Esclusiva Miccichè, Presidente Lega Serie A: cambiamo la legge sulla responsabilità oggettiva
Serie ANella lunga intervista esclusiva realizzata dal direttore di Sky Sport, Federico Ferri, al numero uno della Lega di Serie A, si parte dal passato per arrivare al futuro della Confindustria del calcio. Miccichè parla di finanza del pallone, leggi, ma anche di progetti e responsabilità. “Voglio una Lega più unita e dobbiamo aprirci a nuovi mercati”. Sulla pirateria: “Danneggia tutto il calcio, non solo le tv”. Lo speciale in onda venerdì 26 ottobre su Sky Serie A alle 20.30 e a mezzanotte su Sky Sport Uno
Da marzo 2018 è il numero uno della Serie A. Gaetano Miccichè parla in esclusiva al direttore di Sky Sport, Federico Ferri. Ne nasce uno speciale in cui il “banchiere uomo di sport”, come lo ha definito Malagò, si racconta a 360°: calcio e sport, da dirigente e da appassionato. Toccando tutti gli argomenti d’attualità, dalla situazione del calcio italiano alla pirateria. Dal rapporto con i tifosi, alle leggi per contrastare i condizionamenti della malavita organizzata, fino al pugno duro “per allontanare gli avventurieri del calcio”. Alla nuova governace della Lega, agli esempi inglesi, guardando anche oltre il pallone, puntando- per rilanciare il nostro calcio- alla valorizzazione del prodotto “oltre i 90 minuti”.
Nel mondo economico, dell’industria e delle istituzioni politiche e finanziarie lei non ha bisogno di presentazioni. Come si è presentato ad un mondo relativamente nuovo, come quello del calcio?
Per me è stato un arrivo abbastanza imprevisto. Tutto è partito da una richiesta fatta da presidente del Coni del tutto inaspettata e che poi si è realizzata nell’arco di due mesi. Dal voto unanime che ho avuto in assemblea e che per me era importante: non tanto di autorità o autorevolezza, ma volevo essere sicuro che ci fosse condivisione su un personaggio che non veniva dal mondo dello sport. Lavoro da oltre 40 anni nel mondo dell’industria, della finanza e delle banche e credo che la qualità del proprio lavoro possa esprimersi in qualunque settore, al di là del fatto di essere un industriale, un banchiere, un finanziere o un giocatore di calcio.
Miccichè e il calcio: passione o lavoro? Ci racconta questa storia?
E’ una storia abbastanza tradizionale: quella di un ragazzo del Sud che, da bambino, come tutti, si appassiona al pallone e ad una squadra. Poi ognuno ha un percorso, quasi per tutti iper dilettantistico come è stato il mio, fatto di squadre, amici, che però mi ha visto diventare sempre più appassionato. Devo dire che sono un appassionato di tutti gli sport: penso di aver conquistato Malagò parlando di tutto, dal tennis, all’automobilismo, dallo sci fino al golf, anche se non l’ho mai praticato. Considero lo sport un grande compagno di vita e suggerisco a chi non è appassionato di diventarlo, perché ti accompagna dalla gioventù fino all’età adulta.
Quale era la squadra per cui faceva il tifo?
Come tutti ho tifato per la squadra della mia città. A quei tempi il Palermo non faceva grandi risultati, anche se il presidente era un grande amico di famiglia e un grande signore: Renzo Barbera, definito l’ultimo Gattopardo. Poi nell’ultimo decennio c’è stato un percorso importante, da Dybala a Cavani, a Barzagli. Tanti giocatori sono passati da Palermo che ha avuto diverse stagioni interessanti.
Che ruolo occupa nel suo percorso professionale questa nomina?
E’ un ruolo importante. Io cerco di dare sempre il meglio in tutto quello che faccio. Ma soprattutto mi trovo particolarmente interessato ed impegnato dove vedo che c’è un potenziale. In qualunque realtà societaria quello che interessa è: il mio prodotto, il mio servizio ha dei consumatori? Riesco a venderlo? Occuparsi di sport e, nello specifico, di calcio e di Serie A, vuole dire avere decine e decine di milioni di appassionati. Ho trovato da subito un grande di percorso di potenzialità da fare con le squadre e con tutti gli stakeholders.
