Goran Pandev non finisce mai

Serie A

Mattia Pianezzi

Proprio quando sembrava ormai prossimo al ritiro, Pandev ha ritrovato il posto da titolare e sta trascinando il Genoa alla salvezza

Siamo a marzo del 2018 e stiamo ancora parlando di Pandev. Viene persino difficile pensare ad un campionato italiano in cui Goran Pandev non sia presente, ma non è certamente colpa della nostra memoria: Pandev gioca in Serie A da quindici anni. Per capirci, YouTube è stato inventato due anni dopo il primo anno “da grande” del macedone nella massima serie, in prestito all’Ancona nel 2003. Per un insieme di abilità e contingenze Pandev si è anche ritrovato con un palmarès affollato di trofei: dal campionato primavera e il torneo Viareggio con l’Inter alle coppe Italia con Lazio, Inter (2) e Napoli (2), due supercoppe, un campionato, la Champions League e la Coppa del Mondo per Club con l’Inter, oltre a campionato turco e coppa di Turchia col Galatasaray.

Il momento più alto della sua carriera è stato, oltre al Triplete, il gol del 3 a 2 con cui l’Inter riuscì a rimontare il Bayern Monaco in Champions League due anni dopo, vincendo 3 a 2. Dentro quella squadra Pandev era stato una sorta di dodicesimo uomo, un’arma tattica da utilizzare a gara in corso oppure in partite in cui poteva far comodo la sua pericolosità negli ultimi metri.

Forse è anche per questa usura in fondo limitata che Pandev si è conservato così bene fisicamente. Vedendolo muoversi non sembra così diverso da quando giocava nella Lazio, più di dieci anni fa, e aveva già pochi capelli. Quest’anno al Genoa Pandev sta vivendo la sua settima avventura come giocatore importante, la sua settima vita da professionista dopo esser passato da Belasica, Ancona, Lazio, Inter, Napoli, Galatasaray, nell’anno dei suoi 35 anni. E se certo di splendidi trentacinquenni il nostro campionato non è mai stato avaro, il ritorno del macedone è stato forse così inaspettato da nascondere questioni più grandi. Per dare la misura dell’eccezionalità della cosa, basti dire che Pandev è tornato ad essere titolare per la prima volta dal 2012/13, quando con il Napoli aveva messo insieme 25 presenze dal primo minuto.

Leader all’improvviso

Pandev sembra più basso di quanto lo sia in realtà (1 metro e 84). Un po’ lo deve alle sue gambe corte, che ne abbassano il baricentro ma ne diminuiscono anche la figura, e al torso ampio. Ne viene fuori una figura tozza, un personaggio anti-glamour, che fa rima col suo essere un tipo riservato, lontano dai riflettori. Per dire, il macedone ha un account Instagram aperto in Turchia in cui ci sono tre foto e nessuna conferma che possa essere davvero quello ufficiale.

Eppure Pandev, è diventato una bandiera di questo Genoa, all’improvviso, nonostante sia arrivato in rossoblù nel 2015, tre anni fa, e nonostante sulla panchina ci sia Davide Ballardini, con cui Pandev aveva litigato ai tempi della Lazio: con Pandev sono in debito da tanto tempo, fui stupido a non farlo giocare e metterlo fuori rosa, adesso me lo godo», ha dichiarato di recente Ballardini. «Ha uno spessore diverso da ogni altro giocatore, è serio, umile e in grande condizione fisica: traina lo spogliatoio, ce lo teniamo stretto».

Dopo la sconfitta dell’ultima giornata col Bologna Pandev è stato interpellato come fosse il comandante della spedizione genoana; in una partita complicata gli uomini di mister Ballardini si sono trovati ad inseguire in trasferta, sotto di due gol. A pochi minuti dalla fine, a partite praticamente conclusa, Pandev si avvina alla palla per battere un innocua punizione da 40 metri ma, come fosse in allenamento, tira all'improvviso con un esterno sinistro quasi annoiato. Mirante ci arriva con grande fatica, mettendo in calcio d'angolo. È un'azione di per sé non così imortante, ma che la dice lunga sui mezzi tecnici di Goran Pandev e sulla sua sensazione d'onnipotenza di questo periodo, in cui sembra potergli riuscire più o meno tutto.

Arrivare a questo grado di fiducia e centralità in un progetto come quello del Genoa non è semplice, una squadra che spesso dopo ogni sessione di mercato un cantiere a cielo aperto (è il fante delle plusvalenze sotto il re Udinese): non è facile la situazione per nessun tecnico, che si ritrova una squadra deresponsabilizzata, i tifosi con la luna storta, una società distante, e molto lavoro da fare.

