Koulibaly a The Players' Tribune: "Napoli, Sarri e il razzismo: vi racconto la mia vita"

Serie A

Il difensore senegalese del Napoli racconta alcuni particolari inediti della sua vita calcistica e non solo in una lunga e toccante lettera scritta per The Players' Tribune

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“Siamo tutti fratelli”, è questo il titolo della lettera scritta da Kalidou Koulibaly per The Players' Tribune. Un lungo racconto a 360 gradi nel quale il difensore senegalese del Napoli si sofferma sugli episodi di razzismo di cui è stato vittima, racconta la sua infanzia, i momenti del suo arrivo in Italia, il primo incontro con Aurelio De Laurentiis e svela alcuni simpatici aneddoti anche legati a Maurizio Sarri.

"Razzismo? Finché non lo vivi, non riesci a capirlo"

Capitolo razzismo. “A volte la gente durante le interviste mi chiede: “Kouli, che cosa provi quando la gente ti fa ‘buu buu’? Non ti dà fastidio? Che cosa bisogna fare? Finché non lo vivi, non riesci veramente a capirlo. È una cosa talmente brutta ed è difficile parlarne”, si legge nella lettera scritta dal difensore del Napoli. “La prima volta che ho veramente vissuto il razzismo nel calcio è stato contro la Lazio qualche anno fa. Ogni volta che prendevo palla sentivo i tifosi che facevano dei versi da scimmia. Mi dicevo che forse me lo stavo solo immaginando. Quando è uscita la palla ho chiesto ai miei compagni: "Ma lo fanno solo a me?". Koulibaly racconta le sensazioni vissute durante lo spiacevole episodio: "La partita è ripresa e mi sono accorto che alcuni tifosi della Lazio facevano ‘buu buu’ ogni volta che toccavo la palla. È impossibile sapere cosa sia meglio fare in quel momento. Ci sono stati dei momenti in cui sarei voluto uscire dal campo per mandare un messaggio, ma poi mi sono detto che era proprio quello che si aspettavano che facessi. Ricordo che mi dicevo "Perché lo fanno? Perché sono nero? Non è normale essere nero in questo mondo?".

Le toccanti parole della giovane mascotte

"Stai facendo il gioco che ami come avevi fatto mille volte prima. Ti senti ferito. Ti senti insultato. Arrivi addirittura – si legge nella lettera scritta da Koulibaly – a un punto dove quasi ti vergogni.  Dopo un po' l'arbitro, il Sig. Irrati, ha fermato il gioco, mi è corso incontro e mi ha detto: "Kalidou, sto con te, non ti preoccupare. Facciamo finire questi ‘buu’. Se non vuoi finire la partita fammi sapere".  Penso che sia stato molto coraggioso, ma gli ho detto che volevo finire la partita. Hanno fatto un annuncio al pubblico e, dopo tre minuti, abbiamo ripreso a giocare. Ma i ‘buu’ non si sono fermati". Il difensore del Napoli ricorda poi un particolare episodio di quella triste sera: "Dopo il fischio finale camminavo verso il tunnel ed ero arrabbiatissimo, ma poi mi sono ricordato di qualcosa di importante. Prima della partita c’era una giovane mascotte con cui sono entrato in campo mano nella mano, mi aveva chiesto la maglia e gli avevo promesso di dargliela dopo la gara. Quindi mi sono girato e sono andato a cercarlo. L'ho trovato sugli spalti e gli ho dato la mia maglia. E indovinate la prima cosa che mi ha detto? "Chiedo scusa per quello che è successo". Mi ha colpito molto. Questo bambino chiedeva scusa per non so quanti adulti, e la prima cosa a cui pensava era come mi sentivo io. Gli ho detto: "Non fa niente. Ti ringrazio. Ciao". Questo è lo spirito di un bambino. È questo che manca al mondo in questo momento. Ci sono tre cose che non si possono comprare da nessuna parte: l’amicizia, la famiglia e la serenità. Spero che un giorno lo capiranno anche quelli che mi fanno "buu", prosegue Koulibaly.

