temi per presentare il girone di Francia, Perù, Australia e Danimarca. Favorite, possibili sorprese e giocatori da tenere d'occhio

DANIMARCA-FRANCIA LIVE

MONDIALI 2018, TUTTE LE ROSE UFFICIALI

MONDIALI 2018, IL CALENDARIO

Dopo aver perso in finale l’Europeo ospitato, quante possibilità ha la Francia di vincere? 

Flavio Fusi: La finale continentale persa due anni fa è stata l’amara conclusione di un torneo in cui la Francia non aveva brillato, ma in cui era riuscita a superare tutti gli ostacoli che le si erano parati davanti appoggiandosi alle enormi qualità tecniche e fisiche dei propri migliori giocatori.

A due anni di distanza, se si esclude l’esplosione di un’ulteriore ricchissima nidiata di talenti, la situazione non sembra essere cambiata più di tanto: la Francia è una squadra con una varietà di opzioni che non ha probabilmente pari a livello mondiale, ma Deschamps non è ancora riuscito a dare alla sua selezione un’identità riconoscibile, o perlomeno continuità di prestazioni e i calciatori non si sono ancora integrati tra loro come una Squadra.

Questo non vuol dire che siano da escludere dalla prima fascia delle Nazionali favorite, anche perché per farsi idea del potenziale dei francesi basta dire che tra infortuni e scelte tecniche, sono rimasti a casa giocatori come Koscielny, Kurzawa, Rabiot, Payet, Martial, Coman, Lacazette, Ben Yedder e, soprattutto, Benzema.

Il fatto è che la Francia, come si è visto anche nell’amichevole contro l’Italia, non è una formazione che dà l’impressione di poter costruire il gioco in maniera lineare indipendentemente dall’opposizione degli avversari o terrorizzare difese avversarie schiacciate negli ultimi 30 metri, come invece dovrebbe succedere. La manovra non è sempre fluida e spesso sono in troppi a volere la palla sui piedi. I problemi si sono visti anche nel girone di qualificazione, in cui i transalpini hanno perso contro la Svezia e regalato punti alla Bielorussia e addirittura al Lussemburgo in casa.

L’attacco posizionale della Francia è rivedibile. In quest’esempio la Francia sta muovendo palla dal lato destro a quello sinistro, ma l’ultima linea è troppo piatta. Pogba si è alzato vicino a Griezmann, ma entrambi sono difficilmente raggiungibili per Umtiti. Hernandez e Mbappé si mantengono larghi e vicini, compiendo poi lo stesso movimento incontro alla palla.

La squadra si disporrà molto probabilmente con il 4-3-3, soprattutto dopo la defezione di Payet, ma la buona riuscita della spedizione mondiale dipenderà molto dal sacrificio di tutti e dal rendimento di elementi in grado di dare equilibrio a tutto il sistema. In questo senso è fondamentale, anche più di quella delle stelle Pogba e Griezmann, la presenza di Kanté, per compensare i movimenti dei giocatori offensivi a cui è concessa una certa libertà di movimento. Sono frequenti, infatti, gli interscambi posizionali tra gli elementi del tridente (o fra trequartisti e attaccante quando Deschamps sceglie il 4-2-3-1).

In difesa non c’è un preciso schema di riferimento, visto che la Francia può difendere sia a zona che con riferimenti individuali e che l’altezza e l’intensità del pressing dipende dal momento della partita, ma se da una parte, in un torneo di questo tipo, la flessibilità può essere un asset importante, dall’altra rappresenta un punto interrogativo, soprattutto considerando le condizioni dei due terzini titolari, Sidibé e Mendy, entrambi al rientro da un lungo infortunio.

Al netto di tutte le considerazioni, la qualità complessiva è tale che la semifinale non può che essere l’obiettivo minimo: il Mondiale di Russia sarà fondamentale per la legacy dell’attuale generazione di calciatori francese, nonché, come ovvio che sia, per il futuro di Deschamps, soprattutto ora che Zidane è senza squadra.

Si può dire che la Danimarca arriverà fino a dove la può portare Eriksen?

Federico Aquè: La Danimarca si è qualificata a questi Mondiali passando dallo spareggio contro l’Irlanda. Dopo aver pareggiato 0-0 all’andata, i danesi hanno vinto 5-1 a Dublino, trascinati dalla tripletta di Eriksen. Quella sera, in effetti, Eriksen è andato oltre le aspettative, molto alte, che la sua Nazionale ripone in lui, anche se in realtà le narrazioni di giocatori che vincono da soli le partite sono affascinanti, ma mistificatorie.

