Mondiali 2018, guida al Girone D: Argentina, Croazia, Nigeria e Islanda

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Dario Saltari e Fabrizio Gabrielli

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Le domande più importanti e i principali temi per presentare il girone di Argentina, Croazia, Nigeria e Islanda. Favorite, possibili sorprese e giocatori da tenere d'occhio

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L’Argentina di Sampaoli è riuscita a trovare un equilibrio?

Fabrizio Gabrielli: A una manciata di giorni dal Mondiale non sappiamo ancora con precisione che Argentina vedremo in Russia. La colonna vertebrale è puntellata di dubbi e ballottaggi: ad oggi il portiere titolare, il centrale che affiancherà Otamendi, il volante de cinco (cioè il playmaker incaricato della prima costruzione di gioco) e il centravanti non hanno un volto preciso. In condizioni normali una precarietà del genere potrebbe essere interpretata come un sintomo di insicurezza o di una crisi imminente, ma è pur vero che l’ultimo anno dell’Argentina non ha niente di normale. Figuriamoci di equilibrato.

Nella conferenza stampa pre-Mondiale Sampaoli ha dichiarato di voler giocare, in Russia, con un 2-3-3-2 basato sul recupero della palla altissimo, sovrapposizioni dei laterali bassi sulle ali, linee che si muovono in blocco e superiorità da perseguire attraverso il possesso del pallone. Non foss’altro c’è un’idea.

Durante la sua gestione, Sampaoli ha sempre abbracciato gli sperimentalismi e le boutades, salvo poi però sacrificarli sull’altare del pragmatismo (come la bocciatura di Dybala da secondo trequartista al fianco di Messi).

Nell’ultima (e unica) amichevole contro Haiti (il test di rifinimento previsto contro Israele è saltato più o meno per gli stessi motivi che avevano spinto a programmarlo, più geopolitici che calcistici) la squadra si è schierata con una specie di 4-4-2 che vedeva Tagliafico e Salvio laterali bassi con licenza di affondare, Mascherano che si abbassava spesso a fare da vertice basso con Lanzini che si allargava a destra, Messi che si abbassava al centro e Lo Celso che cercava di impostare il gioco come volante de cinco sul centro sinistra, con Di Maria in regolare esilio sull’out sinistro e Higuaín al centro dell'attacco.

Un’applicazione pratica dei principi di Sampaoli: il gol del 3-0 provvisorio contro Haiti, segnato da Messi dopo un’azione caratterizzata dal possesso prolungato, lo scambio di posizioni tra i giocatori, la sovrapposizione del laterale sull’ala.

Coerentemente ai principi di Sampaoli, la scelta della rosa con cui l’Albiceleste si presenta in Russia ha finito per penalizzare uomini legati a uno stile di gioco troppo posizionale, capintesta Mauro Icardi, e premiare al contrario giocatori capaci di riempire gli spazi e dialogare al loro interno. Alternative polifunzionali (come Maximiliano Meza, che può giocare tanto sull’esterno che al centro del campo, o Ansaldi, che può essere utilizzato da laterale basso su ambo le fasce) e uomini dotati di una versatilità che possa garantire fluidità di posizione in campo - come sarebbe stato Lanzini se non si fosse rotto il crociato praticamente a una settimana dall’esordio - o potrebbero essere Banega e Enzo Pérez (chiamato all'ultimo momento a fare da ventitreesimo uomo in Russia).

Ciononostante, anche a causa della condizione fisica precaria di alcuni dei suoi uomini, Sampaoli sembra ancora lontano dall’aver trovato una quadra definitiva alla sua squadra, il suo ciclo continua ad essere schiavo delle urgenze e delle contingenze.

C’è un aspetto, però, che potrebbe rivelarsi massimamente interessante, e conferire all’Argentina una specie di equilibrio emotivo: cioè il fatto che il 65% della rosa - 15 giocatori su 23 - disputeranno in Russia il loro primo Mondiale, e più della metà dell’undici di partenza più plausibile sarà costituita da esordienti. Un dato che non è per niente da sottovalutare, considerando l’effetto che la camiseta albiceleste ha dimostrato di avere nell’ultimo quadriennio, caratterizzato dalle celebri tre finali perse e una qualificazione ottenuta in extremis, quando il dramma dell’eliminazione stava quasi per compiersi.