Quali sono le priorità del Presidente della Serie A?
La prima è quella di convincere tutti che l’interesse generale è molto più importante degli interessi particolari… E’ quello che può avvenire in un buon condominio dove tutti gestiscono al meglio l’esistenza di un palazzo.
La FIGC ha un nuovo presidente eletto all’unanimità, anche grazie al voto della Serie A. Cosa vi ha spinto a dare la fiducia a Gravina e cosa si aspetta?
Io ho rappresentato i miei 20 azionisti con un ragionamento di grande pragmatismo. Veniamo da un periodo di commissariamento e quando è così vuol dire che c’è qualcosa che non va bene, significa che ci sono stati dei difetti insormontabili che non si sono riusciti a modificare. L’idea di dividersi ancora sarebbe stato il peggior segnale che potessimo dare. C’era una candidatura di piena autorevolezza e di leadership rappresentata da Gabriele Gravina e che già aveva una maggioranza qualificata. Io ho chiesto all’assemblea di appoggiare Gravina e di non ricercare alternative che probabilmente avrebbero creato ulteriori spaccature in un momento difficile. Ma solo dopo aver verificato che le idee di Gravina fossero quelle della Serie A: nessun ius primae noctis, nessun diritto di autorevolezza della Serie A, però noi rappresentiamo il calcio per la storia, dei club, dei presidenti, dei giocatori e degli allenatori. Il mondo della Serie A merita un rispetto che, nella considerazione dell’interesse generale, senza prepotenze, spero che con Gravina riusciremo ad avere.
Il calcio italiano sta attraversando un periodo difficile, culminato con la non qualificazione all’ultimo Mondiale. Non crede che questa situazione sia considerata dai club di Serie A un po’ distante, come se riguardasse solo la Nazionale?
Devo dire che nella Lega Serie A ho trovato un certo atteggiamento di sufficienza verso il resto del mondo, un po’ da primi della classe. Un po’ era presente, è vero: non nei confronti della Nazionale, che anzi ha un ruolo strettamente identificato con quello della Serie A. I giocatori azzurri al 98% fanno parte della Serie A. Se la nostra Nazionale va ai Mondiali è una valorizzazione implicita non solo per la nostra nazione, ma per qualunque giocatore. La parola responsabilità fa parte del mio Dna, questo non solo riguardo al calcio, ma al Paese. Tutti dobbiamo sentirci responsabili di quello che abbiamo intorno e di quello che avviene, non solo puntare l’indice, ritenendo che è solo colpa altrui.
Lei ha la responsabilità di cambiare il volto di questa Lega Calcio. E’ una missione chiara, che ha avuto fin dall’inizio. Non ha ancora un Amministratore Delegato: ci sta pensando, lo ritiene un ruolo necessario?
Le aziende, per funzionare, devono avere i livelli di governance tutti adeguati. L’assemblea è sana ed è composta da 20 presidenti pieni di suggerimenti, proposte e idee positive. Io sono in carica da fine maggio, di fatto da quattro mesi incluso agosto. Ci siamo dovuti occupare dei diritti televisivi, della partenza del campionato, dei calendari e di tutta una serie di complessità contingenti, ma adesso dobbiamo assolutamente attivarci e trovare la figura dell’AD. Per dare un’organizzazione dell’azienda più moderna, efficiente e più vocata allo sviluppo e all’internazionalizzazione. Se l’assemblea mi segue, spero nel giro di 15-20 giorni di poter individuare il nome giusto. Deve essere una persona che abbia l’ampio consenso. Non ha senso che io oggi prenda delle decisioni su tecnologie e altro, quando poi tra 15 giorni arriva l’Amministratore Delegato e si trova tutto già fatto. Come avviene in tutte le aziende normali e sane, tutto questo si fa insieme. Entro novembre dovrebbe essere tutto a posto.
Una delle sue qualità è quella di essere pragmatico. Nel discorso di insediamento, tra gli obiettivi, ha messo quello di aumentare profitti e ricavi. E allora, quali sono le leve su cui possono lavorare i club? C’è un modo per rendere le società più solide e profittevoli?