"Il mio quartiere? Tutti fratelli, si giocava il Mondiale tutti i giorni"

Nella lunga lettera scritta per The Players' Tribune, Koulibaly dà ampio spazio alla sua infanzia. "Sono cresciuto in Francia in una città che si chiama Saint-Dié, dove c'erano tanti immigrati: senegalesi, marocchini, turchi. I miei genitori venivano dal Senegal. In realtà, mio padre è arrivato per primo, faceva il taglialegna". Koulbaly prosegue: "Mia madre racconta spesso della prima volta che siamo tornati in Senegal. Avevo sei anni e un po’ di paura. Era la prima volta che vedevo i miei nonni e i miei cugini ed era uno shock vedere come viveva la gente in altre parti del mondo. Tutti i bambini correvano scalzi e ci ero rimasto male. Mia madre dice che le supplicavo di andare al negozio e comprare delle scarpe per tutti, così potevo giocare a calcio con loro. Ma lei mi disse: "Kalidou, togliti le scarpe. Vai a giocare come loro. Alla fine mi sono tolto le scarpe di corsa e sono andato a giocare a piedi nudi con i miei cugini, ed è qui che inizia la mia storia con il calcio". Koulibalu sfoglia un’altra pagina del suo libro dei ricordi: "Quando siamo tornati in Francia giocavo tutti i giorni in un piccolo parco vicino a casa. Il campo era metà erba e metà cemento e spesso dovevamo fermare il gioco per lasciare passare le macchine. C’erano tantissimi immigrati nel quartiere quindi giocavamo Senegal contro Marocco, Turchia-Francia, Turchia-Senegal. Era come il mondiale tutti i giorni. Quando cresci in un ambiente del genere sono tutti tuoi fratelli. Eravamo neri, bianchi, arabi, africani, musulmani, cristiani, sì ma eravamo tutti francesi. Avevamo tutti fame, quindi si andava a mangiare tutti cucina turca, o venivano tutti a casa mia a mangiare piatti senegalesi", le parole del difensore del Napoli.

Che gaffe con Rafa Benitez!

Koulibaly svela un simpatico episodio legato al suo arrivo a Napoli: "Giocavo al Genk in Belgio e il mio amico Ahmed sarebbe venuto a stare da me per qualche giorno. Stavo aspettando che arrivasse in stazione quando ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto. Risposi in inglese: "Pronto, chi parla?", "Buongiorno, sono Rafa Benitez". Gli dissi: "Dai Ahmed, smettila di prendermi in giro. Sono qui ad aspettarti" e attaccai.  Mi chiamò di nuovo e iniziai ad arrabbiarmi. Gli dissi: "Dai Ahmed, basta. Sono qui. A che ora arrivi?". "Pronto? Sono Rafa Benitez". Attaccai di nuovo il telefono. Poi mi chiamò il mio procuratore e risposi. "Ciao Kouli, come stai? Hai già parlato con Rafa Benitez del Napoli? Ti chiamerà".  Gli risposi: "Cosa? Ma stai scherzando? Credo che mi abbia appena chiamato. Pensavo che fosse il mio amico a farmi uno scherzo!". Il mio procuratore allora chiamò Rafa per spiegargli cosa che era successo così lui mi richiamò e io risposi come se niente fosse. Mi fece mille domande: "Sei fidanzato, ti piace andare a ballare, conosci la città, i giocatori?". Koulibaly svela la sua gioia per la chiamata del Napoli: "A dir la verità non conoscevo veramente i giocatori e non sapevo niente della città ma ovviamente conoscevo Rafa Benitez e tutto quello che mi disse mi fece un’ottima impressione. Dopo la telefonata chiamai subito il mio procuratore e gli dissi: "Fai tutto quello che devi fare. Andiamo a Napoli". Mancavano solo 48 ore alla fine del mercato di gennaio e il Napoli non riuscì a raggiungere un accordo con il Genk. Ma Rafa mantenne la parola e mi prese quell’estate", ricorda il difensore.