Il compito di fare la differenza, come quasi sempre ormai, sarà ovviamente demandato all’eroicità e alla maturità di Leo Messi, che trascende ogni equilibrio che Sampaoli potrà trovare per l’Argentina. Tutte le speranze e la fiducia di una rosa facilmente demotivabile, e in parte limitata, finiranno per poggiare non solo sui suoi piedi, ma anche - e soprattutto - sulla sua tenuta mentale, più che su quella di Sampaoli.

 

Quali sono i punti deboli dell’Argentina?

Fabrizio Gabrielli: Sampaoli non fa che ripetere che c’è solo un approccio possibile per le sue squadre: attaccare tutto il tempo. Il principale problema, quindi, ruota attorno alla capacità atletica dei suoi giocatori di reggere un ritmo del genere. La rosa argentina non è propriamente giovane: l’età media dell’undici titolare si assesta intorno ai trent’anni, e molti giocatori sono reduci da una stagione molto impegnativa. Inoltre non brillano per talento difensivo e il sistema di Sampaoli non sembra adatto a tutti i giocatori in rosa.

Il “Fideo” Di Maria, per esempio, non è più l’elemento disequilibrante sul quale poteva contare Sabella quattro anni fa. Il ruolo che gli ha ritagliato Sampaoli lo rende avulso dalla manovra, alienato sulle estreme propaggini della fascia sinistra, dove non ha più la brillantezza atletica di percorrere la corsia a tutto campo.

Lo Celso, che Sampaoli sta spesso utilizzando come volante de cinco, dimostra evidenti carenze quando è chiamato a supportare il centrale più arretrato nei compiti difensivi (quando cioè è chiamato a coprire la porzione di campo in cui ha giocato la partita più disastrosa della sua stagione, quella di Champions al Bernabeu): il fatto che offra meno garanzie proprio nella funzione in cui è più necessario potrebbe avere risvolti ferali.

Infine, paradossalmente, il punto debole più macroscopico dell’Albiceleste potrebbe rivelarsi quello del centravanti, un ruolo sempre piuttosto emblematico e problematico nella Selección. Nella stessa gestione Sampaoli si sono alternati almeno sei interpreti diversi, da Icardi a Benedetto, da Correa a Alario passando per i due in ballottaggio per il Mondiale, Agüero e Higuaín, che nonostante un rendimento eccellente a livello di club nelle ultime stagioni, con la Albiceleste è a secco da 8 partite (e ha segnato una sola volta, negli ultimi due anni). 

 

L’Islanda metterà ancora in difficoltà le avversarie del gruppo D con i lanci lunghi?

Dario Saltari: Ormai tutti conoscono il gioco dell'Islanda, ma se parliamo di possibili squadre sorprese dal suo gioco, escludendo la Nigeria che è l’unico avversario realmente abbordabile per la nazionale di Halgrimsson, direi che la squadra che potrebbe avere più problemi è la Croazia. Anche se l’Argentina potrebbe soffrire nella gestione delle seconde palle (l’altro grande punto di forza dell’Islanda), la squadra di Sampaoli ha una coppia di centrali davvero troppo forte nei duelli aerei (Fazio-Otamendi). La Croazia, invece, non ha ancora trovato un assetto difensivo stabile e tende a soffrire molto le palle alte, soprattutto da gioco da fermo.

C’è da dire, però, che rispetto a Euro2016 il gioco dell’Islanda è meno ossessionato dai lanci lunghi ed è leggermente più complesso. Un’evoluzione che è innanzitutto frutto della necessità: dopo il grave infortunio al ginocchio di Sigthorsson nel settembre del 2016, che l’ha tenuto fuori per circa un anno e mezzo, l’Islanda si è ritrovata costretta a cercare altre risorse che non fossero il lancio lungo verso l’enorme attaccante del Nantes.

L’Islanda è sempre una squadra iper-verticale che cerca di arrivare in porta con il minor numero di tocchi possibile, ma adesso cerca anche delle combinazioni veloci palla a terra in transizione, appoggiandosi alle qualità tecniche di alcuni giocatori molto peculiari come Sigurdsson e Halfredsson.

