È morto Gigi Radice, da allenatore vinse l'ultimo scudetto del Torino nel 1976. Minuto di silenzio in A, B e C

Serie A

Lutto nel mondo del calcio: muore all'età di 83 anni Gigi Radice. Vinse tre scudetti e una Coppa Campioni col Milan da giocatore. In panchina lo storico scudetto col Torino del 1976. Per ricordarlo la FIGC ha disposto un minuto di raccoglimento in tutte le partite di Serie A, Serie B e Serie C

STADIUM, L'EMOZIONANTE RICORDO PER GIGI RADICE: VIDEO

Domenica sera Milan-Torino sarà la sua partita. Dieci anni da calciatore in rossonero, uno storico scudetto sulla panchina dei granata. Un grande del calcio italiano il cui ricordò vivrà per sempre. All’età di 83 anni è morto Luigi Radice, detto Gigi. Tra i più amati, se non il più amato insieme a Mondonico, dai tifosi del Toro, che conserveranno la sua immagine come quella dell’allenatore che portò in bacheca il settimo scudetto, l’ultimo della storia nel 1976 e il primo quasi trent’anni dopo quelli del Grande Torino. In panchina l’inizio in C col Monza e poi la guida, tra le altre, in Serie A di Fiorentina, Cagliari, Bologna, Inter, Roma e il suo Milan, dove è cresciuto nelle giovanili vincendo poi, da calciatore negli anni Cinquanta e Sessanta, tre scudetti e la prima storica Coppa dei Campioni a Wembley contro il Benfica.

Campione d'Europa

La sua storia inizia proprio da Milano: i colori rossoneri fin dalla più tenera età per un calciatore poco distanti dalla Brianza dove nasce, a Cesano Maderno. Di mestiere difensore, e per la precisione terzino sinistro, vincerà i primi due scudetti prima di passare a venticinque anni da Triestina e Padova. Lì due stagioni tra A e B: le prime presenze da titolare, l’esperienza guadagnata, i minuti (non tanto frequenti nel suo primo Milan) e poi il ritorno dalle parti di San Siro da protagonista. La sua firma sarà tra le più improntati sul tricolore del ’62 e sulla prima Coppa Campioni di sempre di una squadra italiana. 2-1 a Wembley nel ‘63, a battere il fortissimo Benfica di Eusebio. Poco dopo arriverà anche il ritiro dal pallone giocato, nel 1965.

I maestri olandesi

Il calcio però continua a scorrere nelle vene di Gigi Radice, che apre e chiude la sua storia da allenatore nel Monza, vicinissimo a casa. La prima avventura nel 1966, appena un anno dopo la fine della sua vita da terzino. La scalata è costante: serie C vinta al primo anno, poi la B anche col Cesena (dove conquista un’altra promozione) e il salto in A. La prima big del calcio italiano di Gigi Radice si chiama Fiorentina, nel 1973, gli stessi anni in cui nel mondo del pallone si sta affermando la bellezza del Calcio totale degli olandesi. Rinus Michels in panchina e Johann Cruijff in campo. Uno spettacolo che strega Radice e che lui vuole importare in Italia. Dopo la parentesi Cagliari ecco allora il Torino dei miracoli, quello dei gemelli del gol Pulici e Graziani e dei terzini “all’olandese”. Quello del pressing a tutto campo e della qualità del gioco. Quello dello spettacolo e delle vittorie. Nel 1976 le utopie prendono vita con il primo scudetto dalla tragedia di Superga e dagli anni del Grande Torino. Rimarrà l’ultimo della storia dei granata.

Con Graziani negli anni dell'ultimo scudetto del Toro

Gioco bello e divertente

Gli aneddoti sulla vita di Radice sono tanti. Ancora più che soltanto due settimane fa alcuni ex storici campioni di quel Torino si erano riuniti per la presentazione di un libro su di lui: “Gigi Radine: il calciatore, l’allenatore, l’uomo dagli occhi di ghiaccio” (scritto da Francesco Bramardo e Gino Strippoli). Una delle sua massime più frequenti era un manifesto del suo modo di vedere il pallone: “Noi non siamo qui per prendere in giro la gente ma dobbiamo offrire un calcio bello e divertente”. Filosofia che si sposava con quello che poi realmente si vedeva sul campo. Dopo l’impresa granata arrivarono un secondo, terzo e quinto posto col Toro, e la decisione di voltare pagina per nuova tappa della carriera con sede a Bologna. Dunque lo sciagurato Milan che retrocesse (non con lui) nel 1982 e tante altre avventure.

Chiusura del cerchio

Bari in B. Inter, di nuovo Torino dove nel 1985 trovò un altro secondo posto. Poi la Roma, dove il ricordo è molto affettuoso per quel gran bel calcio visto al Flaminio e non all’Olimpico in ristrutturazione per i Mondiali di casa del 1990. Dopo Bologna, Fiorentina e Cagliari bis, più il Genoa, l’ultima impresa di Radice fu la chiusura del cerchio. Monza alfa e omega, quando nel 1997 centrò la terza promozione in carriera e fece salire in B la sua prima squadra di sempre. Ora lo ricordano tutti. Col grande affetto che merita un’icona del calcio italiano.