La lettera di Saponara a Davide Astori: "Saresti fiero di me"
il ricordoIl centrocampista dello Spezia, in collaborazione con gli autori di "Cronache di Spogliatoio", ha scritto una lunga e toccante lettera al suo ex compagno di squadra ai tempi della Fiorentina, Davide Astori, scomparso prematuramente tre anni fa: "Mi hai lasciato una maturità superiore, oggi saresti fiero di me"
Il 4 marzo 2018 ci lasciava Davide Astori. Una scomparsa prematura che gettò nello sconforto la famiglia, i compagni di squadra, gli avversari e tutti i protagonisti del mondo sportivo e non solo. A tre anni di distanza da quel tragico avvenimento, Riccardo Saponara – oggi allo Spezia, uno dei suoi compagni ai tempi della Fiorentina – ha voluto scrivere una lunga e meravigliosa lettera in collaborazione con gli autori di “Cronache di Spogliatoio”.
La lettera di Saponara ad Astori
«Ricky, hai visto? La La Land ha vinto l’Oscar. Chissà se lo merita davvero».
«Non lo so Asto, ma appena esce in Italia ce lo dobbiamo vedere per forza. E lo giudichiamo senza pietà, come sempre».
«Va bene Ricky, vediamo se davvero si è meritato l’Oscar».
Inizia così, con il ricordo legato a un film, la lettera di Saponara che poi continua: “Se penso alla vita che si ferma improvvisamente, che ti lascia senza fiato e si spezza senza chiedere il permesso, penso a questo momento. Perché Davide era arredatore di interni, esperto di cinema di nicchia, cuoco, amante delle serie tv, il classico tuttologo. Non c’era cosa che non conoscesse. Un tipo strano per il calcio, ma il mio tipo preferito. Come ripeteva sempre, lui si sentiva un designer che nel tempo libero diventava calciatore. Se penso alla vita che ti lascia senza lo spazio di recuperare il tempo perduto, penso a La La Land. Il film che avrei dovuto vedere con Asto, il film che ho visto da solo. Una sensazione di impotenza, di privazione. L’ho guardato tante volte in questi anni. Ha un significato speciale per me: per la relazione con la ragazza dell’epoca, per il significato in sé del film. Per quell’amico a cui avevo promesso un giudizio. Asto, sì, te lo posso dire: merita davvero l’Oscar”.
“Sono passati tre anni e mi manca la tua spalla – prosegue il trequartista -. Eravamo seduti accanto in sala pranzo, e sai che spesso mi appoggiavo a te come si fa con un fratello maggiore. Mi hai dimostrato di essere una persona unica, un leader diverso. Come quella volta in cui ho firmato con la Fiorentina. Il Team Manager mi inserì nel gruppo WhatsApp ed ero soltanto un numero nella rubrica di molti, come accade quando si cambia squadra. Un +39 anonimo dentro a un cellulare. E invece no: tu chiedesti il mio contatto e mi scrivesti subito. «Per qualsiasi cosa, conta pure su di me». Parole semplici, ma che in quel momento mi hanno fatto sentire meno solo. Non ci conoscevamo, ma lo spavento che provavo nell’entrare in uno spogliatoio nuovo dopo tre anni a Empoli fu spazzato via in un secondo. Mi hai sempre dimostrato cosa significasse per te essere un amico, nei piccoli gesti quotidiani […]. Sapevi motivare, sapevi riprendere, sapevi quando arrabbiarti, sapevi quando scherzare, e come farlo. Come quel sabato sera a Udine. Io, te e Marco (Sportiello, ndr) a cazzeggiare. Abbiamo parlato un po’ e poi vi siete messi a giocare alla Play. Maledetti. Lo sapevate che non mi piaceva giocarci, vi odiavo quando vi piazzavate davanti a quello schermo a urlare come pazzi incollati a FIFA. Quindi me ne andai in camera”.
"Entrai in sala pranzo e il tuo posto era vuoto: scoppiai a piangere..."