Sono un grandissimo appassionato dell’Italia, conosco perfettamente le problematiche che ha il nostro Paese, ma abbiamo delle straordinarietà uniche e delle potenzialità particolari. Le principali sono le nostre città: quello che penso fin dal giorno prima di diventare Presidente della Lega è che la partita di calcio debba diventare, non solo un momento di 90 minuti dove al termine si va via e si parla solo del risultato della propria squadra, ma che debba essere un’occasione per visitare l’Italia e arricchirsi. Le grandi città, ma anche le meraviglie delle nostre province. Arte, cultura, religione, cibo: dobbiamo cercare di spingere tutte le nostre meraviglie a livello internazionale e portare l’appassionato sportivo a vedere non solo la partita. Questo lo possiamo offrire solo noi in Italia. Se guardo ad altri paesi che vengono presi come esempio nel calcio, come la Premier League, al di là di Londra, quando giochi a Liverpool o a Manchester- dopo lo stadio, ci sono poche cose da andare a fare.
Si parla di nuovi criteri di iscrizioni ai campionati: lo auspica la Lega e ne ha parlato Gravina. Questi ci potranno mettere al riparo da nuovi casi-Parma? Si potranno dunque avere più certezze a proposito di eventuali nuove proprietà che entreranno nel mondo del calcio?
Parma è stato un caso emblematico di una situazione deficitaria che c’era. Si è intervenuti sia a livello di Federazione che di Lega. Il calcio deve diventare un settore per persone per bene. L’avventuriero che con pochi soldi si compra una squadra per poter poi vendere il proprio prodotto e avvantaggiarsi di quelli che sono i benefici territoriali ed ambientali, non deve nemmeno avvicinarsi. Per fare questo- dal momento che il mondo è pieno di gente non propriamente corretta- dobbiamo creare dei sistemi di verifica e di analisi iniziali molto rigorosi per far sì che chi diventa il presidente di una squadra di calcio debba avere dei requisiti, non solo attitudinali ed etici, ma patrimoniali, economici. Questo già è stato fatto, ma sicuramente con la mia presidenza si irrigidirà ancora di più.
Ai bambini, solo a nominare la Serie A, brillano gli occhi. Il brand Serie A è fortissimo: questo valore è condiviso dai club? Le società sono consapevoli del fatto che parte centrale del loro patrimonio è il campionato dove giocano? Negli sport americani il valore del brand è spinto al massimo livello: quanta strada c’è da fare?
Nella prima intervista che ho fatto da presidente di Lega, raccontai questa storia appena capitata, del mio nipotino di 5 anni che è andato per la prima volta allo stadio e poi la sera mio padre, cha ha 97 anni, mi ha chiamato per dirmi che stava guardando la partita alla televisione. Questo mi ha dato un flash, un’idea, su un bambino ed un anziano che entrambi si stavano appassionando e seguendo il calcio: questo ci deve dare una responsabilità e una profonda conoscenza del mondo che ci sta intorno. Lo ha detto molto bene, pochi giorni fa, il Presidente della Repubblica: abbiamo responsabilità per gli esempi che diamo. Nel mio primo intervento prima della finale di Coppa Italia mi permisi di anticiparlo, quando dissi ai presenti- giocatori ed allenatori- che noi abbiamo il dovere di rappresentare esempi virtuosi e sani perché tutti ci guardano. Questo è qualcosa che i club della Serie A, singolarmente, hanno. Devono solo generalizzarlo ed unire gli interessi.
Prima lei ha citato la Premier League, un esempio che lei conosce bene - e che conoscono bene i nostri abbonati che l’avranno sui nostri schermi anche per le prossime tre stagioni. Che cosa c’è di quel modello importabile in tempi rapidi in Italia che ancora non abbiamo? Quali peculiarità italiane possono invece impreziosire anche quello che è considerato già un modello top nel mondo come quello della Premier?
Il calcio è nato in Inghilterra, che è la patria un po’ del calcio, le partite che vedo da voi (Sky) sono interessantissime perché fino al 94’ il risultato non è acquisito. Non invidio molto le città, invidio la capacità di costruire nuove infrastrutture, quindi gli stadi che sono molto più moderni e accoglienti dei nostri. Loro hanno straordinariamente migliorato l’area dei ricavi. Noi eravamo leader assoluti 10 anni fa a livello di ricavi europei, se lei guarda la nostra linea di sviluppo di ricavi è orizzontale a quella della Gran Bretagna e altri paesi.