Nessuno vince da solo, e vale ancora di più per Eriksen, che è innanzitutto un passatore eccezionale, tra i migliori del torneo, ma non è baciato da un talento che gli permette di cambiare le partite a piacimento, prescindendo dal contesto. Il talento di Eriksen si esprime in modo compiuto nelle relazioni che instaura con i compagni, e va subito detto che la Danimarca non ha il possesso strutturato del Tottenham. La sua influenza nel gioco degli “Spurs” è più pervasiva, mentre in Nazionale, assecondando il suo ruolo di stella, deve pensare alle giocate decisive.

I momenti in cui organizza la manovra sono più rari rispetto a quando gioca col Tottenham ed emergono soprattutto quando le avversarie della Danimarca hanno meno qualità o adottano una strategia difensiva che le porta a schiacciarsi nella loro metà campo. In quei casi le possibilità di manovrare palla a terra sono maggiori ed Eriksen può abbassarsi per dirigere il gioco. Solitamente, però, la fase di costruzione dei danesi è piuttosto scarna e prevede verticalizzazioni e lanci lunghi sugli attaccanti per arrivare presto sulla trequarti.

A indirizzare questa strategia è la scelta di schierare, oltre a un centravanti forte fisicamente come Nicolai Jorgensen, che dovrebbe essere il titolare, un finto esterno a destra, ovvero un altro attaccante tra Cornelius e Poulsen (che sulla maglia porta il cognome del padre, Yurary, morto quando il giocatore del Lipsia era ancora un bambino), entrambi alti e grossi e quindi facili riferimenti per i lanci dalla difesa. L’idea insomma non è soltanto di aumentare il potenziale offensivo e la presenza in area di rigore con un centravanti che taglia da destra, ma di avere una scorciatoia che permetta di guadagnare metri senza consolidare il possesso nella propria metà campo. Eriksen, quindi, interviene per definire la manovra, ripulendo le sponde o i palloni appena recuperati con l’idea principale di verticalizzare per creare un’occasione.

In questo caso il centravanti allargato a destra è Braithwaite, Eriksen si muove per raccogliere la sponda del compagno.

La visione e la qualità dei passaggi di Eriksen vengono utilizzate per arrivare presto al tiro, anche se non mancano i momenti in cui il possesso si fa più sofisticato, specie negli attimi successivi alla riconquista della palla, quando le distanze ridotte ereditate dalla fase difensiva facilitano una circolazione di maggiore qualità.

Aver sottratto Eriksen alle responsabilità di organizzare il gioco abbassandosi, concentrando le sue qualità nelle fasi conclusive dell’azione, ha avuto l’effetto benefico di aumentare le occasioni in cui la stella danese si trova negli ultimi venti metri e può tirare in porta: in 20 partite con il nuovo CT, Age Hareide, subentrato a Morten Olsen nel 2016, Eriksen ha segnato 15 gol, un miglioramento incredibile rispetto alla media tenuta fino a quel momento in Nazionale: nelle 57 partite precedenti aveva segnato infatti solo 6 gol.

Partendo da questo dato, sostenere che la Danimarca arriverà fino a dove la trascinerà Eriksen non è poi così lontano dalla realtà. Hareide non ha costruito la manovra a partire dalle qualità della sua stella, ma si è preoccupato piuttosto di creare un contesto che non gli faccia sprecare troppe energie in fase difensiva o lontano dalla porta e lo mantenga lucido nelle zone di campo più avanzate.

Attorno a Eriksen si muovono comunque giocatori di buon livello, chiamati non solo a proteggerlo, ma anche a dargli il supporto necessario a esprimere il suo talento. Tom Delaney, ad esempio, centrocampista dinamico che garantisce equilibrio, ma sa anche farsi valere in fase offensiva (3 gol e 4 assist nell’ultima Bundesliga), appena acquistato dal Borussia Dortmund; Pione Sisto, ala sinistra veloce e amante del dribbling; Lasse Schone, regista dell’Ajax che si gioca il posto a centrocampo con Kvist e può stabilire con Eriksen un’intesa fondata sulla tecnica che innalza il livello del possesso danese.