Già lo scorso anno Pandev, sempre da quasi invisibile, riuscì a dare un contributo decisivo alla salvezza del Genoa. Sono stati i suoi gol contro Lazio e Inter - un un pareggio e una vittoria contro due delle sue ex squadre - a dare una grossa mano alla salvezza del Genoa di Juric, tornato dopo l’esonero. Il gioco del tecnico croato puntava molto sulle catene laterali e sullo sviluppo offensivo aveva nel cross l’approdo naturale, un sistema in cui il macedone era poco funzionale. Ma la rigidità di Juric ha portato al suo esonero dopo la sconfitta nel derby della lanterna, un netto due a zero.

Centralità tattica

Con Ballardini in panchina Pandev è passato da un minutaggio di 34,6 per partita a uno di 76, scrollandosi di dosso l’immagine del giocatore a fine carriera, utile al massimo nelle situazioni disperate che possono crearsi nei minuti finali. Esclusa l’ultima sconfitta, il Genoa con Ballardini ha tenuto una media punti da Champions League, coronando il suo grande periodo con la vittoria contro l’Inter per 2 a 0.

Pandev è stato uno dei maggiori protagonisti di questo nuovo corso, insieme a Diego Laxalt. I suoi tre gol, segnati negli ultimi tre mesi, hanno fruttato 9 punti alla squadra, issandola di peso dalla zona retrocessione. Per dare delle proporzioni, i suoi gol hanno fruttato il 30% dei punti attuali del Genoa.

Con il nuovo sistema tattico il Genoa è una squadra meno verticale, che sa andare a più velocità, scalando le marce. La manovra passa meno per le catene laterali e di più per il centro, dove Pandev è il punto di riferimento per disorientare, controllare, muovere le transizioni e dare i tempi agli inserimenti dei centrocampisti. I terzini rimangono più bloccati, mentre i mediani vanno molto di più oltre la difesa, soprattutto con Hiljemark. In questo contesto Pandev ha acquisito fiducia e importanza: tira di più, fraseggia più stretto, lavora benissimo spalle alla porta o alle brutte prende fallo e fa salire la squadra. Come nei suoi anni migliori, il gioco spalle alla porta è il punto di forza più chiaro del gioco di Pandev, grazie al baricentro basso, all’uso del corpo, ma anche a una sensibilità tecnica col sinistro che rimane di primo livello.

Gli smarcamenti di Pandev sulla trequarti, la sua capacità di individuare delle tasche di spazio in cui disordinare le linee avversarie, sono il primo motore delle azioni del Genoa. Dalla sua capacità di far avanzare la manovra, pulendo verticalizzazioni anche frettolose, si innescano gli automatismi di una manovra d’attacco spesso spartana ma mai troppo semplice da gestire per le difese avversarie.

Il gol con la Lazio rappresenta tutti gli automatismi che si possono mettere in moto nei rossoblù, che compongono un attacco eterodosso, che non lascia molti punti di riferimento alle difese avversarie. Pandev non solo fa la sponda a Rigoni mentre Hiljemark si allarga incrociando armonicamente, ma fa un movimento speculare a quello dello svedese in ritardo di quei secondi giusti per ricevere il pallone servito dalla fascia e lasciatogli da Galabinov. 

È giusto dire che è nel contesto tutto corsa e sacrificio del Genoa di Ballardini che le qualità tecniche di Pandev sono risultate così indispensabili. Da quando, ormai più di un mese fa, si è infortunato Adel Taarabt, Pandev si è assunto ancora più responsabilità creative, dando alla squadra una qualità che altrimenti mancherebbe del tutto. 

Goran Pandev cava l'oro da una situazione tattica apparentemente morta, con un po' di fortuna, ma anche con una reattività nello stretto quasi inspiegabile per un calciatore nato nel 1984.

Perinetti, il Direttore Generale del Genoa, ha detto che i meriti mentali di questa ripresa sono di Ballardini, che ha responsabilizzato Pandev all’interno della rosa e non l’ha fatto sentire qualcuno andato a Genoa a svernare o a sparare gli ultimi proiettili di una pistola scarica, bensì a guidare un’armata con un obiettivo chiaro nella testa.

La dolce settima vita di Pandev conferma che le squadre di calcio non sono somme di anni, centimetri e abilità, e che se inserito bene c’è ancora spazio per il calciatore macedone più forte di sempre.