Soprattutto per quelli del mercato estero.
Sì, questo è stato dovuto con l’arrivo di investitori e sponsor internazionali. E’ il tema che dobbiamo affrontare, di promuovere sempre di più il nostro prodotto, il nostro sport a livello internazionale, aggiungendo accanto ad ogni squadra anche il valore indiscutibile delle nostre città, delle zone, deve far sì di attirare sempre più sponsor e investitori di qualità.
In concreto, cosa si può fare per aumentare la qualità e la competitività del nostro campionato? Non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello della spettacolarità per il pubblico, in una stagione in cui anche per acquisti fatti un pezzo di strada rispetto al passato è stato fatto...
C’è sempre sempre da migliorare. Mi lasci fare l’esempio di Inter-Milan di 3 giorni fa. E’ stato un evento straordinario, 80 mila persone, non so quante televisioni collegate nel mondo o quanti miliardi di osservatori. Grazie a voi (Sky), l’evento non dura 90 minuti: c’è stato il prima e poi c’è stato il dopo, ma probabilmente quello dovrebbe essere un evento che dura un giorno e mezzo. Bisognerebbe- pensavo l’altro giorno con il sindaco Sala- andare a ragionare e dire “Perché non organizziamo la sera prima degli eventi teatrali, degli eventi musicali, un villaggio”. Far in modo che le persone siano attratte, dove il target è la partita di calcio, ma siccome non siamo, come si dice a Palermo “su un pizzo di montagna”, ma siamo in una realtà straordinaria, Milano, la Lombardia, l’Italia, vediamo di attirare di più con degli eventi e costruiamo insieme, diciamo un lavoro di squadra più completo.
Quando si ha un patrimonio, e la Serie A è certamente un patrimonio non soltanto dei club ma anche del paese, si cerca di farlo crescere e di difenderlo. Attualmente la Serie A, e non soltanto, è sotto attacco di quello che possiamo definire un furto: la pirateria per la visione delle partite in modo illecito con strumenti illeciti. Da questo punto di vista, qual è il livello di sensibilità della Lega Calcio? E se c’è un percorso in comune con le aziende come la nostra e soprattutto con le procure?
La sensibilità mia e della Serie A è massima, sono profondamente convinto che il fatturato, il ricavo, la prima riga del conto economico, fondamentale per qualsiasi azienda, oggi per il calcio ha visto una profonda modificazione. Dieci anni fa, l’80 per cento dei ricavi stavano nei ticket che si vendevano allo stadio, poi c’erano un po’ di sponsor e un po’ di televisione e di diritti televisivi. Adesso l’80 per cento più o meno o il 75 per cento proviene da diritti televisivi e da sponsor. Chi sono coloro che comprano i diritti televisivi e che effettuano sponsorizzazioni? Sono operatori di tutto il mondo, la sua è un’azienda (Sky) che è andata nel grande conglomerato di uno dei più grandi gruppi mondiali. Io immagino che i vostri dante causa guardano i paesi europei, i paesi sud americani, i paesi asiatici e poi guardano il tennis, il calcio, il golf, le serie televisive, il cinema, la musica e poi decidono, al di là di emozioni locali, dove investire, in funzione di quelli che sono i ricavi maggiori o minori. Se io non riesco, come paese, ad assicurare che quello che voi comprate e pagate non sia aggredito in modo delinquenziale da chi effettua la pirateria, il rischio serio è che Sky fra tre anni decida di investire più nel tennis, nel basket, o nelle serie televisive. E che alcuni sponsor preferiscono andare da qualche parte. Fatto questo chiarimento di grande considerazione del problema gigantesco, stiamo lavorando anche con Sky, con il Governo, con la Polizia Postale. Lunedì ho un incontro con l’AGCOM - dove spero possa venire anche qualche vostro rappresentante- di fondamentale rappresentanza per il futuro. Come avviene in tutti i contratti sani, una parte del contratto che c’è tra Lega e Sky, così come tra Lega e Perform Group è basata sul variabile, noi abbiamo una base sul fisso e poi sul variabile. E’ negli interessi di tutti che gli utenti e i consumatori di Sky crescano: se ci sono più consumatori, vuol dire che la Lega incassa più soldi, la Lega li distribuisce alla società, le società assumono persone, le società comprano giocatori, le società migliorano le infrastrutture… non so se rendo l’idea. E’ un tema assolutamente a cascata di cui beneficia tutto il settore.
