Serie A, le migliori giocate della 12^ giornata

Serie A

Dario Saltari

Il grande intervento in scivolata di Burdisso, la traversa di Douglas Costa, la rovesciata incompiuta di Lapadula e altri grandi giocate dalla dodicesima giornata di Serie A

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Il ritorno di Burdisso 

Burdisso ha più di 36 anni e non giocava una partita in Serie A da circa sei mesi. L’ultima era stata con la maglia del Genoa, lo scorso 21 maggio, al Ferraris proprio contro il Torino. La sua carriera da calciatore in Italia sembrava doversi fermare lì: quest’estate si era prima parlato di un ruolo da dirigente al Genoa, a quanto pare rifiutato, poi di un ritorno al Boca Juniors, smentito. Alla fine aveva firmato per il Toro, all’ultima giornata di mercato disponibile, senza molte aspettative di partire da titolare. E infatti Mihajlovic l’ha lasciato in panchina fino a ieri, nemmeno un minuto prima di affrontare uno dei tridenti d’attacco più imprevedibili e fisicamente devastanti del campionato.

Lo sforzo fisico e mentale che deve compiere un giocatore sopra i 35 anni per mantenersi competitivo in Serie A è già qualcosa di inimmaginabile. Ma se aggiungete a questo sforzo la difficoltà di non aver avuto una squadra con cui allenarvi prima del campionato e la fatica di affrontare per la prima volta in stagione 90 minuti ad alta intensità potrete iniziare a farvi un’idea della montagna che si è ritrovato a scalare Burdisso ieri. 

La partita di ieri, poi, era particolarmente difficile: l’Inter di Spalletti fa delle transizioni uno dei suoi punti di forza e il Torino tende a lasciare spesso i suoi difensori in uno contro uno con gli attaccanti avversari. In questo caso, l’Inter riparte velocemente grazie a una progressione di D’Ambrosio che, arrivato sulla mediana, trova una bella traccia in verticale alle spalle di Ansaldi, su cui sta arrivando Candreva, a tutta velocità verso l’interno del campo. Burdisso è l’ultimo uomo tra l’ala dell’Inter e Sirigu e la saggezza consiglierebbe di attendere l’avversario per difendere la zona, soprattutto perché l’avversario è più giovane e esplosivo.

Ma non appena D’Ambrosio serve il compagno in profondità, l’unico pensiero di Burdisso è il pallone, che punta subito dopo essersi staccato da Nkoulou, come un toro punta il drappo rosso nell’arena. Candreva e Burdisso arrivano sul pallone in contemporanea e l’uno contro uno che si viene a creare ricorda davvero la sfida tra il toro e il torero: l’ala dell’Inter cerca di ingannare il difensore argentino con una finta di corpo,  Burdisso non ci casca e incorna il pallone con una scivolata dal tempismo perfetto.

Una volta riconquistato il pallone, il rapporto si inverte: adesso è Burdisso il torero e Candreva il toro. Burdisso aspetta il ritorno del suo avversario mostrandogli il pallone, attende fino all’ultimo momento disponibile, poi invece di lanciare lungo rientra dentro il campo: la scivolata di Candreva, questa volta, va a vuoto. Burdisso, con l’avversario a terra, scarica infine su Baselli e torna al suo posto, in difesa, come se non l’avesse mai lasciato.

La rovesciata incompiuta di Lapadula

Ci sono tutta una serie di imperfezioni che arricchiscono la rovesciata poco riuscita di Lapadula, almeno da un punto di vista puramente estetico. C’è prima Torreira che tocca forse con la faccia il lob di Taarabt, che aveva mandato dalla parte sbagliata ben tre avversari semplicemente fintando l’apertura a sinistra e girandosi su se stesso intorno al pallone di 180 gradi. La palla si impenna sulla faccia di Torreira superando la linea difensiva della Samp e assume una traiettoria perfetta per Lapadula, talmente perfetta che bisogna rivedere il video più volte per accorgersi della deviazione decisiva.

Lapadula non riesce davvero a calciare il pallone, nonostante la coordinazione perfetta da figurina Panini. In realtà riesce solo a strusciarlo con il sinistro: un tocco sgraziato ma quasi efficace, perché elude l’uscita di Viviano che aveva cercato di andare incontro al suo avversario per chiudere il più possibile lo specchio della porta. La palla finisce fuori di circa un metro e c'è un senso di insoddisfazione nel vedere un’azione così complessa non risolversi in un gol. Quello che rimane, però, è l’ambizione incompiuta e tutti quei dettagli che rendono speciale questa azione. Se Torreira non avesse deviato quel pallone, e Lapadula avesse colpito bene la palla magari avremmo avuto qualcosa di più mannifestamente bello, ma a volte la belleza va cercata ed è un fatto personale. Spero che almeno alcuni lettori ritrovino in questa giocata la bellezza che ci ho visto io.

