Quell’abbraccio familiare di cui Gattuso aveva bisogno

Per raccontare l’inizio di questa avventura azzura di Gattuso, preferiamo partire dalla fine. Da quando si spengono le luci e i microfoni della sala stampa, da quando si apre quella porta che manda verso il piazzale dello stadio di Bergamo. Verso il mondo. Rino fa quello che da lui ci si aspetta, ma che non appartiene al comportamento consueto di un allenatore della Nazionale dopo la sua prima partita. Niente confronti con la Federazione, presente allo stadio. No: Gattuso incontra la sua famiglia. Sta con la figlia Gabriela, la moglie Monica. “Mi segue da 29 anni, Monica” ha detto il Ct poco prima, davanti ai giornalisti. “Questa vittoria è dedicata a lei e a tutta la mia famiglia: ci sono sempre stati. Sempre”. Detto, fatto: Gattuso esce dalla sala stampa e va da loro, per ricevere quell’abbraccio e quel bacio familiare che contava in quel momento più di ogni altra cosa. Poi videochiama gli altri parenti, quelli che a Bergamo non potevano esserci di persona. Ma con la testa e con il cuore c’erano. Eccome se c’erano. Perché Rino sapeva che la sua famiglia in quell’occasione non poteva mancare e non sarebbe mancata. Era un’occasione troppo importante per lui, che da calciatore prima e da allenatore poi ha vissuto momenti ad altissima tensione. Ma la Nazionale, arrivata un po’ a sorpresa a metà giugno, è comunque una cosa diversa: è responsabilità, prima di tutto; è caricarsi il peso di un’Italia sfiduciata dalle ultime uscite, che ha bisogno di ritrovare prima di tutto sé stessa. E quindi, lo abbiamo notato prima della partita contro l’Estonia, un po’ di tensione c’era. Non poteva non esserci. La mimica Gattuso sembrava proprio essere in campo insieme ai suoi giocatori. Ci ha ricordato quel suo modo che aveva quando, da calciatore, usciva dagli spogliatoi pronto per la partita. È rimasto sulle punte per buona parte del prepartita e ha cantato l’inno con un trasporto emotivo notevole. E con quell’urlo finale, dopo “L’Italia chiamò!”, che in qualche modo gli ha un po’ fatto scaricare l’adrenalina accumulata. Un urlo reale, che gli ha ricordato “Mia mamma, quando in Calabria mi chiamava dal balcone per farmi tornare a casa”, ha detto in conferenza stampa. Un urlo reale, ma anche tanto metaforico: è il prodotto finale di una settimana in cui i toni sono stati alzati in maniera importante. Lo hanno detto i protagonisti, prima e dopo la partita. Bastoni ha parlato di “schiaffi”, cosa che ha ribadito anche Raspadori, tra i migliori nella gara contro l’Estonia. E pure Barella ha accusato una certa stanchezza per i carichi di lavoro che sono stati imposti durante i cinque giorni di ritiro. Gattuso ha voluto tenere alta la concentrazione e il ritmo. La squadra si è allenata sempre, tutti i giorni, compresa la mattina del giorno della partita. Perché serviva un segnale molto forte da lasciare ai giocatori: il concetto di ‘maglia sudata’ o di ‘Nazionale meritata’ non poteva essere solo di facciata. Era necessario far capire quanto davvero, con queste prime partite di settembre, ci si sarebbe giocato molto. Se non tutto. In qualche modo, l’allenatore si è comportato da padre di quella famiglia Azzurra che sente abbastanza sua, da far sì che qualche schiaffo diventasse una carezza dopo i primi 90 minuti da Commissario Tecnico. Su questa partita, in fin dei conti, quei riflettori non si spegneranno. E forse nemmeno su quell’abbraccio alla moglie e alla figlia: l’immagine migliore per chiudere una partita che per Gattuso, ne siamo certi, è già diventata indimenticabile.

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Peppe Di Stefano