Il centrocampista bianconero si è raccontato in occasione del workshop organizzato da Randstad all'Allianz Stadium: "Non è facile gestire un gruppo, ma il nostro allenatore c'è sempre riuscito". Poi su Ronaldo: "Un esempio di concentrazione". Infine sulla scelta legata alla Nazionale: "La francia mi contattò a 18 anni, ma la Bosnia era il mio sogno"
Il centrocampo della Juventus, ormai da tre anni, ha una costante. Si chiama Miralem Pjanic, che anche in questa stagione ha messo insieme la bellezza di 44 presenze. Insomma, Allegri non ci ha mai rinunciato. Lui che adesso è andato via: "Ma che è sempre stato eccezionale a gestire il nostro gruppo" Ha raccontato il bosniaco, presente al workshop organizzato da Randstad all'Allianz Stadium. Un occasione per una lunga chiacchierata, fatta di ricordi e aneddoti. Come quello legato alla Nazionale: "Potevo scegliere di giocare per la Francia, sportivamente parlando sarebbe stata la cosa migliore da fare - ha svelato Pjanic - a 18 anni, quando giocavo nel Lione, il Ct mi chiamò. Era interessato a me, peccato che poco tempo prima mi avesse contattato anche la Bosnia. E vestirne la maglia era sempre stato il mio sogno. Sarebbe stata l'opzione più complicata, ma a 17 anni avevo già deciso. In Brasile, nel 2014, abbiamo giocato il primo Mondiale della nostra storia, un grande orgoglio". Pjanic è riuscito ad acciuffare i suoi sogni. Grazie al talento, ma anche alla testa: "Un giocatore deve essere sempre concentrato - ha continuato - essere forti mentalmente è l'aspetto essenziale per un calciatore di alto livello. Un esempio è Cristiano Ronaldo. Ha sempre una concentrazione fuori dal comune, sia quando le cose vanno bene sia quando vanno meno bene. E' così forte nella testa e sicuro di sé che va sempre avanti".
"Se non avessi fatto il calciatore..."
Ma come si allena la testa? "Rialzandoti quando cadi - risponde a botta sicura il bosniaco - è lì che si vede che tipo di giocatore sei. Delle volte puoi avere tutti contro, dai giornalisti ai tifosi, ma devi dimostrare di essere forte". Pjanic lo sa, ha sempre corso verso un unico obiettivo: "E' difficile dire cosa avrei fatto se non fossi diventato un calciatore. Lo è perché anche a scuola, quando mi veniva chiesto, rispondevo sempre allo stesso modo. Mi vedevo solo su un campo di calcio". Uno sport che, con il passare del tempo, è inevitabilmente cambiato: "E' sempre più veloce, serve la perfezione per vincere tutto - spiega Pjanic - è un mondo in cui c'è tanta concorrenza, per questo devi sempre mettere in mostra le tue qualità. E' molto importante la vita fuori dal campo, dal momento che si gioca così come ci alleniamo o mangiamo. Io ho capito quali sono le mie qualità, non sono il più veloce, non faccio i dribbling come Douglas Costa, che quando ha il pallone vuole saltarne uno o due. Ma ricevo palla e cerco di giocarla semplice per velocizzare l'azione".
La guerra e gli inizi
Per Pjanic non è stato facile diventare un calciatore: "L'ho sempre avuto in mente e a 8/9 anni ho capito di avere qualcosa in più rispetto agli altri. Andai via di casa a 13 anni, quando accettai la proposta del Metz in Francia. Non fu semplice, ma per fortuna non ero poi così lontano dalla mia famiglia, che veniva a vedermi ogni fine settimana. Noi ragazzi dormivamo proprio davanti allo stadio. Lo guardavo e sognavo di gocare lì dentro". Sempre dietro ad un pallone, che lo ha portato a diventare famoso ma, soprattuto, che lo ha condotto lontano dalla guerra: "Più volte abbiamo dovuto provare ad avere un documento per lasciare il paese. Al terzo tentativo mia madre e io ci siamo messi a piangere per la disperazione. Poi alla fine siamo riusciti ad andare in Lussemburgo. Mio papà lavorava e giocava a calcio, l'ho sempre seguito come sportivo e come persona. Siamo andati via dal nostro paese con due buste e senza sapere la lingua, ma lui non ci ha mai fatto mancare niente".