Veniamo a una buona notizia: pochi giorni fa c’è stata l’ufficialità della data di inizio dei lavori del nuovo stadio dell’Atalanta, che partiranno dopo la fine di questo campionato. Questo stadio si aggiunge ad altri stadi rinnovati, di proprietà, comunque nuovi, più confortevoli, migliori. Da questo punto di vista, a che punto è il percorso e che cosa si aspetta da parte dei club per i prossimi anni?
Intanto un plauso alla famiglia Percassi: sono degli imprenditori bravi, sani e direi anticipatori in altri settori industriali. Il tema delle infrastrutture è fondamentale, è uno degli obiettivi importanti del programma della Lega A condiviso da Gravina. Io vorrei con i club, con il Credito Sportivo e poi con il sistema del credito italiano delle banche italiane lavorarci, perché infrastrutture vuol dire occupazione, viabilità, non è solamente lo stadio, vuol dire miglioramento comunque dell’urbanizzazione delle zone in cui si opera, anche questo è uno degli obiettivi non solo dello sport, ma del paese.
La recente inchiesta di Report, il programma di Rai Tre, a proposito delle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle curve e dei rapporti fra club e curve (in particolare nella trasmissione si parlava della Juventus), ha riportando alla luce questo argomento molto delicato. Dalla sua posizione da quello che ha potuto vedere in questi mesi, pensa che i club possano essere o siano sotto ricatto da parte degli ultras?
Mi auguro di no. La delinquenza organizzata è un dramma in tutti i paesi, non solo in Italia. Ed è un dramma e non solo per lo sport. Tutti noi dobbiamo fare qualcosa, partendo dalla magistratura, dalla polizia e dagli organi di Governo. Per limitare eventuali ipotesi come quelle descritte, non userei la parola ricatto, ma userei eventuali forme di condizionamento. Stiamo lavorando per attuare una specie di 231 (la legge che regola il sistema punitivo delle persone giuridiche, ndr) dello sport. Nel momento in cui si rispettano alcune regole di comportamento, di sicurezza, di ordine all’interno dello stadio, si limitano le responsabilità oggettive dei club. Io ho sempre considerato spiacevole quando accade qualcosa all’interno dello stadio e la società ne viene riconosciuta responsabile e colpevole per la cosiddetta responsabilità oggettiva, senza che il presidente, i manager né coloro che operano per il club ne abbiano nessuna conoscenza. Se introdurremo per bene e velocemente queste nuove regole, si limiteranno i casi di responsabilità soggettiva e limitando i casi di responsabilità soggettiva a mio avviso si limitano anche i potenziali condizionamenti della malavita organizzata.
E’ pensabile un superamento dell’attuale modo di intendere e di applicare le sentenze della giustizia sportiva, il principio di responsabilità oggettiva, o se vi farete promotori di questa cosa.
Credo che sia una strada naturale da percorrere e ripeto che le società devono essere responsabili di ciò di cui loro sono artefici nel bene e nel male, e non possono essere considerate responsabili. Ripeto, dietro ogni società c’è un’organizzazione, c’è un sistema economico, spesso ci sono paesi o città, tifosi, e indotti importanti, quindi bisogna far sì che le società si sentano responsabili solamente di ciò di cui operano, non di cose che poi gli vengono imputate per responsabilità altrui.
Da questo punto di vista si può contribuire anche a migliorare gli aspetti, che abbiamo visto non solo in questa inchiesta ma anche in passato, magari più deteriori, della triangolazione che poi si crea inevitabilmente fra società, forze dell’ordine e ultras nella gestione, della limitazione dei rischi che questi ultras possono provocare.
Assolutamente. Questo è quello che stiamo facendo. Abbiamo fatto delle riunioni anche al Comitato Olimpico insieme al Capo della Polizia e quindi credo che ci siano gli spazi e le intenzioni per poter operare e migliorare tutta la struttura.
