Napoli-Bologna, Ancelotti contro Inzaghi: Pippo si gioca la panchina contro "papà" Carletto

Serie A

Vanni Spinella

Già "tradito" dal fratello Simone, che ha dato un serio scossone alla sua panchina, Inzaghi si gioca tutto nella sfida con il Napoli del suo maestro. Quello che alla vigilia della finale di Atene non sapeva se schierarlo, e che sa bene come Pippo sia pericoloso anche quando sembra "mezzo morto"

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I casi della vita, non si possono definire in altra maniera, né tentare di spiegarli dando loro un senso. Dopo lo scontro fratricida con Simone, dal quale è uscito con la panchina a pezzi, Pippo Inzaghi si gioca tutto contro papà Carletto e il suo Napoli. Detto in altra maniera: potrebbe essere proprio lui, quello che allenandolo per anni tra Juventus e Milan se l’è coccolato e gli ha insegnato con l’esempio il mestiere del mister, a dare il colpo di grazia alla sua panchina. Prima  e dopo, in ogni caso, saranno baci e abbracci, perché il passato, e quello che hanno costruito insieme, non potranno mai dimenticarlo.

Pippo&Carletto, l'inizio del romanzo

Ancelotti e Inzaghi iniziano a sfiorarsi nell’estate 1996. Il primo è un più che promettente bomber di 23 anni che sta lasciando il Parma per iniziare a costruirsi una carriera da fenomeno del gol all’Atalanta, il suo trampolino di lancio. Il secondo, in quell’estate, a Parma ci approda, anche lui nell’anno zero della sua carriera da fenomeno della panchina. Inzaghi chiuderà la stagione 96/97 da capocannoniere della Serie A (24 gol con la maglia dell’Atalanta), Ancelotti portando il Parma a un fantastico secondo posto (solo 2 punti in meno della Juve) mai più ripetuto nella storia del club. Pensate cosa potrebbero fare insieme, quei due. Ci pensa anche la Juventus, che prima si assicura Superpippo fresco re del gol e a febbraio del 99, dovendo sostituire Lippi, ci aggiunge Carletto: due stagioni e mezza in bianconero in cui ognuno fa il proprio mestiere ma non si raggiungono trofei. Il meglio deve ancora venire.

Il capolavoro di Atene

La svolta, per entrambi, si chiama Milan, e anche qui il primo ad arrivarci è Inzaghi, nell’estate 2001. Passano pochi mesi e a novembre, complice l’esonero di Terim e il fatto che Ancelotti sia libero sulla piazza, i due possono riunirsi. È il vero inizio della storia, fatto di trofei, alberi di Natale e grappoli di gol. Non mancano le delusioni, quella indelebile si chiama Istanbul, ma a voler vedere il disegno in tutta la sua grandezza, a posteriori ci si accorge che erano necessarie per rendere ancora più gustose le rivincite.  

Racconta Ancelotti che prima della finale di Atene del 2007, la famosa “rivincita” contro il Liverpool offerta dal destino due anni dopo la notte di Istanbul, l’unico dubbio che lo tormentava era legato all’attacco: Inzaghi o Gilardino, quale stella in cima all’albero di Natale? “Alberto stava meglio, Pippo era Pippo”, il ricordo di Ancelotti. “Ho scelto Inzaghi, ci ha regalato la Coppa con una doppietta”.

È il successo più grande della coppia Pippo&Carletto, quello su cui è più evidente l’impronta lasciata da ognuno dei due, non il primo perché insieme avevano già sollevato una Champions, nel 2003, in faccia alla Juventus, prendendosi una piccola rivincita sui bianconeri con cui si erano lasciati in modo freddino, se non proprio male nel caso dell’allenatore, a Torino mai veramente apprezzato. Anche quella volta, all’Old Trafford, Ancelotti aveva scelto Inzaghi, in quel caso come partner di Shevchenko poi diventato l’uomo del rigore decisivo: ma a Superpippo sono legate imprese come la doppietta al Bayern nel girone o il 3-2 sull’Ajax nei quarti di finale, quando Tomasson al 90’ è più inzaghesco di Inzaghi e si prende la gloria (solo quella del tabellino, per i tifosi rossoneri l’autore morale è Pippo) con il tocco sulla linea decisivo, e a fine torneo saranno 10 le sue reti, solo van Nistelrooy meglio di lui.

"Era mezzo morto, ma quelle sono le sue notti"

Non si contano nemmeno successi e record accumulati dai due, ma gira e rigira se devi pensare alla loro grande vittoria torni sempre ad Atene e a quella vigilia in cui, raccontò Ancelotti, “Anche se adesso non lo ammetterebbero mai, alcuni giocatori sono venuti a chiedermi una cosa: ‘Non farai mica giocare Pippo? Ma non vedi come sta?’. In effetti era mezzo morto, eppure sapevo che quelle erano le sue notti”. Non sta meglio il Pippo allenatore, che traballa sulla panchina scricchiolante del Bologna: ecco perché Ancelotti lo teme in particolare, alla vigilia della sfida con il suo Napoli: mai fidarsi di Superpippo, lui sa bene come sia capace di risorgere anche quando sembra mezzo morto.