Il lancio lungo è ancora una possibilità - anche se ha cambiato bersagli: adesso si prova a raggiungere principalmente il terzino destro Magnusson o la punta Bodvarsson, entrambi alti un metro e 90 - ma non più l’unica.

Quella che potrebbe essere la formazione tipo dell’Islanda, con l’unica assenza di Sigurdsson.

L’Islanda nelle qualificazioni ai Mondiali ha dimostrato di essere una squadra sorprendentemente matura, che nei momenti di maggiore intensità mentale riesce a far girare i momenti decisivi della partita a proprio favore. La squadra allenata da Halgrimsson ha inanellato le sue prestazioni migliori nella fase finale delle qualificazioni, quella decisiva, battendo nazionali del calibro di Croazia, Ucraina e Turchia, e arrivando prima nel suo girone (davanti proprio alla Croazia).

Al Mondiale, però, servirà un salto di qualità ulteriore: il girone attuale è decisamente più complesso rispetto a quello di due anni fa e il suo uomo migliore, Sigurdsson, è arrivato a fine stagione in condizioni fisiche precarie. Se l’Islanda dovesse superare il girone anche questa volta ci ritroveremmo di fronte ad un miracolo persino maggiore a quello compiuto nell’estate di due anni fa.

 

Quante possibilità ha la Nigeria di passare il turno? Quanto è lontana dalla Nigeria del ‘94?

Fabrizio Gabrielli: Nonostante un cammino nelle qualificazioni praticamente perfetto, la Nigeria che si presenterà in Russia è con molta probabilità una delle meno attrezzate, almeno tra le nazionali habituée della Coppa del Mondo.

Aver asfaltato nel girone eliminatorio mostri sacri come Cameroon e Algeria è un fatto, più che altro, eloquente dello stato involutivo del calcio africano: invitte sul campo, le Super Eagles hanno attraversato alcuni momenti di entusiasmo (tra cui la vittoria per 4-2 sull’Argentina a Novembre e il fatto di avere la divisa di gioco più cool del decennio) che rischiano di sfociare in una laguna di delusioni cocenti, visto che difficilmente, salvo suicidi altrui, la Nigeria sembra poter passare il turno.

Qua, per esempio, nel finale del video c’è Iwobi che umilia Mascherano. Succedeva sei mesi fa, sembra passata un’eternità.

La Nigeria del ‘94 continua a rimanere un Arcadia mitica, per certi versi ineguagliabile, nonostante i calciatori selezionati da Rohr siano mediamente più esperti, e abituati a competizioni di alto livello, pur presentandosi come la squadra con l’età media più bassa del Mondiale. Di quella Nazionale, le Super Eagles di oggi conservano i tratti rocciosi, la solidità, mentre sono molto inferiori in quanto a talento e imprevedibilità.

Tra i pali, dopo il ritiro di Enyeama, giocherà il diciannovenne Francis Uzoho, apparso rassicurante nell’amichevole più prestigiosa e attendibile della preparazione, quella contro l’Inghilterra, nonostante la giovane età e la scarsa esperienza (gioca con il Deportivo La Coruña B): non è Rufai (il portiere del '94, appunto) ma potrebbe essere uno dei pochi punti di riferimento in quanto ad affidabilità di questa squadra, insieme alla coppia di centrali formata da Balogun e William Troost-Ekong, che in Nigeria chiamano “la muraglia Oyinbo” (un termine, spesso dispregiativo, con cui si designano i bianchi, dato il colore della pelle dei centrali meticci).

Uno dei punti di forza della Nigeria ‘94 era la freschezza inedita di alcuni dei suoi giocatori migliori: Jay-Jay Okocha e Sunday Oliseh, all’epoca, non erano che ventenni; uno dei punti deboli di questa Nigeria, invece, è la difficoltà che Rohr sta incontrando nell’abbandonare la pista dei veterani e affidarsi a giovani emergenti. Contro l’Inghilterra Mikel Obi, Onazi e Joel Obi si sono dimostrati non solo fuori condizione, ma senza alcuna brillantezza: chissà che Etebo (che comunque ha già giocato - bene - un’Olimpiade, a Rio 2016) e Ndidi (che ha una discreta esperienza in Premier League) non possano dare alle Super Aquile lo smalto necessario per provare a superare il turno.

