Gigi Buffon a Sky: "Continuo se resto un punto fermo della Juventus"

Serie A

Sky dedica al capitano della Juventus e della Nazionale un'intera giornata. Ecco il testo della chiacchierata esclusiva con Giorgio Porrà

40 ANNI BUFFON: LO SPECIALE

#SKYBUFFONDAY: LA PROGRAMMAZIONE

Giorgio Porrà intervista Gigi Buffon. L'occasione sono i 40 anni del capitano della Juventus, il risultato è un'intervista strepitosa di cui vi offriamo un passaggio in cui Buffon parla del suo eventuale ritiro a fine stagione.

Porrà: Gigi, venendo qui da te, ragionando sui tuoi freschi 40 anni (auguri e grazie ovviamente, da parte di tutti noi), mi è venuto in mente un pensiero, te la metto giù brutalmente: quarant’anni è un’età tremenda, perché è l’età in cui diventiamo quello che siamo. Anche per chiederti se quello davanti a me è il Buffon definitivo, un uomo definitivamente strutturato, o se hai bisogno di qualche anno in più, magari arrivare a 50-60 anni, come capita spesso, per afferrare tutto di te stesso, della vita, e anche del mondo del calcio.

Buffon: “No, penso che alla fine ogni percorso, di ogni individuo, sia, un evoluzione continua, dovuta anche a tutte le esperienze e al patrimonio di esperienze che fai vivendo. Di conseguenza penso di essere arrivato ad una bella età, probabilmente gli anni migliori per essere ancora professionista calcisticamente parlando, e anche come uomo, perché hai una bella e sana consapevolezza, si è alzato un po’ il grado di responsabilità, hai voglia di condividere con gli altri anche pensieri, o sentimenti non esclusivamente lavorativi. e questo fa si che una persona trovi il proprio centro e ci stia veramente bene”.

P: Tu dici “una bella età per continuare ad essere professionista”, però se ti chiedo di dirmi la tua idea di felicità, di declinarmi il concetto di benessere interiore, tu lo leghi intimamente alla tua vita familiare, ai figli, alla tua relazione con Ilaria, oppure c’è questo “demone professionale” che continua a pulsare? Hai questa vocina dentro che ti dice “Si va bene, hai 40 anni, però successo chiama successo, sei un’icona”; cioè, non puoi pensare ad uno stato di grazia che non sia quello di sollevare la coppa che ti manca… Questa vocina riesci in qualche modo a soffocarla, ti basta incrociare il sorriso di uno dei tuoi figli, oppure continui a sentirla?

B: Ti faccio i complimenti perché hai fatto una domanda che è figlia, è frutto di una riflessione che pensavo potessero fare solo i diretti… (interessati, ndr)

P: Questo vuol dire che la senti!

B: penso che ogni professionista, calciatore, sportivo che ha fatto una determinata strada e ha vissuto determinate emozioni, con questo…chiamiamolo demone, questa vocina, spesso si trova a dover dialogare, spesso anche in maniera conflittuale. Però è anche vero che una parte della vita, è un aspetto molto bello. Ti accende sempre la fiamma e fa si che dentro di te ci sia sempre bisogno di una sfida nuova; e per chi di sfide ha vissuto è sicuramente qualcosa di cui non puoi fare a mano.

P: E questa vocina ti sta dicendo ad esempio che basta allungare la mano, basta allungare il piede per andarsi a prendere, che ne so, quel record di Maldini di presenze in serie A, 647 se non ricordo male, e andata quest’anno, ci si può riprovare agevolmente l’anno prossimo se tu confermi quello che hai spesso detto in questo periodo: che in caso di vittoria della Champions si prosegue in eterno, sino alle porte di...?

