Mino Raiola ha parlato all'Expressen del suo rapporto con Ibrahimovic e del futuro dell'attaccante svedese, sottolineando come si aspetti che continui a giocare per altri cinque o sei anni
Un rapporto stretto e sincero, più da padre e figlio che da agente e assistito. Mino Raiola da un lato e Zlatan Ibrahimovic dall’altro, una vicinanza quasi simbiotica che non permette di parlare dell’uno senza nominare anche l’altro. Intervistato dall’Expressen sull’attaccante svedese, Raiola non si è trattenuto, soffermandosi sugli argomenti più disparati. "Ibrahimovic deve giocare ancora 5 o 6 anni, come minimo. Non lo faccio smettere, ho lavorato in questi anni per lui e ora è il mio turno. I miei figli sono cresciuti e ho bisogno di soldi. Siamo d'accordo che durante i prossimi 5 anni lavorerà solo per me. Zlatan non è una persona che si demoralizza. Ha accettato l'infortunio e lavora per tornare più forte e più completo. Quando si è fatto male ero triste per lui ma lui è tosto. Disse che non aveva nulla, che non sentiva dolore, e il medico che lo ha operato ha ammesso di non aver mai visto un ginocchio così forte dopo una carriera così lunga. Jorge Mendes? Non ho rapporti con lui, non parliamo mai. L'ho conosciuto, ma non è un agente come me. Fa le cose a modo suo. In giro non ci sono molti agenti che mi piacciono e sicuramente non c'è Mendes. Non significa che il suo modo di fare sia sbagliato, ma è sicuramente diverso dal mio: lui ha altri interessi, anzi ne ha soltanto". Sul futuro con Ibra, Raiola svela: "Cosa succederà tra me e Zlatan quando smetterà? Nulla. Sarà sempre nella mia vita: calciatore, imprenditore edile, direttore sportivo o allenatore non importa. Ma Dio possa aiutare colui che un giorno lo vorrà come allenatore. Sarei curioso di vedere il giocatore che si permetterà di dire a Zlatan che non sa di cosa stia parlando. Vorrei una telecamera nascosta per vedere la reazione di Zlatan nel momento in cui qualcuno possa pensare di essere migliore di lui".
I retroscena della carriera di Zlatan
Raiola poi racconta alcuni aneddoti relativi ai trasferimenti di Ibrahimovic: "Avevamo programmato il suo addio alla Juve un anno prima che scoppiasse lo scandalo Calciopoli. Avevo già organizzato l'affare con l'Inter, sentii che era giunto il momento, lo sapevo. Dopo Barcellona, poi, sentivo che doveva tornare a Milano, ma non all'Inter. E prima di tutti, poi, avevo capito il momento in cui avrebbe dovuto lasciare il Milan. Lui non voleva, ma sapeva che avevo ragione. A volte si infastidisce quando ho ragione. Nella fase di crescita di Ibrahimovic gli ho dato sempre un esempio: Pavel Nedved. Ora ai miei calciatori più giovani do Zlatan come esempio. Lui ha alzato l'asticella, ora sto aspettando qualcuno che possa fare ancora meglio, ma è difficile. Pogba ci è vicino, anche Lukaku, entrambi hanno qualcosa dentro, una fiamma speciale. Romelu? La madre andava alle partite di suo figlio con il certificato di nascita. Gli altri genitori non pensavano che avesse 12 o 14 anni, visto che segnava sempre 3 o 4 gol a partita. Era più grande e forte fisicamente e spesso, urlando, mettevano in dubbio la sua età. E' per questo che la madre ha preso il certificato di nascita, in cui c'è scritto che è nato in Belgio e non in Africa. Razzismo? L’Italia è 50 anni dietro rispetto agli altri. Io sono sempre felice quando un giocatore nero esce dal campo per protestare contro il razzismo".