La traversa di Douglas Costa

Nella sfida personale che si viene a creare tra attaccante e portiere nel momento del tiro, le armi a disposizione di chi calcia per ingannare chi para sono molte: si può dare effetto al pallone per rendere illeggibile la traiettoria, si possono fare delle finte, o colpire in controtempo, a volte, però, percambiare percezione di un tiro basta la semplice forza. Questo tiro dal limite sinistro dell’area di Douglas Costa ne è un esempio. Il brasiliano è arrivato fin dentro l’area, controllato solo a vista da Venuti, e gli basta spostarsi il pallone leggermente col sinistro per aprirsi lo specchio della porta. Il suo tiro è talmente potente che Brignoli sembra non riuscire nemmeno a vederlo: alza le braccia come se il pallone fosse finito molti metri sopra la traversa e si accorge che in realtà è finito nello specchio solo quando sente il rumore della traversa colpita. Il pallone sembra a tutti gli effetti essere sparito dal suo campo visivo dal momento in cui era tra i piedi dell’ala brasiliana ed è ricomparso alle sue spalle, mentre rimbalzava nell’area piccola. Magari non avrà lo stesso fascino romantico di un tiro lento a giro, ma non si può dire che anche questa non sia una magia.

Il tunnel di tacco di Nkoulou a Gagliardini

In un gran numero c’è sempre una buona dose di incoscienza ed è curioso che anche in questo caso sia di un difensore centrale, il ruolo che più di tutti richiede la riduzione al minimo dei rischi. Qui N'koulou viene chiuso vicino alla linea del fallo laterale dal buon pressing dell’Inter. Baselli gli restituisce il pallone ma lui non sa bene cosa fare: prima perde il tempo per servire Rincon, che è sceso tra i due centrali, poi anche quello di tornare indietro da Sirigu. Quindi cerca di tornare verso la linea del fallo laterale, forse per spazzare il pallone lungo linea, ma controlla malamente il pallone, ed è quindi costretto a scappare verso la linea di fondo.

N'koulou è adesso davvero all’ultima spiaggia: ha Gagliardini alle spalle e Icardi che sta chiudendo la linea di passaggio indietro verso Sirigu. Avrebbe ancora la possibilità di difendere il pallone con il corpo cercando poi di colpire il suo avversario per guadagnare un fallo laterale, in realtà, o ancora più semplicemente mettere il pallone direttamente fuori. E invece Nkoulou decide di fare all-in: butta il pallone all’indietro con la suola tra le gambe di Gagliardini e contemporaneamente si gira con una piroetta dalla parte opposta. Se il pallone non filtra l’avversario va in porta in uno contro uno col portiere. E invece come in un prestigio, il centrocampista dell’Inter vede scomparire il pallone e l’avversario, che improvvisamente gli si rimaterializzano alle spalle.

Il tiro impossibile di Radovanovic

La partita del Chievo di ieri è stata difensivamente quasi perfetta: il Napoli ha fatto registrare uno dei valori di Expected Goals più bassi della stagione, senza mai riuscire ad andare effettivamente vicino al gol. Ma è la parte offensiva del gioco di Maran quella più complessa: andare in verticale con e senza il pallone, associarsi in spazi strettissimi e in frazioni di secondo – l’allenatore trentino richiede continuamente alla propria squadra di superare i propri limiti fisici e tecnici. La parola che Maran ripete più spesso, e che ha ripetuto anche prima della partita di ieri, è “coraggio”, cioè assumersi il rischio di provare a fare qualcosa che non è nelle proprie corde.

Qui, ad esempio, Jorginho non riesce ad associarsi centralmente con Hamsik con un passaggio semplice in orizzontale, perché su di lui è tornato Birsa, ieri in veste di inedita seconda punta. Lo sloveno sporca il passaggio con la punta del piede, dando il tempo a Radovanovic di aggredire la linea di passaggio e anticipare Hamsik. Il serbo va immediatamente in verticale, eliminando ogni distinzione tra l’anticipo e lo stop a seguire, e mentre corre guadagna altro tempo perché alza la testa per vedere la posizione di Sepe. Poi calcia con la postura di uno che sta solo per lanciare in profondità: un pallone altissimo che sembra quasi la trasformazione di un calcio piazzato rugbistico. La palla precipita nei pressi dell’incrocio dei pali, Sepe non si fida e la mette in calcio d’angolo.

Di solito associamo i tiri da dietro al centrocampo a giocatori che sono abituati o a cui piace prendersi dei rischi: trequartisti creativi, attaccanti ambiziosi, ali dribblomani. Radovanovic, invece, è un regista molto fisico, che ha passato la propria carriera tra Atalanta, Bologna e Novara, che lo hanno sempre impiegato senza troppa convinzione. Al Chievo doveva forse chiudere un’esperienza italiana quasi invisibile, che invece con Maran ha trovato un suo senso: Radovanovic, di solito, non fa mai nulla di davvero eccezionale ma sbaglia pochissimo e quest’anno il suo livello tecnico sembra essersi alzato ulteriormente. Per tentare un tiro del genere, però, ci vuole qualcosa di più: coraggio.