Il percorso della Danimarca sarà influenzato innanzitutto dalla forma e dalle prestazioni di Eriksen, ma non va trascurato il ruolo che avranno i compagni per creare le condizioni che gli permettano di fare la differenza.

Il Perù può essere una delle sorprese agli ottavi?

Flavio Fusi: Il Perù non si qualificava ad un Mondiale di calcio dall’edizione 1982. Il principale artefice dell’impresa, determinata dalla vittoria nel play-off contro la Nuova Zelanda, è senza ombra di dubbio Ricardo Gareca. Quando El Tigre, come viene soprannominato, fu nominato CT tre anni fa, non era la prima scelta della Federazione e la scelta divise, ma è riuscito a convincere tutti sin dal suo primo torneo internazionale, la Copa América 2015 in cui il Perù fu fermato solo alle soglie della finale dall’Argentina. L’anno dopo, nella Copa del Centenario, dopo aver eliminato il Brasile, il percorso si interruppe ai quarti, con la Colombia che prevalse ai calci di rigori.

Durante i due tornei continentali, Gareca ha assemblato il nucleo della squadra che si è qualificata al Mondiale dopo 36 anni di attesa, inserendo anche diversi elementi giovani: sono infatti sei gli Under-23 convocati per il Mondiale. Ma la qualificazione è stata tutt’altro che in discesa, soprattutto dopo che il Perù non era riuscito a vincere nemmeno una volta nelle prime sei gare del girone. La svolta è arrivata a novembre 2016 dopo che una sconfitta con la Bolivia di agosto, è diventata una vittoria a tavolino per 3-0 poiché gli avversari avevano schierato Nelson Cabrera, ex nazionale del Paraguay. Quei tre punti “d’ufficio” hanno sbloccato La Blanquirroja, che per tutto il 2017 non hanno mai perso, prolungando la loro imbattibilità anche nel 2018: dopo il 3-0 con l’Arabia Saudita, le partite senza sconfitte sono diventate 14.

Gareca è riuscito a far giocare la sua squadra con intensità e a trasmettere una disciplina “europea”, anche se la difesa, i cui quattro elementi titolari giocano tutti in Sud America, ha incassato 26 gol nel girone di qualificazione. Ma è con la palla che il Perù brilla in particolar modo. La continuità tecnica di questi ultimi tre anni ha consentito ai giocatori di sviluppare un’intesa invidiabile per una selezione nazionale, permettendo al tecnico argentino di imprimere alla squadra un’identità di gioco coerente con la sua visione associativa del calcio. “Los Incas” sono in grado di proporre frammenti di brillantezza calcistica pura, tanto da far dire a Téofilo Cubillas, probabilmente il miglior giocatore peruviano di tutti i tempi, che “il Perù non ha nulla da invidiare ai migliori momenti del Barcellona”.

Il sistema di gioco di Gareca è molto interessante: si tratta di un 4-2-3-1 (anche se nelle ultime uscite senza Guerrero si è visto anche un 4-4-2) il cui principale scopo in fase di possesso palla è quello di creare il maggior numero di connessioni possibile, in modo da fornire al portatore sempre 2 o 3 opzioni di passaggio ravvicinato. La fase di costruzione si basa su passaggi corti ma rapidi. Curiosamente, a volte il Perù rinuncia volontariamente all’ampiezza su uno dei due lati per impiegare il maggior numero possibile di giocatori nella progressione del gioco.

La struttura creata dal Perù prima del secondo gol contro la Croazia. I giocatori coinvolti nella costruzione sono tutti molto vicini tra loro. Advincula, il terzino sul lato debole, si accentra per fornire supporto e anche Carrillo, schierato in avanti, si abbassa per giocare il pallone innescando la combinazione decisiva.

Anche in zone più avanzate del campo, c’è spesso solo uno dei due terzini posizionato alto e largo, che però diventa molto importante per effettuare un cambio di gioco, visto che le trame dei peruviani portano i giocatori avversari a concentrarsi sul lato forte. Senza Guerrero si era visto qualche problema di occupazione dell’area di rigore e alla squadra mancava un riferimento centrale, ma il reintegro dell’attaccante del Flamengo è un’ottima notizia.

