Mancini a Sky: "Tacco nel derby il mio gol più bello. Spalletti numero uno"

Serie A

L'ex giocatore di Roma, Inter e Milan si è raccontato in diretta con #CasaSkySport: "Il tacco nel derby con la Lazio la mia rete più bella. Spalletti? Numero uno. Capello rispettato da tutti, anche da Cassano". Infine Mourinho: "Quella volta che perdemmo 3-0..."

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Sorride Alessandro Faioli Amantino. Noi tutti lo conosciamo come Mancini e il motivo del soprannome lo ha spiegato lui stesso in diretta con #CasaSkySport: "Nasce da Mansinho, che significa "mansueto". Da bambino avevo un carattere molto tranquillo, non piangevo mai e per questo mia madre ha iniziato a chiamarmi così. Mio fratello invece era "El gordo", perché era un po' più robusto (sorride ndr). Poi, quando sono arrivato a Belo Horizonte per giocare con l'Atletico Mineiro, l'allenatore mi disse che non potevo continuare a portare quel soprannome. Apparivo come un calciatore troppo dolce. E allora lo cambiò con Mancini".

Le difficoltà al Venezia

Ad agosto compirà 40 anni: "A parte la quarantena sto bene. Quando sarà finita la pandemia tornerò in Italia", promette. Lui che ha nel nostro paese una seconda casa. Ci è arrivato nel 2003 grazie alla Roma, che lo gira in prestito al Venezia. Tante le difficoltà: "Arrivai dal Brasile a gennaio, passai dai 30 gradi del mio paese ai -4 del nord. Per me fu molto dura, poi in Serie B allora si giocava sempre a palla alta e con lanci lunghi". Non il massimo per un giocatore tecnico come Mancini, che però riesce a reagire. "Imparai la lingua e questo mi aiutò tanto. Ho giocato pochissimo, però il periodo a Venezia mi è servito tanto per adattarmi al calcio italiano".

"Quando tornai a Roma Capello mi disse..."

Nell'estate del 2003 fa rientro alla Roma, ad aspettarlo c'è Capello: "Non fu facile presentarsi a Trigoria. A Venezia non avevo giocato praticamente mai e in più, non appena entrai nell'ufficio del mister durante il mio primo giorno, lui mi chiese: 'Perché non hai mai giocato lì?'. Non sapevo cosa rispondere. Poi, nel ritiro estivo in Austria, mi ha messo titolare fin dal primo giorno e non mi ha mai tolto. Lo ringrazierò per sempre per la fiducia. Nel mio primo anno a Roma ho fatto otto gol e più di 15 assist. Il tutto quando solo un anno prima ero un giocatore sconosciuto".

 

"Capello mi voleva alla Juve"

Alla Roma non era l'unico giocatore che con la palla ci sapeva fare. Con lui c'era anche Cassano: "Un giocatore eccezionale - spiega - che aveva una tecnica incredibile. Non era molto equilibrato mentalmente (ride), ma è stato un piacere giocare con lui". E poi, ovviamente, Francesco Totti: "Un onore condividere lo spogliatoio con lui. Aveva una qualità assurda, rappresentava la Roma. Era una persona umile, un capitano tranquillo. Era troppo forte. Diverso dagli altri". Chiosa ancora su Capello: "Lo rispettavano tutti, anche Cassano che ogni tanto sbroccava. Mi voleva con sè alla Juve? Sì, ma non ci sarei andato dopo il mio primo anno in giallorosso"

Il Tacco di Dio e la magia di Lione: "Spalletti il migliore"

Dai tifosi della Roma si fece amare fin da subito anche grazie al gol alla Lazio nel novembre del 2003, il famoso tacco di Dio: "Una rete memorabile, la prima con quella maglia. Colpii la palla con il tacco, un gesto tecnico incredibile. E' stato il mio gol più bello". Un'altra prodezza fu il doppio passo e il bolide con cui punì il Lione il 6 marzo nel 2007, ritorno degli ottavi di Champions: "Ne feci otto di passi intorno alla palla (ride ndr). Fu una notte splendida. In quegli anni il Lione aveva una squadra molto forte, da Juninho a Malouda e Fred. All'andata finì 0-0, giocammo benissimo ma fummo molto sfortunati. Al ritorno una partita fantastica, giocavamo a memoria". In panchina c'era Spalletti: "L'allenatore più forte che abbia mai avuto - afferma sicuro Mancini - voglio prenderlo come esempio, è stato un grandissimo. Giocare in quella Roma era un piacere, c'era un tasso tecnico sopra la media e un mister molto bravo. Luciano insegna calcio, ti fa capire un sacco di cose. Durante gli allenamenti, se necessario, ti prendeva anche per il braccio pur di farti assimilare i movimenti. Sul campo era il numero uno".

Mourinho, lo Special One che faceva da parafulmine

Dal 2008 al 2011, poi, ecco l'esperienza milanese: "Unica", la definisce così Mancini, che tuttavia prima non venne riscattato dal Milan: "Giocai subito tre partite e poi mi infortunai al flessore. Sono stato due mesi e mezzo fuori, quando sono rientrato era troppo tardi". E poi all'Inter non trovò molto spazio: "Il primo anno con Mourinho, ad un certo punto, trovai posto nel 4-3-3. Poi lui cambiò modulo Ma nel calcio funziona così, in una squadra giochi e in un'altra puoi avere delle difficoltà. Ringrazio comunque Moratti per la possibilità. In quel momento ero io a non essere al top, non è sempre colpa dell'allenatore". Mourinho, lo Special One. Non uno qualunque, soprattutto nella comunicazione: "Perdemmo una partita per 3-0 - ricorda Mancini - lui andò in conferenza e creò una polemica dal nulla. Il giorno dopo tutti parlavano di quello che aveva detto e nessuno della sconfitta. Anche questo rientra nella bravura di un allenatore".