Al suo primo giorno in via Rosellini, ha lanciato un messaggio molto forte di unità della Lega Calcio. Per nostra esperienza sappiamo che non è così facile. Sono venti soggetti molto distinti, con interessi diversi, oltre ad essere avversari sul campo, però in Lega no, in Lega si lavora per lo stesso obiettivo. Questo è un obiettivo ambizioso. Le chiedo quanti margini di certezza ha di riuscire a portarlo a casa e da questo punto di vista, anche nel contatto con i Presidenti, come vuole realizzare quella che è anche un po’ un’impresa?
Io la quasi totalità dei Presidenti delle attuali venti società di Serie A li conoscevo per motivi di lavoro. C’è da dire, e quindi bisogna sempre mettersi nei panni altrui con serietà, che sono tutti dei bravissimi imprenditori, delle persone serie e delle persone che hanno avuto successo nei loro campi di attività. E quindi questo porta a delle forti identità e delle forti convinzioni di essere quasi sempre nel giusto, quindi questo è un bel moloch che bisogna tentare di superare. A questo si aggiunge che sono tutti tifosi e quindi che sono poi giustamente tifosi e un po’ condizionati nel loro pensare anche da questo aspetto. Il lavoro c’è stato, c’è e ci sarà. L’unitarietà non è solamente un’utopia così accademica da raggiungere, unitarietà vuol dire discussioni, scambi, anche opinioni diverse, però, se c’è un obiettivo comune, allora tutto ciò diventa arricchente, propositivo, ci vuole certamente poi un momento conclusivo di sintesi e il dovere di questo momento di sintesi sta nel Presidente, insieme all’Amministratore Delegato, appena verrà nominato. Io sono molto soddisfatto del rapporto che ho con tutti e venti i miei Presidenti. Poi mi piace anche pensare ai Presidenti delle grandi società che sono in Champions League, che hanno vinto Scudetti e che hanno storie. E trovo altrettanto importanti e rispettabili i Presidenti delle società appena promosse, per la prima volta, che provano delle emozioni, dell’entusiasmo, e che talvolta facendo un pareggio fuori casa o una vittoria in casa trovano un momento di entusiasmo particolare. Credo che il mio lavoro sia quello di portare in evidenza tutto il bello che il calcio italiano esprime e può esprimere, che è veramente tanto.
Alla luce della stagione di successi che stiamo vivendo in questo inizio di Champions League. Ci descriviamo peggio di quello che siamo?
Questo non è solamente un difetto del calcio, ma credo un po’ nazionale, è un po’ l’idea di piangersi addosso e di andare a ricercare i difetti, anziché mettere in evidenza le virtù e le qualità, cosa che altri Paesi, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, e non mi riferisco al calcio, hanno delle forti identità dove mettere in evidenza le posizioni di forza dei loro paesi, quindi secondo me noi ci descriviamo peggio, abbiamo dei problemi, come li hanno tutti. Sono convinto che con questa nuova governance della FIGC, che è un po’ pletorica, perché quando vedo consigli con 20 persone un po’ mi viene l’ansia di chi parla prima e chi parla dopo, nel rispetto di tutte le componenti e quindi non dico che uno dovrebbe esserci e l’altro no, però mi piace la concretezza del fare. E quindi l’importante è che ci siano proposte serie e rapide condivisioni.
Che Lega ha trovato e che Lega sarà quella presieduta da lei?
Ho trovato una Lega che veniva dal commissariamento, breve commissariamento, per fortuna. I miei predecessori sono stati personaggi autorevoli, seri, validissimi e quindi nulla da dire. Ho trovato una Lega un po’ slim, un po’ magra nella sua organizzazione. Se io guardo la Premier League, la Liga o la Bundesliga, l’organizzazione delle leghe, non solo nelle numeriche ma nella qualificazione delle strutture, è molto più ampia. Ed è questo uno degli obiettivi principali da perseguire. Oggi nessuno opera solamente all’interno del proprio Paese, ma ognuno cerca di andare a ricercare le opportunità a livello mondiale: Asia, Medio Oriente, Sud America, Europa dell’Est, Nord America sono aree di grande interesse dove noi dobbiamo essere convinti di andare a offrire qualcosa di unico e particolare.