Inter-Milan è Perisic-Kalinic: un derby, due amici contro. La storia di Ivan, l'eroe di Omis

Serie A

Diego Ponzè

Domenica sera c'è Inter-Milan (diretta Sky Sport 1 ore 20.45), che sarà anche un derby tutto croato fra Ivan Perisic e Nikola Kalinic. Partiti assieme da Spalato e arrivati fino a San Siro. Ecco la loro storia, le loro origini

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Alcune lettere si sono ormai scollate, dal giallo e dal nero che sono i colori di una vecchia maglia del Borussia Dortmund. Un po' per l'usura, un po' perché da quell'esperienza tedesca di tempo ne è già passato. Ma il cognome si legge comunque ancora benissimo: Perisic. Ed è lo stesso stampato sulle divise di Club Bruges, Wolfsburg, Inter. Nel piccolo stadio "Andelko Marusic Ferata" di Omis, 25 km da Spalato, molti ragazzi negli anni si sono allenati con addosso i colori di queste squadre. Che poi sono le squadre di chi, da anni, al magazziniere della NK Omis, consegna scatoloni pieni di generi di prima necessità per chi gioca a calcio: scarpe con i tacchetti, palloni, maglie appunto.

Generoso, come il clima croato. Ma se capitate da queste parti d'estate, oltre al mare, della Croazia potreste godervi anche questa specie di tradizione, che si ripete puntuale da anni: in mezzo al campo c'è un ragazzone che corre, e non rinuncia all'allenamento nemmeno durante le vacanze. A inseguirlo bambini e ragazzi che gli chiedono foto e autografi. Succede così, ogni volta che Ivan Perisic torna a casa. A Omis non l'hanno dimenticato, tanto che - quasi a volerlo presente ogni giorno dell'anno - appena fuori dallo stadio, un anonimo graffitaro gli ha reso omaggio su un muro. Soggetto: il tocco a scavalcare il portiere del Camerun Itandje, a Brasile 2014, dopo una discesa prepotente alla Gareth Bale. E' il gol che per la Croazia vale il momentaneo 2-0, e per Ivan Perisic il primo gol al Mondiale.

Un murale, dedicato al ragazzo che ha saputo arrivare in alto partendo da qui, e che non si è dimenticato del suo primo club, come tiene a sottolineare Branko Susnjara, primo allenatore del giovane Perisic: "Ci sostiene ogni volta che andiamo a giocare tornei all'estero, oltre a mandarci sempre materiale tecnico: lo fa sin da quando giocava nel Club Bruges. Ha iniziato ad allenarsi proprio qui, era molto bravo e talentuoso, più forte dei ragazzi della sua età, tanto che giocava con ragazzi di due anni più grandi". Ed è proprio qui, che Ivan viene notato e preso dall'Hajduk. La squadra dove in pochi hanno segnato più gol degli oltre cento di Zlatko Vujovic, capitano dell'ultima Nazionale Jugoslava a Italia '90, e poi di nuovo all'Hajduk come vice allenatore: "Negli stessi anni in cui Kalinic giocava in Prima Squadra, anche Perisic era nel club, e sentivo dai suoi allenatori che c'era un ragazzo che sarebbe diventato un grande giocatore, che aveva già una tecnica fenomenale".

In famiglia sono tutti tifosi, vederlo con la maglia bianca e quello stemma sul petto è un orgoglio. Eppure, il sogno del debutto in Prima Squadra svanisce quando è a un passo dal realizzarsi. E per capire perché bisogna tornare ancora a Omis, dove si trovava la fattoria di Ante Perisic, e dove a Ivan capitava di dare una mano al padre nell'allevamento di polli che da piccolo gli era valso il soprannome di "kokos" (l'equivalente di "gallina"). Gli affari non vanno come dovrebbero, finché, nell'estate del 2006, dalla Francia, il Sochaux non si fa sotto con un'offerta che può risolvere i problemi economici dei Perisic: "Aveva iniziato il ritiro insieme a Kalinic - ricorda Sasa Bjelanovic, un lungo passato da calciatore in Italia, un presente da Vice Direttore Sportivo dell'Hajduk - poi purtroppo per i debiti di suo padre, Ivan è dovuto andare all'estero da giovanissimo. Era molto promettente anche se giovane, peccato. Anche se ci sentiamo spesso, di recente ha approfittato della sosta del campionato per venire a vedere una partita. Tiene ancora all'Hajduk, è di Spalato, e gli rimarrà sempre nel cuore". Anche se la sua carriera si è sviluppata altrove e, a differenza di Kalinic, non ha mai giocato se non nelle giovanili. Dove ha comunque fatto tutta la trafila, particolare non indifferente, per il suo vecchio club che, con grande sincerità, avrebbe però fatto volentieri a meno di vederlo giocare un altro derby di Milano: "Siamo orgogliosi che giochi nell'Inter ma certo in estate abbiamo sperato che il Manchester United lo prendesse - ammette Bjelanovic -. Un trasferimento internazionale ci avrebbe garantito la percentuale del fondo di solidarietà, e qualche euro in più avrebbe fatto comodo a una società come la nostra che non ha risorse importanti".