B: Ah ah, no perché poi si rischia di diventare pesanti e quello non mi va, e secondariamente perché arrivato ad una certa età secondo me uno fa fatica anche ad essere sereno nell’autovalutazione. Probabilmente c’è anche una sorta di paura nell’offendersi, cosa che io non ho, perché mi sono circondato di persone, amici, familiari, una compagna con i quali parlo spesso e volentieri e chiedo a loro dei consigli veri e reali, e anche del mio stato di salute da sportivo, perché secondo me un esterno alcune volte vede meglio di chi è protagonista. Detto questo credo che adesso sono ancora un calciatore, e fino a Giugno, anche per u senso di responsabilità importante nei confronti dei miei compagni, della mia società e dei dirigenti, che hanno sempre avuto fiducia in me, è giusto che io pensi solo a quello. Poi come abbiamo detto tante volte ho un legame di amicizia con il presidente, tant’è che ci incontreremo e decideremo il tutto, insieme e serenamente, perché alla fine le forzature non mi sono mai piaciute. Sono sempre stato uno orgoglioso di base, e quindi sono sempre stato considerato un punto fermo, un punto forte della mia squadra. Fin quando sarà cosi, fin quando anche gli altri penseranno questi, ci si potrà venire incontro ed andare avanti, altrimenti è giusto fermarsi.

P: Tornando invece alla dimensione più intima, mi incuriosiva capire, in questi primi 40 anni, qual è secondo te il ruolo che hai ricoperto meglio, o quello in cui hai sbagliato di più, scegli tu: il figlio, il padre, il campione, l’amico, il compagno… succede sempre che sono ruoli che si incrociano e sovrappongono, e spesso l’uno limita l’altro. Io osservandoti dall’esterno in tanti anni ho sempre percepito l’idea di una persona che vive le cose con un entusiasmo molto genuino, arrembante, quasi “Don Chisciottesco”, no? Una specie di romanticismo d’altri tempi. Uno che anche quando sbaglia, lo fa sempre in buona fede, spesso per eccesso di generosità. Dimmi se sto sbagliando o se mi sono avvicinato.

B: Si, in linea di massima penso di essere un personaggio così, una persona che ha quelle peculiarità e mi auguro che si percepiscano all’esterno. Vedendo, non dico il consenso, ma l’affetto che la gente tutta o quasi mi tributa quando mi incontra, mi fa capire che nei miei aspetti peggiori ma anche nei migliori hanno capito che non ho una maschera davanti a me , che non fingo. Secondo me è importante essere trasparenti, anche eccedendo a volte per far passare messaggi dove non c’è un secondo fine, non c’è un calcolo. Alcune volte questo mi ha portato problemi, però ho sempre avuto la serenità interiore di sapere che non è mai venuta meno la correttezza, e quando una persona è corretta secondo me alla fine la vita ti ripaga e non ti fa mai danno. E così è stato.

P: Questo è vero, però non hai risposto, in quale ruolo…

B: Penso di essere stato e di essere un grandissimo amico, quello si, perché nell’amicizia secondo me il sentimento prevalente dev’essere la lealtà, e in quello credo di non mancare. Sono un discreto genitore, però penso anche che si possa sempre far meglio, spendere più tempo e in maniera migliore con i propri figli; e anche un buon figliolo, nel senso che qualche grattacapo o qualcosa per cui ogni tanto vergognarsi sicuramente l’ho fatto provare ai miei genitori. Però di base loro conoscevano la mia essenza, la conoscono e sanno che sono stato e sono tuttora una persona sana, con dei valori. Poi possono piacere o non piacere, essere condivisi o meno.

P: Questo discreto genitore che futuro si immagina per i figli, che mi pare esibiscano già robuste attitudini calcistiche? Bisogna prepararsi, vista la difficoltà tremenda dei figli d’arte a portare sulle spalle certi cognomi leggendari, a parte qualche sporadica eccezione. Ti stai già attrezzando da questo punto di vista?

B: No devo dire che li sto lasciando andare a briglia sciolta, nel senso che Luis adesso ha 10 anni e Davide ce ne ha 8, di conseguenza penso che questa attitudine al calcio è stata naturale. Mi fa molto piacere che lo pratichino, ma più che altro che si divertano e facciano sport. Lo sport credo che sia il valore e il campo migliore per crescere in modo sano.