Il "particolare" benvenuto di De Laurentiis

Estate 2014, inizia l’avventura di Koulibaly a Napoli. Il difensore svela un particolare aneddoto legato al primo incontro con Aurelio De Laurentiis: "Mi guardò un po’ storto e mi disse: "Quindi sei tu Koulibaly?", "Sì, sono Koulibaly", "Ma non sei alto? Ma non eri alto 1,92?", "No, presidente, sono alto 1,86", "Mannaggia! C’è scritto dappertutto che sei 1,92! Devo parlare con il Genk per avere dei soldi indietro!", "Nessun problema, presidente. Paghi pure il prezzo pieno, le darò ogni centimetro in campo, non si preoccupi". Gli piacque molto questa frase. Si mise a ridere e mi disse: "Va bene, sei il benvenuto qui a Napoli, Koulibaly. Benvenuto", racconta Kalidou. Che in Italia è cresciuto come calciatori e come uomo: "Ero un ragazzo quando sono arrivato in Italia. Sono diventato un calciatore migliore perché ho imparato la tattica ad alti livelli. Sono così precisi qui sulla tattica, ma la cosa più importante è che sono diventato un vero uomo di famiglia e un vero napoletano".

"Sarri? Un pazzo! Ma nel senso positivo del termine"

Il difensore azzurro svela un retroscena davvero particolare legato a Maurizio Sarri: "La cosa più bella è che mio figlio è nato qui. Non mi scorderò mai di quel giorno perché è una storia pazzesca che riassume perfettamente Napoli. Mia moglie era andata in ospedale la mattina e quella sera avremmo giocato contro il Sassuolo in casa. Eravamo in sala video ed il mio telefono continuava a vibrare. Di solito lo spengo ma ero preoccupato per mia moglie", racconta Koulibaly. "Il nostro allenatore all’epoca era Maurizio Sarri. È un tipo molto intenso, quindi non volevo rispondere. Alla fine uscii di corsa, risposi al telefono e mia moglie mi disse: "Devi venire subito, nostro figlio sta arrivando". Allora andai da Sarri e gli dissi: "Mister, mi scusi ma devo andare. Sta nascendo mio figlio!". Sarri mi guardò e mi rispose: "No, no, no. Ho bisogno di te stasera, Kouli. Mi servi davvero. Non puoi andare". Gli dissi: "Sta per nascere mio figlio, mister. Faccia quello che vuole. Mi dia una multa, una squalifica, non mi importa. Io vado". Sarri sembrava così stressato e fumava una sigaretta. Fumava, fumava e rifletteva e poi alla fine disse: "Va bene puoi andare in ospedale ma poi devi tornare per la partita stasera. Ho bisogno di te, Kouli!". Il difensore senegalese ricorda quella giornata così particolare: "Andai di corsa in ospedale. Se non sei diventato padre per la prima volta, non puoi capire questa sensazione. Non puoi perderti la nascita di tuo figlio. Arrivai a mezzogiorno e, grazie a Dio, alle 13:30 era nato un piccolo napoletano. L’abbiamo chiamato Seni. È stato il giorno più bello della mia vita. Alle 16 mi chiamò il mister. Questo tipo, devi capire… è pazzo. Lo dico nel senso positivo ma è pazzo! Mi disse: "Kouli? Ma torni? Ho bisogno di te. Ho veramente bisogno di te. Ti prego!", Mia moglie stava ancora recuperando le forze e probabilmente anche lei aveva bisogno di me. Ma non volevo deludere i miei compagni di squadra perché gli voglio davvero bene. E amo la città di Napoli. Mia moglie mi disse di andarci e io andai allo stadio. Stavo iniziando a prepararmi per giocare e Sarri entrò negli spogliatoi e attaccò l’undici di partenza al muro. Io cercavo, cercavo… Non c’era il mio numero. Mi aveva messo in panchina! Non mi aveva messo neanche titolare! Gli dissi: "Mister, mio figlio, mia moglie. Li ho lasciati lì. Mi ha detto che aveva bisogno di me". "Sì, abbiamo bisogno di te in panchina. Tutto quel casino e non giocavo neanche titolare! Ora che ci penso, mi viene da ridere, ma in quel momento mi veniva da piangere. Magari pensi che questa sia una storia negativa. Ma per me questa storia è tutto quello che amo di Napoli", conclude Koulibaly.