Juve, Sarri cita Sacchi: “Nel 2020 voglio vincere e convincere”

Serie A

L’allenatore della Juventus in esclusiva a Sky: “Siamo ancora in una fase in cui abbiamo degli alti e bassi. Ma è la mentalità italiana che è malata: il Liverpool campione d’Europa e del mondo nei primi 2 anni ha sofferto. Resto legatissimo a Napoli e a quel Napoli”

I primi mesi sulla panchina della Juventus, le prove di autorità in Champions, il doppio ko contro la Lazio che lascia il segno. A due giorni dall'amarezza in Supercoppa Italiana, Maurizio Sarri si racconta in una lunga intervista rilasciata a Sky e traccia un bilancio di questa seconda parte di 2019 bianconero.

 

Il 2019 è stato l’anno della conquista in Europa del Chelsea e quello del passaggio dalla Premier alla miglior squadra italiana. Che cosa significa per te?

Penso che l’esperienza in Premier mi abbia fatto crescere molto. Un campionato straordinario, per qualità tecniche ma anche per mentalità: in un anno in Inghilterra non ci hanno mai accolto con insulti in uno stadio avversario. Questi stadi pieni di bambini sono qualcosa che mi porto dentro e che vorrei rivedere anche in Italia. Purtroppo finora siamo ancora lontani.

Come sono i calciatori inglesi rispetto agli italiani?

Hanno questo carattere particolare: li vedo mangiare alle due e alle due e mezza sono già a lavorare in campo a ritmi infernali. E allora ti chiedi come faranno mai: probabilmente ce l’hanno nel Dna, qualcosa che appartiene alla storia di un popolo. Sono abituati alla battaglia da secoli per rimandare al mare gli aggressori e giocano di conseguenza. Noi siamo sempre stati un po’ più furbini, un po’ più tattici e facciamo lo stesso a modo nostro.

Qual è il ricordo più bello della tua esperienza inglese?

Il 4-1 in finale di Europa League contro l’Arsenal è la partita che naturalmente ci ha dato più soddisfazione. Abbiamo fatto anche qualche brutta partita, ma altre come il 2-0 in casa del Manchester City sono state stupende.

È stato questo che ti ha sdoganato come allenatore europeo?

Io mi sorprendo sempre un po’ quando sono stato invitato a Nyon in mezzo all’élite degli allenatori europei. Mi scappa un po’ da ridere: vengo dal basso, per me è un grande motivo d’orgoglio.

Il Napoli è rimasto ostaggio di Sarri e Sarri ostaggio del Napoli?

Questo non te lo posso dire da 800 chilometri di distanza. Io sono sempre legato all’ambiente e legatissimo a quel gruppo di giocatori che mi rimarrà sempre nel cuore e che mi ha permessi di fare un salto di qualità.

Sei un allenatore duttile?

Quando poi alla fine ti trovi ad allenare dei giocatori in grado di fare la differenza secondo me bisogna assecondarli. A Napoli piano piano ci eravamo resi conto che Higuain, Insigne Callejon e Mertens sugli esterni potevano esserlo e allora siamo andati a cambiare in questo senso.

È indietro la tua idea di Juventus?

Siamo ancora in una fase in cui abbiamo degli alti e bassi. Abbiamo dei momenti in cui giochiamo veramente da squadra, altri in cui ci perdiamo un attimino. Rientra nella normalità, è la nostra mentalità che è malata da questo punto di vista, perché pretendiamo tutto e subito. Il Liverpool di Klopp che è campione d’Europa e campione del mondo nei primi due anni ha fatto un undicesimo e un ottavo posto. Da noi purtroppo la mentalità è diversa e un po’ più difficile per avere un’evoluzione più lenta ma più duratura. L’aspetto strano è che prendiamo i gol in quelle situazioni dentro l’area di rigore in cui prima la Juventus era fortissima. Occorre tirare su dei ragazzi acerbi, per quello che è il nostro campionato e la mentalità del calcio italiano, come Demiral e De Ligt. Quindi un po’ di pazienza la dobbiamo avere.

Cos’è successo in Supercoppa Italiana?

Siamo arrivati con poche energie e le abbiamo pagate. Ci dispiace, lasciare un trofeo dispiace sempre. La squadra si è allungata, ha perso le distanze tra i reparti e tra i singoli. Quindi la Lazio ha giocato in pochi spazi e con tempo a disposizione. Questo non ci deve capitare.

Quale dev’essere l’obiettivo di questa Juventus?

A livello di Juventus non si possono fare grandi graduatorie. Questa è una società che vuole vincere, pur sapendo che in Europa la situazione è complicata. La Champions dev’essere un obiettivo, ma con a consapevolezza che un po’ per la forza degli avversari un po’ per il fatto di essere un torneo a eliminazione diretta ci potranno essere sempre rischi ed episodi. Il tridente? Dipende da chi considero in quel momento il giocatore che ci può far fare la differenza Bernardeschi in quel ruolo è quello che fa la fase difensiva migliore, Ramsey è un raccordatore di ottimo palleggio e di eguale talento.

Due 3-1 in pochi giorni: quello contro la Lazio è stato un doppio confronto che lascia il segno.

La Lazio in questo momento vive una condizione psicofisica straordinaria e come sempre quando hai entusiasmo e pensi positivo gli episodi sono tutti favorevoli. Il che vuol dire che non sono episodi. Quindi in questo momento è una squadra difficile da affrontare: se dovesse continuare per mesi e mesi su questi livelli sarebbe un avversario durissimo. Noi però dobbiamo pensare da Juventus e che dipende solo da noi. Dobbiamo diventare continui: le sensazioni in allenamento mi dicono che mi diverto molto di più rispetto a due mesi fa.

Qual è la parola per il 2020?

Continuare a vincere e convincere. Mi sembra di essere Arrigo, però è qualcosa di ancora attuale e vero: vincere meritando la vittoria, con il predominio sulle partite. Finora si è visto solo a sprazzi, ma fa tutto parte del percorso che ho detto prima.