P: Una volta hai detto che “Le Ali Della Libertà”, film meraviglioso con Tim Robbins e Morgan Freeman, carico di significati, è il tuo film preferito; hai anche aggiunto “La libertà è il bene più prezioso che ho, non posso farne a meno”, e mi chiedevo se in tutta consapevolezza, sei assolutamente convinto di essere sempre stato libero, nella tua vita di uomo ma anche di calciatore professionista, di non esserti mai sentito prigioniero di certi ingranaggi, logiche perverse. Per esempio Socrates, fuoriclasse filosofo, diceva che non c’è nulla di più antisociale, di più omertoso del calcio, soprattutto ai vertici, che era un po’ quello che diceva Cruijff, infatti hanno fatto una rivoluzione per cercare di cambiare le cose. Buffon è sempre stato un “hombre vertical”?

B: Io penso di aver capito dopo qualche anno, dopo qualche uscita leggera che mi era consentita perché ero minorenne, oppure dopo i primi anni della maturità, per cui dopo qualche intervista sui generis penso di avere compreso il valore dello stare insieme agli altri, il valore del rispettare gli altri, fare gruppo ed essere spogliatoio. Magari ogni tanto in maniera provocatoria posso dire qualcosa o fare affermazioni sensazionali, ma in linea di massima prima di fare un’uscita, prima di parlare cerco sempre di capire se questo può provocare problemi alla mia squadra, al mio gruppo e di conseguenza anche a me. Però tornando alla libertà io penso che alla fine nessuno sia mai veramente libero no? Perché quando hai dei datori di lavoro, dei figli, degli amici, quando hai delle responsabilità, non potrai mai essere realmente libero, a meno che non abbandoni tutto e dici io non conosco più nessuno, vivo la mia vita in questo modo. Però c’è un modo molto importante di essere liberi, e quello no te lo potrà mai togliere nessuno: è quello che ti regala il cervello, la mente, con l’immaginazione.

P: Libertà vuol dire anche verità: tu ci hai mai raccontato qualche grandissima bugia? Anche nelle circostanze più spinose; per esempio, ci hai detto tutta la verità sull’ultima apocalisse azzurra, oppure secondo te la verità a volte collima con la ragion di stato?

B: Io penso che la verità debba tener conto anche del rispetto dei ruoli e del rispetto delle altre persone, perché è troppo facile proclamarsi paladini di una verità, se poi l’unico uso che ne viene fatto può essere quello di mancare di rispetto a qualcun altro, quello si.

P: Quindi qualcosa hai omesso…

B: Mah, qualcosa si omette sempre! Ma tutti!

P: Marotta ha detto delle cose importanti: ti ha proposto come uomo forte del Club Italia, chiaramente un’investitura che non può trovare d’accordo tutti, l’opinione pubblica e le correnti del calcio. Proviamo a capire se tu la condividi e se ti vedi un giorno in un ruolo importante, strategico, all’interno del Club Italia. Credo che sia molto difficile comprimere oltre 20 anni d’azzurro, il peso che ha il tuo cognome dentro una figura sbiadita. Come hai preso le parole di Marotta e come ti vedresti?

B: Chiaramente ringrazio pubblicamente il direttore perché ha dimostrato di avere una grande stima del sottoscritto. Chiaramente, visto e considerato che spesso e volentieri in questi ultimi tempi ho sentito, a ragion veduta o meno, adoperare il mio nome in maniera non proprio congrua, ci tengo a sottolineare e ci credo veramente, che almeno fino a fine Maggio non voglio pensare a niente che non sia il calcio e la Juventus. Questo è poco ma sicuro. Per quel che riguarda il futuro, è un libro ancora tutto da scrivere, però penso anche che il libro che ho scritto fino ad adesso debba ancora trovare la parola fine.