Il talento si concentra dalla trequarti in su: Ihenacho, che non ha ancora trovato la sua collocazione migliore negli schemi tattici di Rohr, Victor Moses (capocannoniere nelle qualificazioni) e Alex Iwobi (che di Jay-Jay è il nipote) potrebbero però non bastare per lasciarsi alle spalle Croazia, Islanda e soprattutto Argentina, che la Nigeria affronterà per la quinta volta in sei partecipazioni al Mondiale (solo Brasile-Svezia, Argentina-Germania e Germania-Yugoslavia sono classici andati in scena più volte).

 

Che Mondiale dobbiamo aspettarci dalla Croazia?

Dario Saltari: Se si analizza la rosa guardando esclusivamente le carte d’identità e le carriere, la Croazia ha un ottimo mix di giocatori nel prime della condizione psico-fisica (Badelj, Perisic, Rakitic), veterani non ancora in declino (Modric, Mandzukic, Subasic), giovani promesse (Pjaca, Caleta-Car) e giocatori di talento che non hanno ancora espresso tutto il proprio potenziale (Brozovic, Kovacic, Vrsaljko, Kramaric). Questo, però, non significa che la Croazia sia destinata ad un grande Mondiale. Anzi.

Ci sono diverse incognite. Innanzitutto c’è il contesto politico che aleggia intorno alla nazionale croata, che sembra avere - come in ogni rassegna internazionale in cui si presenti - un grande peso. Solo pochi giorni fa il grande dominus del calcio croato contemporaneo, Zdravko Mamic, è stato condannato a sei anni e mezzo di reclusione per essersi appropriato di parte dei proventi delle cessioni della Dinamo Zagabria. Contemporaneamente, Modric e Lovren, che erano testimoni nello stesso processo, sono stati accusati di falsa testimonianza, per aver cambiato le proprie dichiarazioni in corso, secondo l’accusa proprio sotto dettatura di Mamic. E secondo alcuni, questa sentenza potrebbe avere ripercussioni anche sul campo da gioco.

Nel frattempo, comunque, anche la nazionale vera e propria non se la passa benissimo. Ante Cacic, l’allenatore che guidò la Croazia al grande Europeo del 2016 (e la cui nomina, l’anno precedente, aveva scatenato feroci polemiche proprio perché avvertito come l’uomo di Mamic), è stato esonerato alla fine del percorso delle qualificazioni ai Mondiali, alla luce degli appena 4 punti raccolti contro Islanda, Kosovo, Turchia e Finlandia (già eliminata). Cacic è stato esonerato appena due giorni prima della complicatissima trasferta in casa dell’Ucraina, che la Croazia era costretta a vincere per arrivare ai playoff, lasciando le castagne sul fuoco al nuovo allenatore, Zlatko Dalic. Fortunatamente, dopo aver battuto l'Ucraina (2-0), la Croazia si è qualificata battendo (4-1) la Turchia nei playoff.

Adesso però Dalic, che ha passato gli ultimi anni della sua carriera tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, ha diversi nodi tattici da sciogliere se vorrà portare la Croazia il più avanti possibile. Innanzitutto non è ancora chiaro chi occuperà la casella di prima punta, tra Mandzukic, Kalinic e Kramaric (nessuno dei tre, tra l’altro, è un grande finalizzatore). Il nuovo allenatore della Croazia, quando ha giocato Modric, si è sempre orientato verso un 4-2-3-1 con Kramaric al centro dell’attacco, probabilmente per liberare spazio sulla trequarti al genio creativo del 10 del Real Madrid, schierando un attaccante molto associativo e abile a muoversi alle spalle della difesa avversaria.

Proprio la posizione di Modric, stella e capitano della squadra, è una delle grandi ambiguità tattiche della Croazia. Modric in nazionale gioca da trequartista puro e non da mezzala di possesso come nel Real Madrid, seppur godendo di una libertà quasi totale su dove ricevere e come giocare il pallone. Costretto a giocare spesso spalle alla porta, Modric viene limitato in alcune delle sue qualità migliori, a partire dall’associatività e dalla capacità di consolidare il possesso e far risalire il pallone in maniera fluida.