Sarà interessante vedere come una squadra che applica una difesa aggressiva e che spesso cerca di riconquistare il pallone il prima possibile (la vicinanza tra i giocatori in possesso facilita ovviamente il compito) si adatterà al confronto con Nazionali europee che probabilmente la costringeranno a difendere più bassa, come è accaduto nella recente amichevole con la Croazia. Se la squadra non cadrà nella tentazione di rintanarsi nella propria metà-campo e i difensori, non particolarmente affidabili nel gioco aereo,  riusciranno a mantenere la concentrazione, il Perù si candida ad essere una delle sorprese del Mondiale.

Cosa è successo con Guerrero?

Flavio Fusi: Se il Perù è riuscito a qualificarsi per il play-off di qualificazione mondiale, poi vinti contro la Nuova Zelanda, deve ringraziare il suo capitano Guerrero il cui fortunoso calcio di punizione, di fatto deviato in porta da Ospina, è valso l’1-1 finale contro la Colombia e il quinto posto nel girone sudamericano. I risultati di un controllo antidoping effettuato lo scorso ottobre, hanno però rivelato la positività dell’attaccante peruviano alla benzoilecgonina, un metabolita della cocaina. Positività confermata anche dalle controanalisi che hanno costretto Greca a fare a meno del proprio uomo simbolo nel decisivo spareggio contro la Nazionale oceanica, sospeso in attesa di una sentenza definitiva.

Anche senza di lui, il Perù è riuscito comunque a strappare il pass, ma a dicembre sono cominciate le peripezie giudiziarie di Guerrero più che mai intenzionato a giocare il primo Mondiale della sua carriera a 34 anni. Inizialmente, il Tribunale arbitrale dello sport lo ha squalificato per un anno, ma poche settimane dopo la FIFA ha ridotto la squalifica a sei mesi, convinta da una linea difensiva originale ma convincente. Come dettagliato dal New York Times, tra le prove in difesa del suo assistito, l’avvocato di Guerrero ha persino portato i test effettuati su la Doncella, una delle mummie dei “bambini di Llullaillaco”, sacrifici umani degli Inca ritrovati sulle montagne andine. I risultati rivelavano la presenza benzoilecgonina anche nella mummia della Doncella, nonostante una morte avvenuta secoli fa e quindi indebolivano le prove dell’accusa.

Secondo la tesi difensiva, la bambina aveva consumato foglie di cocaina a scopo rituale, e non la criminalizzata polvere bianca, ancora lontana dall’essere sintetizzata a quell’epoca, esattamente come Guerrero, che affermava di aver bevuto un the contenente rimasugli della pianta. A maggio, però, quando già pregustava il Mondiale dopo 14 anni in Nazionale, il TAS di Losanna ha nuovamente inasprito la squalifica, portandola, su indicazione della WADA, a 14 mesi.

In sostegno di Guerrero si sono però mossi i capitani delle altra Nazionali coinvolte nel Gruppo C, con Lloris, Kjaer e Jedinak, che in rappresentanza della FIFPro si sono appellati alla clemenza della FIFA, chiedendo che gli fosse consentito di giocare.

Anche i tifosi peruviani hanno fatto quanto in loro potere per far sentire la propria voce, marciando prima per le strade di Lima e radunandosi poi all’Estadio Nacional per mostrare il loro supporto e chiedere l’amnistia per il loro capitano. Al termine di una vera e propria corsa contro il tempo (il 4 giugno era il termine ultimo per presentare le liste), la Corte Suprema svizzera ha deciso di sospendere la squalifica di Guerrero consentendogli di volare in Russia, citando tra le motivazioni proprio l’universale moto di solidarietà nei suoi confronti.

Nella sua prima partita dopo il rientro, il capocannoniere della storia del Perù ha segnato una doppietta contro l’Arabia Saudita, pronto a guidare la propria squadra, per la gioia di tutti i suoi connazionali, ad eccezione, forse, di Sergio Peña che gli ha dovuto fare posto tra i 23.

L’Australia ha vinto l’ultima Coppa d’Asia, ma nello spareggio con la Siria ha faticato molto. Riuscirà a ripetere l’impresa del 2006 e arrivare agli ottavi?

Federico Aquè: «Stiamo tornando indietro, non vediamo il calcio come un investimento, ma come un costo. Abbiamo una mentalità a breve termine, non ci sono molte persone con una visione più ampia di come rendere l’Australia una potenza del calcio mondiale. Al momento, tutto si riduce alla Coppa del Mondo o al prossimo torneo. Credo che in futuro sarà davvero difficile competere in Asia, stiamo già avendo delle difficoltà a livello giovanile. Anche qualificarsi ai prossimi Mondiali sarà più complicato, perché sempre più paesi asiatici investono nei settori giovanili, mentre noi no».