P: Provo a girarti la domanda; l’Italia “paese” ha percepito, nei giorni precedenti al match di ritorno con la Svezia, ma anche durante quella partita, una squadra dentro un’inaccettabile bolla anarchica, un grande caos tattico e gestionale. Un Buffon inserito in una circostanza come quella, con pieni poteri, in quale direzione avrebbe proceduto per evitare il naufragio?

B: Giorgio, io ti dico quello che penso: difficoltà ce ne sono in tutti i gruppi, a volte anche nel rapporto tra dirigenti e giocatori, o tra giocatori e staff tecnico. Però uno spirito, un’unità di intenti, ed un rispetto come quello che abbiamo avuto noi giocatori e anche tutti quelli che hanno fatto parte di questa spedizione, il ct, lo staff…dell’impegno e di quanto poteva incidere e pesare sulla Nazionale, non è mai venuto meno. Quando ci sono dei risultati così importanti da cogliere, non esiste che delle diatribe possano far si che una squadra si smembri. Ed infatti la conferma si è avuta nella partita di San Siro, perché se fosse stato tutto vero quello che si è scritto, a San Siro si sarebbe vista una squadra sfilacciata, molle, in preda alla paura. E’ stata una squadra che ha palesato dei grossi limiti, anche tecnici, l’abbiamo visto tutti, però è stata sempre in partita, dal 1’ al 90’, cercando di gettare sempre il cuore oltre l’ostacolo. Chiaramente non siamo stati e non siamo l’Italia di 20 anni fa, perché poi tu che conosci benissimo il calcio sai benissimo che noi con la Svezia non abbiamo mai fatto passeggiate. Anche 20 anni fa, che eravamo probabilmente i più forti del mondo, con la Svezia facevi 1-1, vincevi 2-1, perdevi 1-0. Di conseguenza in un momento storico simile ci può stare che tu perda là 1-0 perché prendi il palo, e che poi tu faccia 0-0 in casa. Però la squadra secondo me non ha mai dato segnali di non essere compatta, di essere “L’esercito di Franceschiello”.

P: Però tu sai che il problema più complesso è legato, come accennavi tu, alla crisi che attraversa il calcio italiano. Se tu fossi il nuovo presidente federale, quale sarebbe il primo provvedimento che faresti? Non so, mettere alla porta quelli che continuano a insegnare prima la tattica poi i fondamentali? Provare a inseguire l’utopia della necessità di mettere d’accordo i club sull’allearsi per il bene comune? Valorizzare il prodotto interno?

B: Mah, la prima cosa che farei probabilmente è che cercherei un dialogo, un contatto con il ministro dello sport e della scuola, e cercherei innanzitutto di far aumentare le ore di educazione fisica. Di far migliorare le palestre e le strutture nelle quali i ragazzi sono costretti ad allenarsi, perché in moltissimi casi sono fatiscenti, perché in moltissimi casi l’ora di educazione fisica viene passata magari facendo dell’altro perché non c’è lo spazio, non ci sono gli attrezzi per svolgere. Tutto questo fa sì che siamo una generazione che in generale, non solo calcisticamente, nello sport non riusciamo più ad emergere, perché ci mancano proprio le basi coordinative, le basi di coraggio, e quelle basi lì te le formi quando sei ragazzino, quando hai dai 6 ai 12 anni. Io vedevo, giusto che mi ero informato qualche mese fa, che in Belgio hanno cominciato a fare 10 ore alla settimana, di educazione fisica. Noi ne facciamo una o due, e spesso e volentieri poi in strutture fatiscente, per cui non ti permettono neanche di svolgerla. Questo secondo me è un cambio radicale perché è l’imprinting iniziale che spinge, l’abbrivio che spinge un ragazzo ad essere sportivo, ad amare lo sport, a volersi migliorare, a conoscere la competizione, la sofferenza. Tutto questo ci sta mancando.