Con Modric trequartista, inoltre, la Croazia si costringe a giocare con una mediana a due, che sembra essere la configurazione peggiore per i restanti membri del centrocampo. Essendo una squadra che attacca e si difende esclusivamente con il pallone, la squadra di Dalic sembra avere bisogno di Badelj, probabilmente l’unico in grado di garantire l’intensità necessaria per recuperare il possesso appena perso. Il centrocampista della Fiorentina, però, sembra molto più a suo agio come vertice basso di un centrocampo a tre, che tra l’altro avvicinerebbe alla porta Rakitic, che fa degli inserimenti in area e delle ricezioni nei mezzi spazi due delle sue qualità migliori.

Le principali debolezze della Croazia risiedono però in difesa. La squadra di Dalic non è riuscita a trovare una coppia di centrali affidabile, e sia Vida che Corluka che Lovren soffrono di frequenti cali di concentrazione in marcatura, difetto che rende la Croazia fragile sui cross in area e sulle palle inattive. Anche Subasic, nonostante rimanga un portiere dall’ottima tecnica, è sempre più incline ad errori banali, che in un ciclo di partite così ristretto potrebbero pesare tantissimo.

La Croazia, in definitiva, non manca certo del talento per rappresentare una delle grandi sorprese di questo Mondiale. Per riuscirci, però, Dalic dovrà avere il coraggio e la lungimiranza di prendere accorgimenti nuovi che riescano a mettere i propri giocatori più forti nelle condizioni ottimali per poter brillare.

 

Quale partita dobbiamo assolutamente tenere d’occhio?

Dario Saltari: Se non siete dei tifosi hipster di Nigeria e Islanda, Argentina-Croazia (21 giugno alle 20 ora italiana) è senza ombra di dubbio la partita più interessante del girone D e non solo per la ricchissima parata di talento che potrete vedere in campo (contemporaneamente potrebbero giocare Messi, Modric, Higuain, Di Maria e Rakitic, tra gli altri).

Innanzitutto perché si giocherà nella seconda giornata del girone, di solito quella decisiva per arrivare alla fase ad eliminazione diretta: Argentina e Croazia, soprattutto se non avranno vinto la loro partita d’esordio, non potranno nascondersi e forse saranno addirittura costrette a vincere, o almeno a cercare di recuperare il risultato nel caso in cui dovessero subire un gol. Anche la cornice sarà di primo livello: il Nizhny Novgorod Stadium è uno stadio bellissimo con la sua colonnata circolare e la copertura semitrasparente, ed è situato sulle rive del fiume Volga tra la Cattedrale di Aleksandr Nevskij e la Cattedrale della Trasfigurazione, entrambe splendide. 

 

Giocatori con cui farsi belli al bar?

Fabrizio Gabrielli: Provate a buttare lì il nome di Cristian “Kichán” Pavón, tra uno spritz e l'altro, e vedete che succede. Anche se una Coppa del Mondo non ha il respiro di un campionato per club, e le possibilità di mettersi in mostra a disposizione di ogni singolo giocatore sono molto limitate, nonché dettate dalle contingenze, sarebbe bellissimo vedere in campo il più spesso possibile Cristian Pavón. L’esterno offensivo del Boca, che Guillermo Schelotto ha modellato fino a farne uno dei migliori prospetti che giocano in Superliga, è un’ala veloce, con una gran tecnica, imprevedibile.

La partita di Pavón alla Bombonera, di fronte al suo pubblico, in cui fa anche un assist per il Kun.

Può giocare su ambo le fasce, e nelle ultime partite Sampaoli lo ha utilizzato soprattutto come rincalzo per Di Maria, come succedaneo revulsivo, disequilibrante, a partita in corso. Pavón non è un calciatore barocco, e per questo una delle massime espressioni del nuovo archetipo di calciatore offensivo argentino: le sue giocate sono tutte incentrate sull’atletica, oltre che su un dribbling secco e una capacità di calcio forte e precisa, nonché su un decision making elogiato anche da Messi. Si era parlato molto di lui l’estate scorsa: sembrava dovesse arrivare allo Zenit, invece ha scelto di rimanere in Argentina. Chissà che non sia stata la sua fortuna.