A parlare in maniera così dura del futuro del calcio australiano è l’ex CT Ange Postecoglou, intervistato dal Guardian. Postecoglou ha allenato la Nazionale per quattro anni, ha affrontato il lungo e complicato percorso di qualificazione che ha portato l’Australia ai Mondiali, passando per i due spareggi contro la Siria e l’Honduras, e si è dimesso subito dopo aver raggiunto l’obiettivo per contrasti con la federazione.

Dimessosi Postecoglou, la strategia della federazione australiana è stata quanto meno cervellotica. Prima ha ingaggiato Bert van Marwijk, che si era qualificato ai Mondiali da CT dell’Arabia Saudita, arrivando proprio davanti all’Australia nel girone e costringendola allo spareggio con la Siria, e poi ha immediatamente annunciato il suo successore, Graham Arnold. In pratica, van Marwijk, allenatore estraneo alle dinamiche del calcio australiano, ma esperto e capace di portare l’Olanda in finale ai Mondiali del 2010, è stato messo sotto contratto esclusivamente per i Mondiali, potendo però contare su poche partite per conoscere i giocatori e organizzare la squadra; ad Arnold, tra i migliori allenatori in Australia, è stata invece affidata la riorganizzazione della Nazionale con un contratto di quattro anni.

Con queste premesse, l’obiettivo di raggiungere gli ottavi sembra piuttosto remoto. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, però, l’orizzonte temporale limitato non ha fatto ripiegare van Marwijk verso un gioco esclusivamente speculativo. Anche se non sempre inizia l’azione da dietro, l’Australia è in grado di giocare fasi di possesso prolungate, con movimenti continui di centrocampisti ed esterni d’attacco, e terzini che spingono. Nell’amichevole contro la Repubblica Ceca, vinta 4-0, l’Australia ha combinato una manovra brillante con la volontà di riconquistare immediatamente il possesso dopo un errore, accorciando in avanti e rischiando molto sulle ripartenze avversarie.

Non è detto che un atteggiamento di questo tipo verrà confermato ai Mondiali, e specie contro la Francia è difficile immaginare che l’Australia proverà a essere così ambiziosa, rischiando di lasciare un’intera metà campo in ripartenza agli attaccanti francesi.

Ovviamente le scelte di van Marwijk si adatteranno all’avversario. Contro la Repubblica Ceca, ad esempio, l’Australia aveva: un triangolo centrale di ottima qualità in cui far circolare il pallone, formato da Luongo, sicuro con entrambi i piedi e capace anche di inserirsi, Mooy, il miglior centrocampista australiano per visione e varietà dei passaggi, e Rogic, trequartista del Celtic che sa muoversi e rimanere lucido anche in spazi stretti; due esterni che abbinavano corse in verticale (Kruse a sinistra) e inserimenti in area (Leckie a destra, autore di una doppietta) e due terzini che hanno spinto molto, Risdon a destra e Behich a sinistra. In caso di un atteggiamento più difensivo, van Marwijk può invece contare su Mile Jedinak, autorità del centrocampo australiano che aggiungerebbe equilibrio, esperienza e fisicità e che ha portato la sua Nazionale in Russia con una tripletta contro l’Honduras (ma due gol sono arrivati su rigore).

Anche in difesa e in attacco le possibili combinazioni sono molteplici. La duttilità di molti giocatori nel reparto arretrato apre a diverse soluzioni, ma van Marwijk sembra orientato verso la coppia di centrali formata da Milligan, che può giocare anche a destra e a centrocampo, e da Sainsbury, il miglior difensore australiano, passato anche dall’Inter nei primi mesi del 2017. Quella formata da Milligan e Sainsbury è la coppia che dà più garanzie in fase di impostazione e che permette di tenere la linea difensiva alta. Anche se i momenti in cui pressa nella metà campo avversaria sono rari, con van Marwijk l’Australia si schiera circa all’altezza del centrocampo con l’attaccante e il trequartista inizialmente in verticale e le due linee alle spalle vicine per non concedere spazi al centro e mandare gli avversari sulle fasce.