P: se invece fossi tu quello chiamato a decidere il nuovo CT, altra figura che chissà un giorno potresti interpretare tu, tu punteresti, non parlo del traghettatore ma dell’uomo del rilancio, su uno di quei nomi pesanti che stanno girando? Conte, Mancini, Ancelotti? O punteresti su un federale? Oppure una scelta spiazzante? Questa nazionale ha bisogno di procedere con cautela o ha bisogno di una scossa , di uno shock, anche magari a costo di pagarne le conseguenze nel breve?

B: Io penso che questa nazionale abbia bisogno di una certezza, sicuramente. Perché aldilà che tu possa avere nella testa un progetto a medio termine, a lungo termine, chiamalo come vuoi, però nel frattempo sei sempre l’Italia, non ti puoi permettere di fare magari delle qualificazioni modeste o di rischiare di non andare nemmeno agli Europei, perché dici che fra 10 anni vedremo i risultati. No, fra 10 anni magari punteremo a vincere una qualche competizione, ma nel frattempo l’Italia deve cogliere qualche risultato, ecco, perché è un’impellenza che tu hai. Quindi l’idea che avrei io, insomma non avrei neanche nessun dubbio, ma non posso neanche palesarla, e pubblicizzarla… perché andrei sul sicuro senza rischiare tanto… La cosa che non farei sicuramente, perché a un certo punto sentivo: “cambiamo, facciamo un cambiamento radicale, CT straniero…”. No, per l’amor di Dio: anche quello non lo accetto. Il CT come un presidente della repubblica, deve pensare italiano, mangiare italiano, andare al bagno in italiano, leggere in italiano. Su quello proprio non transigo.

P: Uno come la figura di Ancelotti?

B: Diciamo che… diciamo che con Ancelotti non sbagli.

P: parliamo un po’ di politica invece. Volevo capire cosa pensi della politica attuale, te lo chiedo perché sono saltati fuori molti che ti corteggiano, c’è stato chi ti ha offerto addirittura un posto da ministro della cultura, in caso di vittoria della sua fazione…

B: dello sport!

P: Ma anche della cultura.

B: della cultura mi sembra un po’ esagerato! (ride, ndr)

P: Non facciamo nomi, ma c’è chi ha proposto pure quello. Mi domandavo come accogli tu questo tipo di proposte. Con fastidio? Ti lusingano? Sono un segnale, visto che sei molto autocritico, del fatto che in Italia la competenza specifica non è proprio determinante per arrivare a determinati posti, e devo dire che tu ci hai sempre fatto capire da che parte stai, che posizioni hai. Anche in questo hai sempre mostrato la tua diversità, perché il calciatore medio solitamente si nasconde dietro il pensiero omologato. Invece no, a grandi linee sappiamo che cosa pensi, e come ragioni su determinate cose. Se dovesse arrivare veramente una proposta di questo tipo, la valuteresti?

B: Adesso no sicuramente…

P: Dopo maggio, giugno…?

B: In futuro, potrebbe essere anche un qualcosa di interessante. Credo che il voler fare troppe cose poi si rischi poi di non far bene nulla. Di conseguenza vorrei cercare di finire quando sarà la mia carriera, e poi cercare una specializzazione, chiamiamola così, su un qualcosa. E però farlo bene. Perché secondo me è troppo importante la formazione, la credibilità con la quale tu approcci un lavoro, e l’autorevolezza con la quale tu ti presenti. Mancando quella, sei solo una banderuola, una canna al vento, che cerca di barcamenarsi. E io sinceramente quel tipo di immagine di me non ce l’ho.

P: io escludo che tu possa diventare una banderuola…

B: no però credo che ci voglia anche del tempo per potersi formare, per poter apprendere, potersi migliorare, l’attitudine, sicuramente.