Altrimenti segnalo Tyronne Ebuehi, ventitreenne laterale basso nigeriano, fresco nuovo acquisto del Benfica (a parametro zero) dopo quattro stagioni all’ADO Den Haag in Eredivisie. Non è la prima scelta, in teoria, di Rohr per il suo ruolo; eppure, dopo l’amichevole di Wembley contro l’Inghilterra, in cui ha dato sfoggio di tutte le sue caratteristiche, le sue quotazioni si sono impennate.

Nato in Olanda, dopo aver rifiutato una convocazione delle Super Eagles nel 2016 si è deciso ad abbandonare il progetto di vestire la maglia Oranje grazie ai consigli di Troost-Ekong. «Il mio stile di gioco si basa su abilità tecniche più che su un approccio fisico», ha detto in una recente intervista. In effetti è dotato di un’ottima tecnica e una propensione molto offensiva, dovuta anche agli esordi come ala, prima di retrocedere gradualmente: la stessa parabola che molti dei migliori nuovi laterali bassi del mondo hanno sperimentato nelle loro carriere. Si spinge molto in avanti, ma lo fa con coerenza: «il miglior modo di difendere, alla fine» ha detto nella stessa intervista «è attaccare, no?». Almeno così è riuscito a imbrigliare Perotti, nell’amichevole del novembre scorso.

 

Dario Saltari: Andrej Kramaric è stato uno dei migliori prodotti del fiorente vivaio della Dinamo Zagabria, da cui poi si è trasferito prima al Rijeka (a quanto pare per dissidi con il solito Zdravko Mamic) e poi al Leicester, dove però non è riuscito ad imboccare la rampa di lancio per il calcio europeo d’élite. Dal gennaio del 2016 è all’Hoffenheim, dove sta lentamente rinascendo grazie alle cure di Julian Nagelsmann: solo nelle ultime due stagioni ha segnato 31 gol e 17 assist tra Bundesliga e Coppa di Germania.

Kramaric, d’altra parte, è stato fondamentale anche per la Croazia, segnando sia la doppietta contro l’Ucraina che ha permesso alla nazionale balcanica di approdare ai playoff sia negli stessi playoff contro la Grecia, nel 4-1 all’andata che ha regalato la qualificazione alla squadra di Dalic.

Kramaric non è un giocatore particolarmente appariscente ma non c’è realmente qualcosa che non sappia fare bene. Oltre ad avere una buona vena realizzativa e un senso tattico molto sviluppato nel muoversi senza palla, l’attaccante dell’Hoffenheim ha un’ottima visione di gioco (2.1 passaggi chiave ogni 90 minuti in questa stagione di Bundesliga) ed è anche uno specialista dei calci di punizione. Dopo aver “portato” la Croazia ai Mondiali, chissà che Kramaric non ci stupisca ancora.

Se invece volete provare con un nome ancora più di nicchia potete usare quello di Johann Berg Gudmundsson, uno dei protagonisti dell’incredibile stagione del Burnley di Sean Dyche. L’ala destra islandese sa unire una grande applicazione difensiva ad un’ottima sensibilità tecnica nel lungo, con cui mette in atto la sua visione di gioco. Con 2.1 passaggi chiave ogni 90 minuti e 8 assist (quanti quelli di Özil), Gudmundsson quest’anno è stato il principale creatore di gioco dei “Clarets”. Con lui in campo, quindi, l’Islanda, può togliere parte delle responsabilità creative dalle spalle di Sigurdsson, moltiplicando le proprie variabili offensive.

Gudmundsson sembra essere un tipo piuttosto ambizioso e si è detto non molto preoccupato dell’Argentina di Messi: «L’ho detto prima che uscissero i gironi che volevo o il Brasile o l’Argentina. Nella prima partita dell’Europeo abbiamo giocato contro Cristiano Ronaldo, adesso quindi sarà il turno di Messi». D’altra parte, il solo fatto di essere arrivato a giocare un Mondiale con la nazionale islandese (dopo aver giocato l'Europeo) deve essere già di per sé una conferma della legittimità delle proprie ambizioni: «Quando ero giovane non avrei mai pensato di giocare un Mondiale con l’Islanda. L’ho sempre sognato ma non ho mai pensato che fosse possibile».