Il ricordo di Saponara passa poi a quella terribile mattinata e alla reazione di giocatori, staff e allenatore: “Pioli continuava a piangere, lacrime implacabili – scrive il calciatore oggi allo Spezia -. Mi abbracciò forte, un gesto che avvertii come disperato. Fu in quel momento che mi affacciai al corridoio. Alcuni miei compagni erano a terra, pietrificati. Altri si rifiutavano di accettare che fosse accaduto davvero, che fosse accaduto a Davide. Sentivo i pugni sbattere sulle pareti dell’hotel. Urla di rabbia e dolore: «Come cazzo è possibile!!!». Cercavano di capire perché la vita era stata così infame. Ma una risposta non c’era e non c’è nemmeno ora”. Tutt’altro che facili furono anche i giorni successivi: “C’era un’aria particolare. C’era chi si allenava con le lacrime agli occhi, chi non riusciva a pronunciare neanche mezza parola, chi sfogava rabbia e frustrazione durante la partitella. Io mi ero tenuto tutto dentro. Tutto. Chiuso a chiave dentro di me. Ma sapevo che sarei crollato, in quella giornata o in un’altra. Era questione di ore. Accadde quando entrai in sala pranzo, mi sedetti e al suo posto non c’era nessuno. Era vuoto. Non c’era nessuna spalla sulla quale appoggiare la mia testa. Non riuscii a contenere le lacrime. Quello era il mio momento. Non l’ultimo. Lo sfogo della consapevolezza è arrivato durante la camera ardente a Coverciano […]. Lì ho capito quello che era successo, al dolore si è aggiunta la consapevolezza che non saremmo stati mai più insieme a guardare quel film o a mangiare in quel ristorante in cui dovevamo andare. Mi ero scaricato a livello nervoso”.
"Le sue doti umani erano innate, mi ha lasciato una maturità superiore"
Il giocatore classe ’91 descrive le virtù di Astori lontano dal campo: “Le sue doti umane erano innate – spiega -. Se stavi facendo un esercizio e accanto a te c’era un ragazzo straniero, che non conosceva la lingua, correva a rompere il silenzio inventandosi parole e facendolo sentire a suo agio. Poteva non parlare la lingua del compagno, ma non faceva alcuna differenza. Finiva tutto con una risata. Era il collante. Il leader che non ha bisogno dell’ufficialità della fascia per essere riconosciuto [...]. Ti ricordi di quando siamo andati con la tua Smart alla cena di squadra? Fu uno dei primi momenti vissuti accanto fuori dal contesto calcistico. In quei venti minuti sublimammo la nostra amicizia. Parlammo di valori, di progetti, di futuro. Sancimmo definitivamente il legame umano che ci univa. Un patto profondo. Mi hai lasciato una maturità superiore, quella con cui oggi vivo il calcio. Grazie a te ho capito che il calcio è una parte della vita e che è proprio l’equilibrio fuori dal campo che ti porta ad affrontare con maggiore positività la tua professione. Mi hai mostrato che puoi essere calciatore, ma anche designer di interni, critico cinematografico e appassionato della materia più impensabile. La vita merita di essere vissuta con serenità, comunque vadano le cose. Ed è quello che voglio trasmettere agli altri. Sono una persona introversa, e ho capito che non c’è niente di male. Che vado bene così”.
"Saresti fiero di me"
Saponara ha imparato tanto da Astori e lo racconta nelle parole conclusivi della sua lettera. “Sai, qualche giorno fa saresti stato fiero di me – scrive -. Agudelo, un mio compagno che viene dal Sud America come tanti dei nostri amici alla Fiorentina, ha discusso con il mister durante l’allenamento. E si era offeso. Era stato escluso dalla partitella e, dopo qualche minuto, il preparatore gli ha restituito la casacca per tornare in campo. E lui no, non voleva. Se l’era presa. Allora gli ho detto: «Dai, non fare così. Torna in campo e basta». Con i tuoi modi, quelli giusti per non creare un precedente. Negli spogliatoi era ancora arrabbiato. Ma io non volevo che quel comportamento lo rovinasse. L’ho preso da parte: «Ascoltami. Sai che devi ritenerti fortunato? Il mister si è incazzato, ti ha escluso, e dovresti essere orgoglioso di lui. Cosa avresti voluto? Uno che non ti dice nulla, fa finta di niente, e la domenica ti lascia in panchina senza spiegazioni? Senza che tu possa capire i tuoi errori e migliorare? Devi ritenerti fortunato, lo avrei voluto incontrare anche io da giovane un allenatore così». Non mi ha risposto. Il giorno della partita ero nello spogliatoio e mi stavo lavando i denti, l’ho visto entrare: «Riccardo, avevi ragione. Ti devo ringraziare, oggi gioco titolare».
Grazie Asto, ti voglio bene”.
La lettera completa, per chi volesse leggerla, è su "Cronache di Spogliatoio".