P: Per esempio, lo sfogo dopo Italia-Svezia, in mondovisione, il prendersi le colpe, metterci la faccia, mentre altri correvano frettolosamente a preparare queste disperate arringhe difensive, hanno cementato questa tua immagine pubblica di capopopolo. Sei una specie di ultimo patriota, di quelli che lanciano la stampella oltre la barricata? Questo slancio risorgimentale che hai tu, inevitabilmente deve finire da qualche parte nel tuo dopo carriera…

B: No, diciamo…

P: Quando tu dici “Per la nazionale ci sono sempre”, è un concetto che va dilatato. Tu in quel momento stai dicendo: “io ci sono sempre per l’Italia”.

B: Diciamo che la parola “capopopolo” non mi piace perché mi sembra che abbia un’accezione negativa, populista.

P: io non parlo del demagogo, sì ho capito… Intendevo altro. Dicevo che in un momento in cui il paese è frantumato in divisioni varie, tu sei una specie di monolite.

B: Ecco, quello mi piacerebbe e sarebbe un qualcosa di gratificante. Però chiaramente la percezione che hanno le persone di me è un qualcosa che adesso piano piano è tangibile, ma è anche vero che adesso io sono sulla cresta dell’onda, perché continuo a giocare e a essere una persona spesso e volentieri in copertina, di copertina, e ho anche una maggior forza nel momento in cui esterno un pensiero. Quando poi le luci della ribalta verranno meno, bisogna vedere se questo tipo di forza e riconoscimento ci sarà ancora.

P: Senti, nel frattempo George Weah, grandissimo del Milan, ex pallone d’oro, ha preso il potere in Liberia, il suo stato africano. Al di là delle specificità in cui ha vinto le elezioni, è la conferma che il fuoriclasse di carisma può arrivare dappertutto. Secondo te che tipo di morale va tratta da questa cosa qui? È un precedente pericoloso, è un precedente incoraggiante, vuoi essere tu il secondo calciatore capo di stato della storia?

B: No, è un precedente bello. Secondo me è anche incoraggiante. Ti indica anche il tipo di influenza e di forza che ha lo sport, in questo caso il calcio, nella testa e nell’anima delle persone. Credo che poi chi è stato abituato a competere in maniera leale, per tutta la vita, e quindi a condividere con un gruppo di persone, avere degli avversari che però non erano nemici – e quindi c’è sempre una sorta di rispetto anche nei loro confronti – , l’accettare sempre la sconfitta o la vittoria, tutto questo fa sì che una persona che ha praticato sport abbia veramente tante armi per gestire i vari momenti di difficoltà che ci possono essere in una legislatura. E possa ugualmente trovare il modo di compattare un paese intero, e tutte le sensibilità e le sfaccettature che può avere, e le complessità, che può avere un paese.

P: A proposito di felicità, e di rispetto, ti posso chiedere entrando un attimino nella tua sfera più privata e intima, su quali dinamiche si regge il tuo rapporto con Ilaria? Te lo chiedo perché dall’esterno sembra che ci sia una formidabile alchimia, e soprattutto l’assenza dell’antagonismo che spesso affiora nelle coppie molto esposte, che hanno un’immagine pubblica. Qui invece sembra che ci sia una comunione d’intenti, un equilibrio veramente prodigioso. Mi sbaglio, è corretta come analisi?

B: No, è un’analisi giusta, penso che dipenda proprio dai caratteri che abbiamo. Io a parte in qualche fase adolescenziale poi non sono mai stato invidioso degli altri, per nulla, ho sempre cercato di lavorare per avere io determinati risultati e per conquistarmi la celebrità, un posto al sole, chiamiamolo così. Ilaria è la stessa cosa, viviamo questo rapporto simbiotico, e io ho sempre la fiducia e la speranza e la gioia che Ilaria possa arrivare a risultati stratosferici. Come sento la sua partecipazione quando le cose toccano me, e non c’è niente di più bello, perché l’essere grandi, l’essere maturi significa proprio quello. Ecco, dare un senso alle cose è capire quelle che sono utili, o quelle che servono di facciata ma non hanno importanza.