L’Australia lascia iniziare l’azione alla Colombia, ma si schiera comunque con la linea difensiva sulla propria trequarti per non allungare le distanze e spingere la manovra avversaria sulla fascia.

In attacco c’è un centravanti più tradizionale come Juric, ma in alternativa van Marwijk ha fatto giocare Nabbout, che può anche essere schierato da esterno. Le possibili sorprese sono Cahill, che va verso i 39 anni, ma in Nazionale è ancora decisivo pur avendo un ruolo più marginale (ha segnato lui la doppietta che ha qualificato l’Australia contro la Siria), e con un gol in Russia si aggiungerebbe a una ristretta categoria di giocatori capaci di segnare in quattro Mondiali diversi (ovvero Pelé, Klose e Uwe Seeler), e Daniel Arzani, esterno 19enne e giocatore più giovane del torneo, che in patria ha già creato parecchie aspettative. Arzani ci ha messo poco a mostrare le sue qualità: subentrato contro l’Ungheria, ultima amichevole prima dei Mondiali, ha trovato il primo gol in Nazionale, alla seconda presenza, e propiziato l’autogol di Kadar con un gran passaggio filtrante per Irvine. L’unione tra vecchia e nuova generazione potrebbe sparigliare le carte e aiutare l’Australia a superare le attese e il girone, nonostante il pronostico sfavorevole.

Con quali giocatori di questo girone possiamo farci belli al bar?

Flavio Fusi: Renato Tapia. Il classe 1995 del Feyenoord è un centrocampista box-to-box completo, che sarà uno degli osservati speciali per gli scout presenti al Mondiale. Ha una buona tecnica di base e visione di gioco, soprattutto lungo, caratteristiche che lo rendono adatto per giocare di fianco ad un interditore puro come Yotun. Le sue qualità fisiche sono impressionanti e lo rendono un giocatore in grado di portare la palla in dribbling. Molto versatile, ha giocato anche al centro della difesa e da trequartista. Gioca sempre con energia e ciò lo porta a fare qualche fallo di troppo, ma è sicuramente un ottimo recuperatore di palloni. Ha un mix di qualità che potrebbero portarlo a giocare in uno qualsiasi dei cinque maggiori campionati europei, ma sembra il classico centrocampista che può sfruttare il palcoscenico per accasarsi in una squadra di Premier League.

Federico Aquè: Pione Sisto ha già alle spalle un paio di stagioni al Celta Vigo e ancora prima si era fatto notare con la maglia del Midtjylland, quando in Europa League nel 2016 segnò sia all’andata che al ritorno al Manchester United. Arriva al Mondiale dopo un campionato da titolare al Celta in cui ha firmato 5 gol e 9 assist. In Liga non è stato tra i migliori solo nell’ultimo passaggio (soltanto Messi, Suárez, Fornals e Benzema hanno servito più assist), ma anche nei dribbling riusciti: 75, quinta miglior performance assoluta. Figlio di immigrati originari del Sudan del Sud, nella Nazionale danese è ormai stabilmente l’ala sinistra titolare. Condiziona meno la manovra rispetto a Eriksen e al centravanti che il CT Hareide schiera sulla fascia destra, ma con la sua velocità e l’attitudine a saltare l’uomo completa e arricchisce le caratteristiche offensive su cui può contare la Danimarca sulla trequarti. Riuscisse a sfruttare meglio la sensibilità per l’ultimo passaggio di Eriksen tagliando da sinistra (finora in Nazionale ha segnato solo un gol in 13 presenze), svilupperebbe una combinazione difficile da contenere per qualsiasi difesa, rendendo ancora più pericoloso l’attacco della Danimarca.

 

Quali partite non bisogna perdersi?

Federico Aquè: Perù-Danimarca, perché si incontrano subito in una sorta di scontro diretto che assegna il ruolo di seconda forza del girone alle spalle della Francia e perché sarà uno scontro tra stili diversi, quello tecnico e palleggiato dei peruviani contro quello fisico e verticale dei danesi.

Flavio Fusi: Francia-Perù perché sarà molto interessante vedere con quale strategia Gareca affronterà la selezione di Deschamps. Difendendo bassa, con il rischio di snaturarsi e di esporre i punti deboli della propria difesa, o affrontando i transalpini a viso aperto, sfidandoli sul piano del ritmo e dell’intensità.