P: e devo dire che anche osservando le cose dall’esterno, ti ha molto migliorato. Vuoi dirmi tu in che cosa?

B: Diciamo che mi ha molto migliorato in determinati momenti della mia vita e della mia carriera. E io fidandomi ciecamente di lei, e penso che sia una cosa reciproca, sapendo le sue doti e capendo che in molte cose è migliore di me, è chiaro che quando ci ritroviamo insomma per discutere e analizzare determinate situazioni il suo consiglio lo tengo sempre ben presente come penso che anche lei tenga ben presente il mio quando ne ha bisogno.

P: senti, adesso che sei arrivato a quarant’anni puoi darci una spiegazione riguardo al tuo ruolo. Anche se è vero che hai cominciato da centrocampista offensivo, il tuo destino era tra i pali. Perché esistono i portieri? È una questione filosofica ma neanche tanto, e ci sono diverse correnti di pensiero. Grobelar, te lo ricordi, quello che faceva gli spaghetti, dice che i portieri esistono per far ridere la gente, sono dei pagliacci, dei clown. Zamora diceva che addirittura esistono per parare i peccati del mondo, e poi ci sono i narratori sud americani che esistono per affermare l’epica dell’eroe solitario. Io non so se tu hai affermato una tua teoria a proposito.

B: Alla fine sono come gli arbitri, cioè non se ne può fare a meno. Senza portieri e senza arbitri non si può giocare. Mentre invece senza un attaccante si gioca, senza un difensore si gioca…

P: così la metti terra terra…

B: tu vai troppo alto… (ride, ndr). E poi probabilmente è un ruolo epico, penso che sia l’aggettivo giusto.

P: quindi la famosa retorica della solitudine del portiere esiste.

B: ma sai, la solitudine… anche quello è un discorso veramente soggettivo, cioè nel senso che la solitudine ci può essere ogni tanto, in certi spezzoni in campo, però poi se hai un bel feeling con la squadre e con i tuoi difensori, con tutti quanti, la partita la vivi intensamente insieme a loro. E io secondo me negli ultimi dieci anni sono migliorato tanto in quello, e devo dire che mi diverto molto di più e mi prende molto di più il mio lavoro e la partita, vivendola in quel modo.

P: Con la storia della pazzia invece come la mettiamo? Perché nell’immaginario comune i portieri sono tutti pazzi. Anche quelli più controllati hanno una faccia scura, questa pazzia che alla fine esplode sempre, con la papera o con i guai giudiziari… Senza andare agli eccessi sudamericani di Higuita, etc… Siamo noi che esageriamo, cioè che attribuiamo al ruolo una dimensione mitologica, molto letteraria… Devo dire che anche tu scegliendo subito quel picchiatello di Thomas Nkono ci hai fatto capire subito in che direzione volevi andare. Cioè nella direzione dei pazzi o giù di lì.

B: Sì, sicuramente quella è stata la prima immagine che mi ha rapito, da bimbo, e mi ha avvicinato al ruolo.

P: Perché era matto, usciva di pugno…

B: Certo, c’era del folklore, usciva di pugno, faceva le capriole prima di rinviare… Cioè, aveva proprio questo atteggiamento e questa personalità o follia, chiamiamola come vogliamo che mi ha catturato. E mi sono accorto che inizialmente mi piaceva essere così, e penso di esserlo anche stato. E poi ho capito invece che mi piaceva di più parare bene e fare un altro tipo di carriera. Questo era proprio una scelta che ho dovuto fare. Perché quasi sempre il portiere folle o quello egocentrico non ha mai il sinonimo, non equivale mai all’affidabile. E secondo me alla fine un gran portiere deve essere affidabile, almeno in campo. Poi dopo nella vita privata, può fare come vuole. Però in campo tu secondo me devi dare sempre la sensazione di essere centrato, di essere affidabile, di essere solido. E questa sensazione la trasmetti alla squadra, ai tuoi compagni, e anche agli avversari.